Giornata seconda. Ragionamento terzo. Sala di Giovanni

Ragionamento Terzo.
Sala di Giovanni.
Principe e Giorgio.

G. In questa sala, Signor Principe, come Quella vede, ci aviamo dipinto la maggior parte de' fatti di Giovanni cardinale de' Medici, il quale fu poi chiamato Leon X; nella quale in parte aviamo dimostro i travagli del suo cardinalato, e la felicità delli onorati fatti nel suo pontificato; e perché delle materie de' casi occorsi dalla morte di Lorenzo suo padre, dopo che fu fatto legato di Toscana, per fino che egli travagliando con lo esilio, che lo tenne fuor di casa diciotto anni, non mi occorre ragionare, perché io ho cominciato le mie pitture con le sua storie appunto in quel tempo, dove, per le virtù sua, e per esser riuscito nella corte di Roma mirabile, fu adoperato in molte cose importanti, credendo, come egli fu poi, che per la prudenza e per l'illustre qualità del padre egli dovessi riuscire e d'ingegno e di giudizio e di animo valoroso in tutte le sue azioni: imperò io sono andato scegliendo delle cose fatte da lui le più notabili, non avendo io a Vostra Eccellenza (che queste storie le sa meglio di me) a contar la sua vita, ma sì bene a dichiarare per amor dei ritratti, de' luoghi e delle persone, questo che io ho dipinto.

P. Ditemi adunque, dove vi cominciate voi?

G. Mi comincio dal soccorso, che die' a Ravenna, quando e' fu legato, dove seguì poi il memorabil fatto d'arme, nel quale papa Giulio II di quello esercito aveva dato al cardinale de' Medici quella legazione, [sperando] che per la sperienza delle cose, che innanzi ne' travagli del suo essere fuoruscito aveva provato, dovessi molto bene riuscire in quella guerra, perché e' conosceva che egli era animosissimo, e co' soldati liberale, faccendosi amare per le gran virtù e qualità sue, e sperando ottenere per mezzo del suo ingegno quelle vittorie di riaver Bologna e ingrandire lo stato della Chiesa, come egli fece; e tanto più gli diede volentieri sì onorata legazione, quanto papa Giulio sotto quella impresa ne doveva temere Piero Soderini gonfalonieri di giustizia fatto a vita in Fiorenza, poiché aveva disfavorito il papa, e dato a Pisa il luogo a' cardinali, dove si faceva il concilio contro di lui, e che egli teneva con ogni suo ingegno fuori di Fiorenza la parte e i Medici.

P. Tutto so, senza che vi affatichiate punto, non solamente dalle cose della città, e dalle vite che sono state scritte di lui, ma ne ho inteso poi parte da molte persone vecchie, che vi si trovorno, ed anche ne ho sentito molte volte discorrere sopra da altri. Ma ditemi, avete voi fatto qui in questa storia del fatto d'arme di Ravenna il ritratto di monsignor di Fois?

G. Signor sì, gli è da questa banda di qua, armato di arme bianca, con l'elmo fatto alla Borgognona, che è quello che è in su quel cavallo bianco bardato che salta, con quella stradiotta, e che ha quel saio sopra l'armadura di velluto chermisi bandato di tela d'oro; di quei due che gli sono appresso, il più vecchio è l'Allegria, l'altro è il Palissa, capitani franzesi.

P. Certamente ch'io non credo che fusse mai giovane sbarbato di quella nazione qual fosse più volonteroso di gloria di lui, e che in un tratto pigliassi più ardire nelle cose della guerra, insegnando sofferire a' suoi soldati il combattere di verno; che sapete di che importanza e' fu il danno che e' fece nel suo primo combattere, quando egli costrinse, combattendo, gli Svizzeri con loro grave danno che ritornorno con le insegne a' Cantoni loro, e poi con che velocità e bravura egli liberò Bologna dall'assedio, mettendovi drento le venti insegne di fanteria, ed i seimila cavalli con tanti carri ed artiglierie, senza che il campo nemico lo sapessi. Del pigliar Brescia non parlo, e come presto carico di preda e' tornassi a Bologna all'esercito del papa, e continuamente seguitandolo si risolvè in ultimo a andare a combattere Ravenna, giudicando, o ch'ella si sarebbe resa, o che, andando a soccorrerla lo esercito, dov'era il legato, gli arebbe dato occasione di fare fatto d'arme, come egli fece poi. In somma, Giorgio mio, io non credo che mai Franzese nissuno avanzassi questo giovane e d'ingegno e di bravura e di celerità d'opera, e che la fortuna lo spignessi più tosto con la lode e con la gloria in cielo, e che anche con la morte lo levassi sì presto di terra.

G. Gli è verissimo: or guardi Vostra Eccellenza un poco la campagna di Ravenna, che io ho dipinta, ed il paese con la pineta, in su la marina, ed il fiume, che passa da porta Sisa, pieno di barche, che va poi dalla Badia di Porto in mare.

P. Ditemi, questo ignudo grande, che è qua che ha innanzi quel timone e quella pina, ed ha avvolto al braccio quel corno di dovizia pieno di tanti frutti, e dalla man sinistra tiene quel vaso pieno d'acqua, che lo versa in quel fiume, dov'egli è drento, per chi lo figurate voi?

P.[sic] Per il fiume Ronco, che dai Romani fu chiamato Viti, ed il corno per l'abbondanza del paese, ed il remo, perché dalla foce di Porto fino a Ravenna vi si navica per la copia ch'è tra quel luogo: ma ditemi, Signore, avete voi considerato il paese e la città, la quale è ritratta di naturale per quella veduta appunto dove fu il caso? Guardi Vostra Eccellenza minutamente, che poco lontano alle mura sono accampati a Santo Man i Franzesi; e Fois che con quel numero grande di artiglierie batte la città appunto accanto al torrione della porta Santo Man, dove è il canale ed i mulini; che in soccorso li fu mandato dal legato alcuni capitani del papa, e Marcantonio Colonna, innanzi che Fois la facesse battere; i quali con la sua gente d'arme, e co' cavalleggieri di Paolo da Castro, ed altri capitani di fanteria sollecitorno l'andata, e ancora che promettendo loro il legato che avessino cura della città, e non mancherebbe soccorrergli, bisognando, e che terria cura di loro come di se medesimo; e [però] gli ho fatti, come Quella vede, drento, e parte in su le mura.

P. Non veggo io, Giorgio, rovinar le mura, ed ammazzar con quella batteria molti che sono alla difesa di quella?

G. Signor sì, che io ho fatto Fois, che, con giudizio avendo partito le nazioni delle genti sue, perché a ogn'uno, tocchi così dello onore, come del pericolo e dell'utile, cerca con ogni sollecitudine e forza pigliar quella terra.

P. Che artiglieria avete voi fatto, che tira per fianco drento nella città in su quel bastione, e che scarica addosso a' Franzesi, che assaltano la terra in quella parte, dove è rotto le mura da' colpi de' cannoni franzesi?

G. Quella è una colobrina che era di smisurata grandezza, la quale Marcantonio Colonna e gli altri capitani facendola in quel luogo scaricare spesso, fece una strage grandissima di feriti e morti in coloro che si affrettavano a salire per entrar drento, portando via i pezzi di loro stessi, che in ultimo riempierno il fosso de' corpi de' miseri soldati; nella qual batteria fu morti, come vede Vostra Eccellenza che io ho dipinto, molti forti uomini e capitani valenti.

P. Se le figure, Giorgio, che avete fatte accanto alla muraglia fussono state maggiori, come le sono troppo piccole, io vi arei confortato a farvi drento nella città Marcantonio Colonna, con il ritratto degli altri capitani.

G. Signore, il suo ritratto ci è, ma ce ne serviremo altrove; che se io avessi fatto le figure grandi, io ci arei ritratto ancora monsignor Sciatiglion, singular capitano, e lo Spineo maestro d'artiglierie industrioso, che vi morì; dell'uno e dell'altro aviamo il ritratto, ma troppo saria stato se minutamente io avessi voluto in tutte queste istorie ritrarre ogn'uno; basta bene che io non ho mancato fare i principali capi di questo esercito. Ora finito questo assalto, ed inteso Fois che lo esercito del papa veniva a trovarlo col legato e con Fabbrizio Colonna e con Pietro Navarra, e considerato che egli poteva esser forzato a combattere ed offuscar la gloria ed il gran nome che egli si aveva acquistato, partì Fois di Ravenna assettando in modo la vanguardia sua, che quelli della città non potessino nuocergli molto, se avessino dato dreto alle spalle dell'esercito.

P. Io veggo qua innanzi la fanteria e le gente d'arme franzese, che si muovono, che le conosco agli abiti ed alle insegne, ed è fra loro, come innanzi dicesti e mi mostrasti, Fois armato, ed il Palissa, e l'Allegria. Ditemi, ecci fra loro nessuno altro ritratto segnalato?

G. Signor sì, vi è Alfonso duca di Ferrara, giovane, il quale ha quell'elmo in capo, ed avendo menato, come Quella sa, gran numero di gente e di artiglieria, poiché egli era principale di quella guerra, volse satisfare col venir suo in persona alla grande obbligazione che aveva col re di Francia; dove io ho finto che Fois in questa storia abbi ragionato con questi capitani, e dato la cura al duca Alfonso, che gli è dreto, ed al siniscalco di Normandia, che è quel giovane armato che ha tanti pennacchi in capo, che abbino cura della vanguardia, ed al Palissa ed all'Allegria quella della seconda e della terza; e vedete ch'io fo che Fois, voltato loro le spalle, cavalca, come è costume di generale, insieme, ed essi per metter meglio le genti ai luoghi suoi, come capo di quello esercito, e per andare intorno, secondo il bisogno, a' capitani, ed a' soldati franzesi, todeschi, ed italiani, per confortarli valorosamente a combattere con parole e con animo grande, promettendo la vittoria, e l'onore, ed i premi.

P. Tutto veggo, ma queste dua figure principali, che qua innanzi alla storia maneggiano in questo luogo basso quelli dua pezzi d'artiglieria, chi sono, e per chi li avete fatti?

G. Son quelli che per consiglio del duca di Ferrara furono messi oltre al fiume, che mostrano tuttavia per quel giovane bombardiere, che volta a quell'altro la faccia, che se ne conduca delle altre, le quali furon poi quelle, che, volte nelle spalle dei nimici e ne' fianchi dello esercito, fecero nel campo spagnuolo quella gran mortalità di gente e di cavalli, che sapete.

P. Non veggo io come un mulino rovinato sopra quelle genti, che nel piano di Ravenna si vede dov'è cominciata una gran zuffa, e mescuglio insieme di cavalli e di fanterie con molte insegne imperiali, franzesi, e del papa; ditemi che cosa sono?

G. Signore, questa è la battaglia che è già cominciata dall'uno e l'altro esercito appresso al fiume, dove feciono i Todeschi ed i Guasconi un ponte, che occupa la vista de' primi cavalli; in su quello passarno parte delli squadroni, e nel luogo di sotto, dove allora il vado era più largo, i quali col condursi con prestezza di là non ebbono quasi danno, e di poi sparse le genti in ordinanza per i fianchi delle battaglie, cominciarono a venire alle mani i soldati, mentre che già tutta la fanteria e cavalleria franzese fu passata il fiume; tirarono poi da ogni banda tuttadue gli eserciti gran numero d'artiglierie, che per lo strepito sbalordirono i capitani, e feciono quella occisione di cavalli e d'uomini, che sa Quella, che i pezzi de' soldati e de' cavalli volavano per il mezzo delle squadre loro, con una crudeltà di morte e di miseria, de' corpi laceri e tronchi, grandissima.

P. Io so, secondo ho inteso dire, che non è seguito anni sono cosa sì grande, né di maggior mortalità di gente, e così di valore e di pregio d'uomini, quanto fu questa, per l'ostinazione di Pietro Navarra, che non volse credere né fare a modo di Fabbrizio Colonna, che lo consigliava che dovessi passare il fiume e rompere gl'inimici, che poteva farlo; il quale, pensando solo a salvar sé e le sue genti, e confidandosi nel valore de' suoi soldati e del luogo, dove era accampato quell'altra assai forte, fu poi con danno di lui e de' suoi convinto a rimaner prigione. I Guasconi, secondo che e' dicono, assaltorno la fanteria italiana fra l'argine ed il fiume, la quale già dalle palle d'artiglieria rotta ed in disordine, stringendosi insieme gli ributtorno; che soccorsi dall'Allegria con uno fresco squadrone di cavalli venne battendoli per vendicare la morte d'un suo figliuolo Mellio, stato gli già in Ferrara ammazzato da Ramazzotto, pensando che fussi quivi, non s'accorgendo il misero signore che il destino lo portava a morire con l'altro figliuolo, nominatoli Viveroe, il quale dalli nimici gli fu morto innanzi ed in sua presenzia buttato nel fiume, e poi non andò molti passi che lo sfortunato vecchio in quella strage rimase morto; e certamente che dopo, gli Spagnuoli andando insieme ristretti, ancora che avessino perduti molti soldati, e tutti i capitani più vecchi, e l'insegne, con ordine mirabile, e con unione di loro stessi, ed in ordinanza passando per quell'argine fortificato combattendo di là dal fiume, con giudizio si ritirorno; e se non fussi stato la troppa voglia che hanno spesso i capitani grandi, che sono in su l'acquistare, di stravincere e non sapere usare la vittoria, come intervenne a Fois, il quale, gridando straordinariamente con insaziabile desio correva dreto a gli nimici sfrenatamente con una compagnia di gentiluomini, e perseguitandogli, che messo in mezzo da' nimici, fu infine da gli ultimi gettato da cavallo, e da un barbaro crudele scannato e morto; né gli valse dire che fussi Fois, fratello della regina di Spagna. Questo, Giorgio, fu cagione d'interrompere la perfezione della vittoria, che egli aveva avuta, e della aspettata grandezza che si vedeva fortunatissimamente farne in questo giovane; questo diede spazio poi a salvarsi alli Spagnuoli, e, secondo che intendo, vi morirono in questo fatto d'arme più di ventimila uomini, e la maggior parte valenti e fior de' soldati.

G. Io ho tutto inteso, e mi è rincresciuto della morte di quel giovane valoroso, ma maggiormente di quelle povere anime, e di tante migliaia d'uomini e valenti; ma non vogliamo noi guardare, Signore, un poco che io ho finito e ritratto in questa storia lì in quel gruppo di cavalli da quest'altra banda, pur franzesi, il cardinal de' Medici stato dopo la rotta condotto prigione da' nimici in campo?

P. Lo veggo a cavallo in su quel turco bianco, coll'abito di legato; e che gli fate voi guardare col suo occhiale in mano?

G. Signore, e' guarda (dopo che egli ha visto tanta moltitudine di morti appresso di lui, e che egli poteva fuggire, è campato in quella guerra, desidera poi vedere il fine suo che dopo il pietoso ufficio di legato che egli ha fatto con animo costante, e con prieghi cristiani ha raccomandato le anime di quelli che sono morti a Iddio) a che fine sua Maestà l'abbia preservato vivo, fuoruscito, ed ora prigione in mano de' sua nimici. Guarda ancora Federigo San Severino cardinale, che è quello che gli è vicino, che ha quella barba nera e berretta rossa, che distende quel braccio verso il legato, armato con arme bianca, il quale venne mandato legato in campo dal concilio, che mostra l'affezione che aveva a quella causa il legato de' Medici; e ragionando seco gli va contando che da due cavalleggieri franzesi, senza rispetto avere all'abito del cardinalato, campò da loro la vita, difendendolo Iddio e poi il cavaliere Piattese da Bologna, il quale ne ammazzò uno di loro, l'altro fuggì per non avere il medesimo. Dreto gli è Federigo da Bozzolo, che, avendolo poi levato di mano degli Albanesi, lo conduce a que' signori prigione.

P. Sta benissimo, e lo somiglia molto, ed ha garbo con quello occhiale in mano; aveteci voi fatto altri prigioni seco?

G. Signor sì, vi ho fatto il marchese di Pescara, il quale dopo che i suoi cavalleggeri furno stati rotti, difendendosi, ancor che avesse di molte ferite, fu fatto prigione; vedetelo, ch'egli è vicino al legato, con quell'elmo in capo, giovanetto; così Pietro Navarra, anch'egli ritratto al naturale, che è quegli che ha in capo quella berrettona nera, con aria fosca.

P. Certamente che è stata lunga, ma l'è bella storia per le varietà di queste cose, e vaga assai per il ritratto del paese, e per gli uomini grandi onorata; ma ci arei voluto il Carvajale di Cardona, ed Antonio da Leva, che dopo mille intoppi de' nimici, e sbalorditi dal tirar delle artiglierie, e dal romore, e dalle grida de' vivi, e dalle strida di quelli che morivano, e fremito de' cavalli, e dal suono dell'armi e delle trombe, intendo che appena si salvarono in questo fatto d'arme.

G. Di questi, Signore, io non ho avuto i loro ritratti; di Antonio di Leva l'ho fatto altrove; ma, poiché erano scampati fuora, io gli ho lassati indreto, che non sariano stati bene, se io gli avessi messi fra questi prigioni.

P. Or voltiamoci qua a questo ottangolo che segue: ditemi che barca veggo io nel fiume con quel barcaruolo mezzo ignudo, che siede con quel timone in mano, e di là in su quella riva quella baruffa di soldati; che questa storia non mi torna a mente?

G. Non è maraviglia, Signore; questa è fatta che doppo i Franzesi ebbono preso Ravenna, e saccheggiata, eglino menorno a Milano prigioni il legato, il Navarra, e con loro molti altri nobili per mandarli in Francia, i quali arrivati in sul Padovano, non molto dal fiume del Po lontani, fu il legato dai travagli di piccola febbre o dal dispiacere di andar prigione forzato a fermarsi alla Pieve del Cairo, con grazia però di quelli che lo guardavano, dando ordine intanto che i cardinali, che avevano disfatto il concilio a Pisa ed a Milano, si avviassino innanzi con le loro corti, e con gli altri soldati pian piano. Avuto adunque Medici questo poco di larghezza di tempo, come persona accorta, in quella necessità fece cercare dell'abate Buongallo, familiarissimo suo, pregandolo che se egli trovassi nessuno gentil'uomo di quel paese, che potessi provvedere in qualche modo alla salute sua ed al suo scampo, se gli raccomandava: vennegli per ventura ritrovato (come spesso ne' bisogni manda Iddio) dall'abate, Rinaldo Zatti, soldato vecchio nobilissimo di quel luogo, il quale aveva molti lavoratori a' suoi poderi, e credito co' contadini del paese; che non bisognò molto all'abate pregar Rinaldo, il quale di sua natura odiava i Franzesi, ed aveva in memoria le virtù di Lorenzo de' Medici, increscendogli, come pietoso, che un signor sì nobile e cardinale italiano avessi andare a perpetua prigionia in Francia ed in mano de' suoi inimici; e, perché gli pareva esser solo a condurre questa impresa, tolse in aiuto Visimbaldo, del luogo medesimo, ed ancora che e' fussi di fazion contraria era molto amato da lui, e datogli il contrassegno, che quando fussi tempo si saria fatto intendere allo abate; il quale tornò con questa nuova al legato, che tutto lo fe' riavere.

P. Non fu egli questo abate quello, che fu poi scambiato da un servitore di Visimbaldo e del Zatti, che trovò, in cambio dell'abate Buongallo, uno abate franzese che gli fu mostro, pensando che fussi esso, e che gli disse che ogni cosa era in ordine? Dove poi l'abate franzese gli rispose in collera che non gli aveva comandato niente, e certo il servitor suo accorto, poi che cognobbe aver fatto 1'errore, di ricoprirlo in scusa, che parve allo abate una bestia, fin che se li levò dinanzi.

G. Signore, gli è desso; ma non restò però che sempre il Franzese non avessi sospetto, e che per ciò non affrettassi subito la partita, e molto più presto che non s'era ordinato. E andando con la squadra verso il Po, ancora che il legato mettessi tempo in mezzo con sue cose per dare agio a Rinaldo che ragunassi insieme sue genti, che giunti al Po e passato quasi con la barca ogn'uno, ed avendo già il legato accostato la mula per entrar drento alla barca, quando ecco Rinaldo co' suoi contadini assaltati i Franzesi, come Vostra Eccellenza vede che io ho dipinti, le mette in volta, senza troppe ferite, le genti che guardavano il legato.

P. Io dirò che Rinaldo è quello soldato armato, che tiene per i capelli quel Franzese cascato, che fugge e mena con quella spada addosso a quelle gente che sono in terra sopra l'una all'altra nella fuga del correre; e Visimbaldo dove è?

G. È con gli altri suoi allato a Rinaldo con l'altra spada innuda a due mani, che gli caccia in fuga ancor lui; guardi Vostra Eccellenza nel lontano del paese e vedrà il legato, che fugge a cavallo in su quella mula bianca, in abito di cardinale.

P. Lo veggo, ed invero il povero signore dovette avere la sua; ma certo l'abate, Rinaldo e Visimbaldo feciono una santa opera.

G. Santissima; ma la fortuna non ferma mai ne' travagli di fare scherni, paure, e danni, che, ancorché il legato fussi libero da questo infortunio, ed assicuratosi per aver posto giù l'abito di cardinale, e vestito da soldato, e passato di notte il Po, ed ito a un castello di Bernabò Malespini genovese, parente di Visimbaldo, percosse in Bernabò per sua mala ventura, che era di fazione franzese, il quale, per non farsi danno, volse fare intendere al Triulzi tutta la cosa, ed intanto fu guardato il legato in luogo stretto, e disonorato; il quale disperatosi della salute e liberazion sua, si doleva del fato che lo perseguitava e lo affliggeva e con crudeltà lo scherniva; se non che Iddio spirò il Triulzi, che fe' intendere a Bernabò che i Franzesi erano stati cacciati al ponte del Mincio, e che lassassi il legato, fingendo che i servitori 1'avessino lassato per corruzione di danari.

P. Tutto avevo inteso, e come andò poi a Voghera, ed a Piacenza, ed a Mantova, dove con carezze e doni dal marchese Francesco fu ristorato.

G. Non vogliamo, Signore, seguire 1'altre storie? Che già si apparecchia, in questa che segue, la felicità del suo ritorno, dopo tanti travagli, il quale seguì il medesimo anno?

P. Voglio; ma non fate voi altro innanzi? So pur, doppo che i Franzesi ebbono passate le alpe per irsene in Francia, fu loro tolto Milano e restituito a Massimiliano Sforza, e che il Cardona, ragunato insieme le gente spagnuole, e rifatto la cavalleria, e così il duca d'Urbino venuto in Romagna con le sue genti, ed i Bentivogli, non avendo alcuna speranza di governare più Bologna, per il consiglio di Francesco Fantuzzi: si uscirono della città, ed allora il legato de' Medici venne a governare quella repubblica, e rimettendo i fuorusciti in casa. Non vi ricordate voi avere inteso che feciono poi la dieta a Mantova per ordinar la pace in Italia, nella quale si trattò di tutte le ragioni delli stati, e particolarmente di rimettere i Medici in Firenze? E so pur che vi fu per loro il Magnifico Giuliano de' Medici, e per li Fiorentini Gianvittorio Soderini, fratello di Piero, allora in Firenze gonfalonieri, il quale e per cagione di avarizia e perché non ebbe in quella dieta molte ragioni valide, fu licenziato, e dichiarato in quella dieta nimici i Fiorentini, ed al legato de' Medici fu consegnato lo esercito spagnuolo, che il Cardona aveva in sul contado di Bologna; perché vennono poi col favore di papa Giulio con gli Orsini e Vitelli, i quali, passati co' Pepoli e con Ramazzotto l'alpi, si condussono a Prato.

G. Tutto sapevo, ma a me non scadeva fare in pittura più storie innanzi, perché Vostra Eccellenza sa che il legato sapeva che in Firenze il Soderino già aveva messo in carcere venti cittadini che giudicava che tenessono la parte de' Medici, e che dua volte mandorno gli ambasciadori loro al Cardona che la città saria stata col re, e co' collegati in quel governo, come fussi piaciuto loro, con offerta di grande somma di danari; e che doppo il sacco di Prato, avendo tentato più modi e tutti pericolosi, fu da Antonfrancesco degli Albizzi e da Paulo Vettori, per lo spavento e tumulto che era nella città, consigliato il Soderino partirsi di palazzo, e lassare la dignità, se voleva fermare il romore, offerendosi l'uno e l'altro a salvarlo. Così doppo dieci anni, che egli avea governato quello stato con tanta riputazione, si partì, ed uscito di Firenze, per l'Umbria si condusse a Raugia; e perché queste storie non m'erano a dipignere necessarie, imperò io ho fatto in questa il suo trionfo, quando e' parte da Santo Antonio del Vescovo, dove fu incontrato da' cittadini fuor della porta a S. Gallo: ecco che qui in mezzo in abito di cardinale e con la croce della legazione, è Giovanni de' Medici, con tante genti che l'accompagnano. Questo, Signor Principe, è il suo felice ritorno in Firenze l'anno 1512.

P. Io lo veggo a cavallo con quelli staffieri all'usanza di quel tempo, e veggo molti cittadini che lo incontrano a piè, ed anche molti armati e soldati, che lo accompagnano a cavallo, e già ci scorgo molti cittadini con i sua ritratti; arò caro, Giorgio, che incominciate da un lato a contarmi i nomi loro, perché io riconosco già la porta a San Gallo, e veggo il fiume Mugnone con il corno di dovizia, e col vaso dell'acqua, mezzo ignudo, che la versa; ditemi un poco, chi è quel giovane in su quel cavallo bianco rotato, che volta a noi le spalle, qua innanzi, armato all'antica, con quella celata in testa, con la mano destra in sul fianco?

G. Signor Principe, quello è Ramazzotto, allora giovane, capo di parte delle montagne di Bologna, servitore antichissimo di casa vostra.

P. E quello armato con quella celata in capo sopra quel cavallo rosso, che volta in là la testa, e parla con quell'altro soldato, chi è?

G. Questo prima è il Cardona, che parla col Padula.

P. Questo è quello, che fu per non far seguire lo effetto del ritorno de' Medici, quando gli ambasciador fiorentini la seconda volta mandati dal populo e da Piero Soderini, con tante offerte e condizioni larghe, che fu per esser corrotto dallo appetito della cupidigia e dall'avarizia, se non era il Padula ed il legato, che lo temperorono con molti altri signori, che mostrorono che si doveva per molte ragioni opprimere la parte franzese, e che sendo i Medici stati cacciati da loro, non scorderiano mai per tempo nessuno il benefizio fatto da lui nella amicizia e gratitudine ricevuta da loro, rimettendogli in casa; ma chi è quegli che è allato al Cardona, di qua, con quella barba bianca?

G. Signore, questo è il signore Andrea Caraffa, Napolitano, molto affezionato a' Medici; allato a esso abbiàn fatto Franciotto Orsino, e Niccolò Vitelli, che è quel giovane allatogli in proffilo; e gli altri sono le genti loro de Pepoli, e degli altri capi, che accompagnano il legato.

P. Questi cittadini, che lo incontrano, sapete chi e' sieno?

G. Signor sì; l'uno è Giovambatista Ridolfi, che è quello con quel mantello pagonazzo, che volta a noi le spalle, che fu fatto poi dal legato de' Medici primo gonfaloniere della città; gli altri sono diversi cittadini amici di casa, che si rallegrano vedendo ritornato nella patria loro la base e la fermezza di questo paese, ed al populo l'abbondanza. Quivi è anche concorso quelle donne a vedere, piene di putti in segno di letizia: sulla porta della città è comparso con molti a cavallo M. Cosimo de' Pazzi arcivescovo di Firenze, che prima andò a incontrare il Magnifico Giuliano, fratello del legato; vedete ch'egli esce appunto fuor della porta.

P. Ogni cosa sta bene; ma questa figura grande ignuda qua innanzi alla storia, che sta in quella attitudine stravolta, e questa giovanetta adorna di fiori in testa, che mette al capo di quello quella corona d'oro piena di gioie e di perle, ditemi per quel che l'avete fatto, e che significato sia il suo.

G. Signor, questo è il fiume d'Arno, che posa il braccio manco sopra la testa di quel leone, ed ha quel corno pieno di fiori, fatto e figurato per l'abbondanza del paese, e quel remo in mano, perché si navica con legni assai grandi dalla foce dove entra in mare per fino a Pisa, e poi con scafe e navicelli fino a Fiorenza; e quella femmina, che dice Vostra Eccellenza, è Flora, la quale gli mette in capo il mazzocchio ducale, dimostrando che da questa tornata che Giovanni cardinale de' Medici venne in questa terra, si stabilì per la grandezza sua il fondamento vero del governo di questa città nella casa de' Medici.

P. Certamente che questa storia fu gran principio della grandezza di casa nostra, ed è anche notabile per la liberalità che usò il legato de' Medici in rimunerare i capitani ed i soldati con doni onorati per sì rilevato e util servizio dello averlo rimesso con i suoi in casa, accompagnando questo negozio con uffizi amorevoli di parole e di obbligazione perpetua, oltre alle offerte e le cortesie de' premi donati loro. Chiamando poi il pupolo ed i cittadini in questo loro ritorno armati in piazza a parlamento, secondo l'ordine vecchio, che per grido populare si elessero que' quindici cittadini, che sapete nobilissimi ed amici de' Medici, ed appresso i sessanta in compagnia loro, i quali riformorono lo stato.

G. Tutto so: ma non conta Vostra Eccellenza la modestia che mostrò Giuliano de' Medici fratello del legato, che, sapendo egli quanti nimici aveva, fussi possibile, levato le forze degli eserciti, si mettessi l'abito cittadinesco, andando solo per la città senza guardia, procedendo con la medesima grazia, modestia e civiltà di Lorenzo suo padre, volendo contentarsi solo viver nella maniera che gli altri cittadini grandi?

P. Voi vedete bene che per questo e' non estinse l'odio, e che crebbe tanto, che gli congiuraron contra, volendo ammazzare il legato e lui; scoprendosi il trattato per quella polizza, che fu trovata, dove erano i nomi di chi n'era autore, che furon puniti per acquietar da questi travagli la città; ma lasciamo questi ragionamenti. Ditemi l'ordine di questa storia lunga, che segue; io veggo gran numero di vescovi, e cardinali in pontificale, che cosa è ella?

G. Doppo questa congiura, che Vostra Eccellenza ha detto, seguì la morte di papa Giulio II, dove al legato de' Medici per ciò gli convenne andare a Roma al conclavi per fare il nuovo papa; nel quale entrato drento con espettazione e credenza d'ognuno, fu prima salutato papa che fussi papa fatto, e ciò fu cagione molti strolagi e buoni ingegni che per il procedere della vita e per pronostichi fatti da loro lo giudicavano degno di ciò. Entrato Giovanni in conclavi tirò dalla parte sua con l'affabilità e le altre sue virtù tutti i cardinali più giovani, e nati di sangue reale ed illustri, ed in quella età fioriti di virtù e di ricchezze; ed ancora che molti cardinali vecchi per merito e dottrina e ricchezze, e benevolenza populare, e per egual merito si promettessino il papato, e più degli altri Raffaello Riario, cardinale di San Giorgio. E mentre che ognuno di loro attendeva all'interesse proprio, da quei cardinali giovani fu creato Giovanni de' Medici papa, considerato da loro che l'imperio della repubblica cristiana si doveva per ogni sorte di virtù, di animo, e di corpo dare a Giovanni, e così comunemente lo adoraro papa. E perché mi è parso che la coronazione sia più gloriosa, e storia più degna d'onore, che il crearlo, per la pubblica pompa fatta da lui a S. Ianni Laterano, ho figurato in questa quello spettacolo onorato e glorioso e degno di tanto merito; così ho cerco farci tutte quelle persone segnalate, che a questa onorata incoronazione vi si trovarono.

P. Bene avete fatto: ma incominciate un poco a dirmi chi sono que' quattro a cavallo armati d'arme bianca con quelli stendardi in mano; mi par conoscere che questo, che è qua innanzi su quel cavallo leardo, sia all'effigie il signor Giovanni mio avolo; ditemi, egli è esso?

G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuto, perché a questa incoronazione egli portò lo stendardo drentovi 1'arme del papa. Quell'altro, che gli è allato in su quel turco rosso a cavallo, che ha armato la testa con quella croce bianca al collo e barba nera, è Giulio de' Medici allora cavalier di Rodi, cugino di Leone, il quale portò lo stendardo della religione, che fu poi, dopo papa Adriano, chiamato Clemente VII. L'altro, che è in su quel cavallo giannetto dreto a loro in toso con la barba bianca, anch'egli armato, è Alfonso duca di Ferrara, che come capitano generale portò lo stendardo della Chiesa. L'ultimo che gli è dreto con la barha nera tonda è Francesco Maria duca d'Urbino, prefetto di Roma, che portava lo stendardo del populo romano in compagnia loro.

P. Veramente che tutti a quattro meritano lode: ma ditemi, que' dua diaconi cardinali, vestiti con le dalmatiche, e da diaconi, che incoronano papa Leone, sono eglino ritratti di naturale, come mi paiono?

G. Signore, son ritratti, e non solamente questi, ma tutto questo collegio, che è intorno al papa. L'uno delli assistenti con l'abito di diacono a man dritta è Giovanni Piccolomini, e 1'altro col medesimo abito è Lodovico d'Aragona. Questo primo qua innanzi, che ci volta le spalle, col piviale rosso, e con la mitria in capo di dommasco bianco, che accenna inverso il papa, è Alfonso Petrucci, cardinal sanese, il quale parla con Marco cardinale Cornaro, anch'egli vestito nel medesimo abito, ma di pavonazzo.

P. Questo è quello che favorì tanto Leone nel conclavi; ma ditemi, quello, che gli è vicino, mi pare Alessandro cardinale Farnese, che fu poi papa Paolo III; mi pare aver visto quella cera altre volte; è egli esso?

G. Signor, gli è desso, e sopra lui è il cardinale Bendinello Sauli Genovese; l'altro in proffilo con quella barba sì neretta è il cardinale S. Severino, ribenedetto da Leone, che era al concilio contra papa Giulio, il quale parla con Francesco Soderini cardinale di Volterra.

P. Chi è quello più giovane, che siede sopra, allato a lui?

G. È Antonio cardinale di Monte, il quale, perché fu ardentissimo nelle cose del concilio contra il S. Severino e gli altri, sendo auditor di ruota, fu da Giulio II fatto cardinale.

P. Bellissima ed onorata fatica, e gran ventura di questa opera aver trovati tanti ritratti di sì alti personaggi. Considero, Giorgio, a questa felicità, che pose lui e casa nostra in tanta altezza; e certo che avete tenuto, nello spartirgli, un bell'ordine: ma questo ignudo a giacere qua innanzi a uso di fiume, ammiratissimo, che guarda papa Leone, che significa?

G. Questo è fatto per il fiume del Tevere, il quale appoggiato in su la sua lupa, che allatta Romulo e Remo, mostra coronato di quercia e di lauro la fortezza e la grandezza dell'imperio romano; il corno della copia, ed il remo da barche, 1'uno è per 1'abbondanza in che tenne Leone Roma nel suo pontificato, l'altro per la sicurtà de' mari: dreto v'è quella Roma di bronzo, la quale fu per lui restaurata, pasciuta, imbellita, e rimunerata; e mostra, vedendo il Tevere e lei incoronar Leone, quel segno maggiore di allegrezza che possono, e di felicità. Certo, Signor Principe, che fu grandissima cosa vedere di questa illustre casa un papa nobilissimo di sangue e di costumi, gravissimo di lettere ed altre virtù rare e di natura piacevole.

P. E lo dimostrò infinitamente in questa sua incoronazione, o creazione, poiché perdonò a tutti i suoi nimici, fino ai cardinali ribelli per il concilio fatto contra Iulio II; ditemi dove si fece questa incoronazione?

G. A Santo Ianni Laterano, e fu a' dieci d'Aprile nel 1513, e cavalcò il medesimo caval turco, sul quale egli fu fatto a Ravenna prigione; e se io avessi avuto luogo che avessi potuto dipignere gli apparati e l'abbondanza delle livree, ed altre cose grandi, non mi sarebbe bastato questa sala, né forse tutto questo palazzo, massime che da Leone in qua a S. Ianni non s'è fatto per sei pontificati, che sono stati dopo lui, altra coronazione, considerato che la Camera apostolica ed il populo romano fece allora una spesa ed una festa, che non ebbe mai Roma la più felice in tutte le coronazioni de' pontefici.

P. Certamente che n'ho avuto piacere; voltiamci a questo ottangulo del canto che segue.

G. Eccomi; questa, Signor Principe, fu, che il popolo romano per onorar Leone con grandissima pompa ed ambizione feciono Giuliano de' Medici, fratello carnale del papa, cittadino romano, e che Leone avendo in que' giorni creato que' quattro cardinali, che sono quelli che io ho dipinto, che gli seggono intorno; che il primo cappello fu dato da Sua Santità a Giulio de' Medici, suo cugino, quasi che con la provvidenza dell'intelletto suo cercassi di perpetuare per questo modo la grandezza di casa sua, poiché Giulio cardinal de' Medici non doppo molto sedè nel medesimo luogo.

P. Io veggo il suo ritratto nell'abito di cardinale, che lo somiglia molto, che ha la berretta nella mano che si appoggia al petto.

G. Gli è desso; l'altro, che siede a' piedi a Leone con cera oscura, con la barba nera, è Innocenzio Cibo, figliuolo di Maddalena sua sorella, maritata al signor Franceschetto Cibo, riconoscendo il gran principio della dignità sua datagli nella sua adolescenzia da papa Innocenzio VIII, rimettendo il cappello rosso in quella casa, donde l'aveva cavato. Il terzo cappello fu dato a quel vecchio, che siede sotto Innocenzio Cibo, il quale è Lorenzo Pucci, che lo meritò da Leone per età e singolar fede, la quale d'ogni tempo non venne mai meno in lui verso la casa de' Medici. Il quarto cappello fu di Bernardo Divizio da Bibbiena, che per fatica d'ingegno, e di fedele industria, e di amicabil familiarità lo servì fino alla morte, che è quella figura tutta intera, vestita di pavonazzo chiaro, con l'abito cardinalesco.

P. Io ho visto quella effigie altre volte: ma ditemi, quello armato tutto di arme bianca, in ginocchione dinanzi a papa Leone, che riceve que' due stendardi, uno con l'arme di santa Chiesa e l'altro di casa Medici, ricevendo quel breve papale, mi pare riconoscere che sia al proffilo il Magnifico Giuliano, fratello del papa.

G. Gli è desso, e fu fatto in que' dì e mandato poi in Lombardia per ovviare all'impresa di chi desiderava fare Francesco Primo, re di Francia, che disegnava impatronirsi d'Italia.

P. Che altra storia è questa in questo ottangulo sopra la scala e le finestre, che l'aviamo passata sanza dir niente?

G. Vostra Eccellenza ha ragione; in questa è Lorenzo de' Medici, figliuolo di Piero, fratello di Leone, il quale gli diede il governo della repubblica di Firenze, acciocché come per l'addreto gli antenati suoi avevano avuto cura di quel dominio, fussi quello Lorenzo che per il tempo avvenire dovessi tener il dominio e cura di quella città amicabile e devota alla casa de' Medici, parendo per questa via a Leone avere provvisto a tutto quello che potessi nuocere per i tempi avvenire, ed anche per satisfare a' preghi di molti parenti ed amici, che ogni giorno per molte cagioni pregavano Sua Santità. Talché fu dichiarato perciò Francescomaria duca d'Urbino della casa della Rovere, adottato nella famiglia di Montefeltro, per alcune cagioni ribello della Chiesa, ed in censure, come so che sa Vostra Eccellenza; e così levatogli lo stato d'Urbino, e dato da Leone a Lorenzo suo nipote e mandatovi l'esercito; ho fatto di pittura, come dissi, in questo ottangulo quando Sua Santità mette in capo a Lorenzo il mazzocchio ducale, e che egli armato riceve il bastone del dominio nel concistoro publico de' cardinali, ed è fatto nel medesimo tempo generale della Chiesa.

P. Ditemi, chi è quel cardinale ritto che gli è vicino, e gli altri che seggono di là dal papa?

G. Questi sono tre cardinali fatti a caso, non avendo potuto sapere chi ci si trovassi così particularmente.

P. Certamente che questi ottanguli mi satisfanno assai, ed in poco spazio avete messo una grande abbondanza di figure: ma io mi ho sempre sentito tirare dalli occhi, Giorgio mio, a questa storia di sotto, grande, dalla molta copia de' ritratti, e de' populi in varie fogge, che ci veggo, e l'ha anche causato lo star tanto a disagio col collo alto per guardare in su. Di grazia, e per il riposo come ancora per la varietà e per la vaghezza di questa opera, cominciate a dirmi che cosa è, che mi pasce la vista e mi diletta oltre modo, che fra cavalli e gli uomini e gli staffieri e il populo, che sono in questo luogo, e la piazza, e le finestre, dubito che ci sarà che dire un pezzo.

G. Signore, eccomi; la storia è questa, che partitosi da Roma il papa per andare a Bologna a incontrare il re di Francia, il quale chiese a Sua Santità di venire a parlamento seco; si risolvè Leone in quel viaggio passare da Firenze, per mostrarsi alla sua patria, dopo tante varie fortune, in quanta gloria e grandezza lo avesse posto Iddio; dove non meno contentezza ne sentì la sua città di quel favore, che lui letizia di vedella, onorandolo con tutte quelle magnificenze di trionfale apparato, che si potesse fare a un vicario d'Iddio, ed a un suo cittadino, non restando dall'industria ed ingegno di que' signori, che ogni luogo della città publico fussi abbellito ed ornato con statue, colossi, archi trionfali, colonne, per mano de' più eccellenti architetti, pittori, e scultori. Dove considerando io voler dipignere questa magnificenza, degna per l'una e per l'altra parte di tanto onore, ho scelto per veduta maggiore e migliore la piazza di questo palazzo, come luogo più publico e capo principale, pensando, sì per larghezza come per i luoghi de' siti delle finestre, logge, muricciuoli, ed altri sporti alti e bassi, potervi accomodare più gente, che non arei fatto in altro luogo che in questa veduta, ancora che tutta la storia non sia stato possibil mettervi; perché gli occhi nostri non possono ricorre in una vista sola lo spazio di due miglia, che teneva questa onorata ordinanza, vi basterà solo che io vi mostri tutto quello che in una sola veduta [può] mostrare questa piazza.

P. A me pare, pur troppo, quel che ci si vede; ma ditemi, io non ritrovo il principio della corte; cominciate voi a dirmi l'ordine che e' tenne, e che strada e' fece e donde entrò.

G. La entrata sua fu per la porta di S. Piero Gattolini, dove, oltre che per magnificenza fu rovinato l'antiporto, e fatto drento all'entrata della porta molti ornamenti ed apparati per la Signoria e magistrati, ed altri cittadini, che l'aspettavano per dargli le chiavi della città, e poi accompagnare a piedi Sua Santità con la corte processionalmente, col clero e con tutte le regole de' frati drento e fuori della città a tre miglia, partironsi dalla porta a S. Felice in Piazza, e per via Maggio, passando il ponte a Santa Trinita, per Porta Rossa, e per Mercato nuovo fino in piazza, lungo poi i giganti, e per la via che va da S. Firenze alla Badia, lungo i fondamenti, fin drento a Santa Maria del Fiore; che quivi giunto Sua Santità benedì il popolo, licenziando i magistrati, se n'andò con sua corte a Santa Maria Novella alla sala del Papa, antico seggio della Chiesa romana.

P. Seguite questo ragionamento, che mi diletta il vedere ed il sentire assai, ma ditemi, dove fate voi che cominci la corte, se bene la non si vede qui?

G. La corte, Signor mio, non ha qui il suo principio, che fingo sieno passati innanzi, ed anche ne sia rimasti dreto; che ci manca i cavalleggieri di Sua Santità, che erano innanzi a tutti con la livrea sua, e tutti i cursori, e cento muli con carriaggi, sopravi le coperte di panno rosso con l'arme pontificali, seguendoli diciotto cavalli grossi, cavalcati da gentiluomini, che erano dei cardinali, tenendo per ciascuno una valigia di panno rosato ricamata d'oro con l'arme di quello cardinale, del quale ogni corte aveva il suo cavallo e valigia, andava dreto con i servitori a piè. Dopo questi seguivano tutti i cavalieri militi fiorentini, ed i dottori con i giudici di Ruota della città ben in ordine, circa cento; di poi tutti gli scudieri, cubiculari, segretari, e cappellani protonotari di Sua Santità vestiti di scarlatto, con tutta la corte del papa, accompagnandoli i procuratori de' principi, fiscali ed uffiziali della cancelleria, avvocati concistoriali, piombi, segretari de Parco maiori, con quattrocento cittadini fiorentini, bene a cavallo, d'ogni età, nobilissimi, con varie vesti di drappo e fodere di pelli finissime e bellissime, con istaffieri a piedi vestiti con giubboni e calze di velluto limonato; seguendoli gli accoliti ed i Cherici di camera e gli auditori di Ruota di Roma col Maestro del sacro palazzo.

P. Bellissima cosa dovette essere a vedere tante persone varie, ed è un gran peccato che non abbiate avuto spazio, che ci potessi entrare tutto questo ordine, di fare tutte le strade dove passarno; ma seguitate, vi prego.

G. Ecco ch'io seguo; e incomincia, Signor mio, qui appunto la storia, dove sono questi mazzieri, a dove io fo che ciascuno sia ritratto di naturale.

P. Questo giovane ricciuto con quella maglia intorno al collo, che cavalca quel cavallo bianco, ed ha dinanzi quella valigia con l'arme del papa, chi è?

G. Quello è Serapica, tanto caro per la sua servitù a Leone X; e que' dua che gli sono accanto, che portano que' dua regni pontificali, quel dalla barba rossa è il maestro delle cirimonie, e quel più vecchio è M. Sano Buglioni, canonico fiorentino; e quello in proffilo, grassotto, che ha quella berretta da prete, nera, che non si vede altro che lo scudo del viso, è il datario, che fu M. Baldassarre da Pescia, che è messo in mezzo dall'altro mazziere, il quale è il ritratto di Caradosso, orefice tanto eccellente.

P. In vero che questa storia mi contenta molto, e mi rallegra assai, massime questa guardia di Tedeschi che gli circondano; oh che bizzarre cere! E' mi paiono pronti e anche fanno un bello ornamento a questa storia; ma dite, chi è quel prete, vecchio, magro, raso, che fa l'uffizio di suddiacono con quella toga rossa, portando la croce del papa?

G. Quello è M. Francesco da Castiglione, canonico fiorentino, il quale ha accanto a sé, e sopra, tutti i segretari del papa; quel primo accanto a lui è il dottissimo ed amico delle muse M. Pietro Bembo, ed allato a esso è il raro poeta M. Lodovico Ariosto, il quale ragiona col satirico Pietro Aretino, flagello de' principi; sopra fra tutt'a dua quel che ha quella zazzera, raso la barba, con quel nasone aquilino, è Bernardo Accolti Unico, Aretino, che parla col Vida Cremonese, e col Sanga, e con Olosio; vicino gli è il dottissimo Sadoleto da Modana, il quale parla con quel vecchiotto raso ed in zazzera di capelli canuti, che è Iacopo Sanazzaro, Napolitano.

P. Oh bella ed onorata schiera d'uomini! Oh che raccolta d'ingegni avete messa insieme, degna di questa memoria, e degni veramente di servire questo pontefice! Ma ditemi, chi è quello che è in questa fila, vestito di broccato riccio d'oro sotto e sopra, con quella vesta chermesi allucciolata d'oro? Mi pare alla cera il duca Lorenzo de' Medici; è egli esso?

G. Signore, egli è desso, e parla col Cappello ambasciadore de' Veneziani a Sua Santità, che è in zucca con quella barba bianca; accanto gli è il tremendo signor Giovanni de' Medici vostro avolo, il quale cavalca quel caval giannetto, e parla con l'ambasciadore di Spagna, e mette in mezzo l'ambasciadore di Francia, che è quel vecchio raso in proffilo, scuro, con quella berretta di velluto nero piena di punte d'oro.

P. Bellissime cere d'uomini; ma chi è quello, che è sotto al Lanternario, vecchio, raso, ed in zucca?

G. È il sacrista, il quale fu maestro Gabbriello Anconitano, frate di Santo Agostino, e confessoro del papa; seguitano sopra questi li reverendissimi cardinali in pontificale in su le mule, che i primi in fila sono quelli quattro, che gli doverrà conoscere Vostra Eccellenza, avendogli visti nell'ottangulo, dove Leone gli creò cardinali; primieramente il più vecchio è Lorenzo Pucci, cioè Santiquattro; a lato gli è Giulio cardinale de' Medici suo cugino; poi vi è Innocenzio Cibo, suo nipote, e Bibbiena sopra loro; nell'altra fila, que' dua che parlano insieme a man dritta, quel più vecchio è Domenico Grimani, l'altro è Marco Cornaro; gli altri due a man manca, quello che stende la mano che parla è Alfonso Petrucci, e quello che l'ascolta è Bandinello Sauli; i due più lontani, che si veggon mezzi, uno è Antonio de' Monti, l'altro è il San Severino; que' quattro in fila, che seguono poi, l'uno è Matteo Sedunense, l'altro Alessandro Farnese, il cardinale d'Aragona, e il cardinale di Flisco; degli altri quattro ultimi il primo è Giovanni Piccolomini, il secondo il cardinale di Santa Croce; segue poi Raffael Riario, vice cancelliere, vescovo d'Ostia insieme, i quali sono in tutto numero diciotto, che tanti vennono a farli compagnia ed onorarlo a Firenze, che tutti sono ritratti di naturale dalle immagini loro.

P. Oh che ricca cosa avete voi rappresentato in questa storia! Io non so se mai vidi raunate insieme tante illustri persone; ma ecco in su quella chinea fornita di chermisi e d'oro menata da que' palafrenieri a mano il Santissimo Sagramento della Eucarestia.

G. Signore, egli è desso, e vedete che vi è attorno il clero, e vi sono con le torce in mano tutti i canonici di Santa Maria del Fiore ed i magistrati supremi, ed i capitani di parte Guelfa, che portano il baldacchino innanzi al papa.

P. Ecco, io veggo papa Leone sotto un altro baldacchino di drappo d'oro; oh che maestà! Ma ditemi, chi sono quelli omaccioni vecchi co' cappucci rossi in testa, che portano il papa là su quella sedia pontificale e gli altri che gli sono attorno?

G. Quelli che portano il baldacchino a sua Santità sono parte de' Signori della città, e l'altra parte col gonfaloniere di giustizia portano sua Beatitudine, aiutati da molti giovani nobilissimi, vestiti con calze di scarlatto, giubboni di velluto chermisi, con le berrette con punte d'oro e una veste di sopra di velluto pavonazzo bandato di tela d'oro, i quali soccorrevano ora a quelli del baldacchino, ed ora portare il papa: sono accanto a sua Santità i dua assistenti.

P. Mi contenta infinitamente, e sta molto bene quel papa, benedicendo il populo ch'io veggo che l'avete fatto lietissimo, e per la piazza, e su per le finestre, e per le porti delle case, e per li muricciuoli, che mi fa parere d'esservi presente; ma quelle donne, che sono gittatesegli a' piedi per la piazza, per chi l'avete fatte?

G. Quelle si sono fatte per mostrare la divozione che ebbono molte, che, dimandando la remission de' peccati loro, erano assolute da Leone.

P. Che altra gente veggo dreto al baldacchino?

G. Signore, sono i duoi cubiculari col segretario maggiore, ed i duoi medici, e il tesauriere che getta al populo danari per magnificenza; e dreto è l'ombrella di sua Santità.

P. Certamente che io mi satisfo assai: ma, perché gli occupa ora la veduta le case, e che non si può vedere cosa alcuna, perché non vi è più luogo, se voi sapete il resto dell'ordine, ditemelo.

G. Non è cosa che importi molto, ma, per satisfarvi, dirò che, seguitando l'ordine, v'ha esser dreto i prelati assistenti, ambidue gli ambasciadori del re di Francia laici, alla destra degli altri prelati, poi gli arcivescovi, i vescovi, e protonotari, gli abati, i generali, i penitenzieri, referendari, non prelati, e il resto tutto il populo.

P. Trionfo certo grandissimo, ed è da esser curioso di vederlo: che mi rallegra e muove questa pittura tanto che non ha voce, e vo pensando che dovette essere le grida del populo dove passava: ma che artiglierie vegg'io sotto S. Piero Scheraggio?

G. Sono i bombardieri del palazzo, che le tirono per allegrezza; così vedete alle finestre del palazzo i pifferi che suonano, ed i trombetti, che ognuno fa festa, ed è adorno le finestre di tappeti, e parato la ringhiera col gonfalone del populo, col carroccio, e con tutte le insegne delle Capitudini.

P. Ci resta solo che mi dichiate che figure grandi sono queste due qua innanzi a uso di giganti, una finta d'oro, e l'altra d'argento, a ghiacere in su questa basa.

G. Questi, Signor mio, sono l'uno d'argento, figurato per il monte Appennino, padre del Tevere, il quale è sempre bianco per le nevi e freddo per 1'altezza sua, che per onorar Leone è venuto ad abbracciare Arno suo figliuolo, partorito da lui, e fatto d'oro per 1'età d'oro che a questa città portò Leone mentre che visse: ha il leone sotto, dove si appoggia, perché il detto fiume riga per il mezzo Fiorenza, la quale ha 1'insegna del leone per Marte, Iddio dei soldati di Silla o di Cesare, che la edificorno: ha il corno di dovizia, per l'abbondanza, così de' frutti terrestri, come degl'ingegni de' suoi populi; in aria è lo apostolo santo Andrea che fu lieto questo giorno.

P. Bene affatto l'invenzione, l'ordine ed ogni disposizione di misure; torniamo a posta vostra a guardare il palco, ora che sono riposato.

G. Torniamo all'ottangulo nel cantone, dove è ritratto Francesco re di Francia, il quale, come vi dissi, chiese di venire a parlamento con Leone a Bologna, che fu subito che il papa si partì da Firenze, ed arrivato duoi giorni innanzi al re, il quale entrò in quella città accompagnato con ottomila cavalli, e da onoratissime ambascerie di tutte le città libere, e de' principi.

P. Già veggo Leone in pontificale, che abbraccia il re Francesco, il quale gli è ginocchioni a' piedi, con quella veste chermisi, foderata di lupi bianchi, che l'ho conosciuto all'effigie, vista da me altre volte; e mi pare che mostrino l'uno e l'altro, alla gravità, alla benigna mansuetudine, ed allo splendore, il desiderio di satisfare l'uno all'altro: ma il fine di questa sua venuta non partorì quel desiderio che aveva il re di cacciar gli Spagnuoli d'Italia.

G. La cagione fu che Leone con providenza mostrò che non si poteva (per l'obbligo che aveva con Ferdinando re, che era con certo tempo congiunto in obbligo e lega publica) che, fino che non passavano sedici mesi, non era in poter suo il mutar consiglio, e far lega nuova senza suo grandissimo carico ed infamia d'aver macchiata e rotta la fede; ma non mancò dirgli che a miglior tempo che allora, l'arìa fatto; ed essendo nel cuore del verno allora non si poteva far cosa buona; così ottenne in questa sua venuta la dignità del cappello rosso per Adriano Bonsivio, il quale era fratello carnale di Aimone maestro della famiglia del re, che è quello a lato a Leone, anch'egli ritratto di naturale: ma guardiàno qui di sotto l'origine della guerra d'Urbino, nata doppo la morte del duca Giuliano, fratello del papa; che fu, come dicemmo di sopra in quello ottangulo, da Leone dato il governo di Fiorenza al duca Lorenzo.

P. Ora mi piacete voi, poiché temperate lo straccarsi il collo con la vista allo insù, per ristorarla poi un pezzo per guardare in piano: incominciate questa storia; e, poiché so sapete molti particolari che veggo che ci usate diligenza, non vi paia di grazia fatica il narrarmi appunto l'ordine di questa guerra dal principio al fine, che lo desidero assai.

G. In questa storia, Signore, è quando il campo del papa ebbe preso in pochi giorni tutto lo stato d'Urbino, e Sinigaglia, e che partitosi il campo dalla rocca di Pesaro, la quale battuta con l'artiglierie due dì, convenuto Tranquillo, capo di quella, se fra venti giorni non venisse il soccorso, di arrendersi al papa; passato il termine, ed egli non osservando la promessa, anzi di nuovo assalito il campo ed offesolo con l'artiglieria della rocca, fu cagione che i suoi soldati, che vi erano drento, per salvar loro ed i capitani, lo diedero prigione in mano de' commissari dell'esercito, da' quali fu condennato al supplizio della forca: cagione potentissima, per questo spavento orribile, che la rocca di Maiolo si arrendè in pochi giorni; che è quel luogo che mostra in questa storia di lontano; ma dirimpetto al fortissimo sasso della rocca e castello di San Leo, il quale è questo che Vostra Eccellenza vede dipinto in mezzo a questa storia.

P. Questo è adunque il sasso di S. Leo, tenuto inespugnabile?

G. Questo è desso, ritratto di naturale dal luogo proprio con tutti i suoi monti, valli, piani, fonti e fiumi, e con tutte le sue dirupazioni fatte fortissime ed inespugnabili dalla natura, e gli altri luoghi più deboli ringagliarditi con torrioni e mura dall'arte ed ingegno degli uomini. Fu, Signor mio, munito questo luogo per il duca Francescomaria d'Urbino d'ogni cosa ad una rocca necessaria.

P. Sta bene: ma trovossi a questa andata con questo esercito il duca Lorenzo de' Medici?

G. Signor no, perché del campo partì il duca Lorenzo, preso che fu Pesaro e Sinigaglia, e ritornato a Firenze ordinò che intorno a S. Leo vi andasse mille cinquecento fanti dell'ordinanza fiorentina col signor Vitello Vitelli, ed Iacopo Gianfigliazzi, ed Antonio Ricasoli, commessari fiorentini, e con loro Iacopo Corso, capitano generale dell'ordinanza, il quale aveva ancora fra Spagnuoli e Corsi cinquecento soldati; ed arrivati a piè di S. Leo lo circondorno intorno con sì strette guardie, che non poteva di quel luogo uscire né entrare anima vivente, che non fussi veduto.

P. Certamente ch'io sono ito considerando a questo sito, il quale è molto forte e molto ben posto: se egli sta così il vero, come questo che avete qui ritratto, mi pare che chi lo pose l'abbia situato sì bene e tutti que' forti e la rocca in cima di questo sasso, poiché ella lo scuopre tutto: seguite adunque quello che fece lo esercito.

G. Ristretti insieme i capi consultarsi, mandare prima il loro trombetta a fare intendere al castellano, che era M. Silvio da Sora, ed al signor Gismondo da Camerino, ed al signor Bernardino delli Ubaldini, ed a gli tutti uomini del castello, e soldati che erano drento, di quella guardia, che sapendo che erano scomunicati dal papa che eglino se li dovessono rendere, come il resto di tutto lo stato, acciò i beni e la vita, ed ogni cosa che avevano, non fussi loro tolta, anzi potessino per questi mezzi essere restaurati de' danni patiti, e remunerati dell'opera che fuggirebbono in non volere sopportare uno assedio per fare strazio e danno a loro medesimi.

P. Che risoluzione fu data al trombetta da' capi di S. Leo?

G. Non altro se non che voltategli l'artiglierie e non volerlo udire; né per questa villanìa restarono quelli del campo che non scrivessono molte lettere esortatorie, confortandoli allo accordo; le quali, messe in cima a' verrettoni delle frecce de' balestrieri loro, le feciono tirare nelle sommità del sasso né per questo si disposero mai a mancare di fede al duca Francesco Maria, anzi di giorno in giorno più incrudeliti attendevano il giorno e la notte a tirare artiglierie e a offendere il più che potevano l'esercito, il quale non poteva, per i pericoli de' colpi e de' sassi che tiravano, accostarsi a quel luogo per un mezzo miglio di spazio.

P. Il duca Francesco Maria non diede mai soccorso a questo suo stato?

G. Signor sì, né restò di provare molti modi: ma vedendo non potere, per non fare maggior danno ai suoi vassalli, avendo fede in loro, spettava migliore occasione; pure, a questi segretissimamente ragunato cento uomini, e del suo stato cinquanta animosi e valenti, ed altri cinquanta mandò da Mantova con scoppietti, i quali unitisi insieme si partirono segretissimamente per entrare nella rocca; scopersesi in campo del papa (perché erano tanti) il trattato; che presone alcuni furono, come Vostra Eccellenza vede, in su' colli dirimpetto alla rocca appiccati; per il qual caso tenendosi il campo sicurissimo, e rinforzato le guardie, la mattina medesima in su l'aurora furon condotti da uno, chiamato Leone di quel luogo, quindici scoppiettieri inimici, e menati per mezzo del campo come amici, salutando le guardie, le quali per loro inavvertenza credendoli loro medesimi entrarono sicuri in S. Leo.

P. Non furono punite le guardie?

G. Furono per clemenza del duca Lorenzo libere dalla morte; inteso il caso li cassò dall'esercito solamente.

P. Grandissima clemenza del duca Lorenzo, e gran conforto ne dovettono pigliare quelli di S. Leo.

G. Infinito; e lo mostrarono col farne festa con campane, fuochi, e tiri d'artiglierie, massime che gli dicevano che ‘l papa stava male, e che il duca Francesco Maria faceva grossissimo esercito per ripigliare lo stato.

P. Che partito pigliarono quelli del campo?

G. Ristretti il signor Vitello, Iacopo Gianfigliazzi, ed Antonio de' Ricasoli e ordinato di batterlo, e con scale per forza cercare più luoghi di straccarli, e per varie vie d'ingegni vincerli; e dato l'ordine di metterlo ad effetto, furono grandemente sconfortati da Iacopo di Corsetto, stato già molti anni alla guardia di quel luogo, e molto pratico, mostrando tante difficultà, che, raffreddatigli, pensarono che non si potessi pigliare senza uno stretto assedio: feciono deliberazione di far fossi, trincee, e bastioni, ed alloggiamenti, accosto al sasso, per i soldati; così, fatto venir quattrocento guastatori, feciono uno bastione dirimpetto alla porta di San Francesco, l'altro al Monte dirimpetto alla rocca, un altro ne feciono dirimpetto alla porta di sopra, e l'ultimo al mulino di sotto, e per poter soccorrere ed andare dall'uno all'altro, feciono i fossi profondi, dove vede Vostra Eccellenza che vanno queste ordinanze di questi archibusieri in fila col tamburo, e questi alfieri, che hanno inalberato queste insegne.

P. Difficilissima impresa fu questa, e non dovette essere il far questi fossi senza uccisione d'uomini.

G. Signor no. Ordinato il signor Vitello ed Iacopo Gianfigliazzi tutto questo ordine, partirono per Firenze per mostrargli in quanta difficultà si trovava quello esercito, e se voleva levarsi da quella impresa.

P. Che risolvè il duca Lorenzo?

G. Di lassare la cura al Ricasoli ed a gli altri capitani, i quali, dopo la partita del Vitelli e del Gianfigliazzi, avevano fatto provvisione d'uomini destri ed animosi a salire in luoghi alti, ed alcuni ingegneri di mine e d'altri ingegni atti alle difficultà loro, i quali, accostandosi al sasso, mancava a tutti l'animo e l'ingegno, veduta l'altezza.

P. Che fine ebbon poi tante difficultà?

G. L'ebbono bonissimo, perché dua soli uomini di meno considerazione delli altri (che l'uno fu Bastiano Magro da Terranuova, e l'altro maestro Giovanni Stocchi dalla porta alla Croce) come pratichi artieri fatto fare una sorte di ferri, i quali gli ficcavano con scarpelli nel masso, ed accomodando ad essi legature di funi, facendo con legni ponti da una altezza all'altra, mettendo poi scale di ponte in ponte, faceva tal commodità, che si andava di mano in mano infino in cima al sasso per una dirupazione la più difficile e più scoscesa, e tenuta più forte da loro, e però era men guardata.

P. È ella quella verso di noi, dove io veggo i ponti, i ferri, le scale, e coloro che montano in alto?

G. Quella è essa; per la quale andati parecchi giorni Bastiano e Giovanni senza essere mai scoperti, e non sapendo questo loro lavoro altro che il Ricasoli in segreto, il quale quando fu tempo fece ragunare in S. Francesco tutti i capitani e conestabili, che furono il capitano Iacopo Corso, il signor Francesco dal Monte Santa Maria colonnello, Meo da Castiglione, Perotto Corso, il Guicciardino, M. Donato da Sarzana, il capitano Piero, e Morgante dal Borgo a S. Sepolcro, il Mancino da Citerna, Giannino del Conte, ed altri conestabili, proponendo loro, che se per loro virtù e forza d'arme s'espugnassi questa rocca difficilissima, quanto onore ne acquisterebbono loro ed utile al papa, e fama immortale al nome italiano; né bisognò molto dire, che arditamente promessono o di pigliarlo, o di lassarvi la vita. Così scelto per ciascuno capo venti uomini valorosi e destri, acciò, quando fussi tempo al commessario di servirsi di loro, fussino in ordine, si condussono al sasso nell'oscurità della notte tutti li stromenti da salire, avendo fatto dare ordine il commissario, che intorno al sasso fossero la mattina cinquanta archibusieri, e lo scorressino per levar le velette d'attorno, e piantati, dove scopriva il piano del sasso, assai moschetti, sagri, falconetti, e colubrine, che avevano in campo, acciò battessino per tutto il sasso, e fatto piantare parecchi cannoni grossi da batteria fra que' gabbioni che Vostra Eccellenza vede, acciò non potessi andare scorrendo nessuno di S. Leo per il monte a fare alcuna scoperta: che durò questo modo di fare, non solamente tutto il giorno e la notte, ma era durato ancora parecchi giorni innanti, tanto che il lunedì sera, che fu a' 15 di Settembre nel 1517, al tramontare del sole, furono chiamati nella chiesa di San Francesco tutti i soldati, che avevano a andare, i quali inanimiti dal commissario de' Ricasoli con parole molto a proposito in servizio de' soldati ed in onor della casa de' Medici; e con sicure e larghissime promesse dando loro in preda tutta la roba de' nimici, e che potessino far taglia ne' prigioni che pigliavano.

P. Gran resoluzione de' soldati, ed ottima provvidenza del commissario!

G. Partiti adunque i capitani, e tutti i soldati di S. Francesco, che era già notte con un tempo oscurissimo, pieno di pioggia, di lampi, di baleni e di tuoni, che a pena si potevano reggere i soldati in piede, così a poco a poco quando sei, e quando otto si accostorono tutti al sasso, tanto che a tre ore di notte vi furon condotti segretissimamente.

P. Il campo non aveva fatto provvisione alcuna in questo mezzo?

G. Signore, nel campo era ritornato Iacopo Corso, il colonello signor Francesco dal Monte, e Meo da Castiglione, per mettere in ordine di scalare, da quella parte dove è più facile, ancor che fussino scoperti, e dove Vostra Eccellenza vede che gli scalano il sasso che questo altre volte lo avevano disegnato i capitani, e quelli di drento se lo indovinavano; ancora che vi concorsono di nascosto cinquecento fanti in più luoghi, per iscoprirsi nel dare il cenno, che avevano Bastiano Magro e maestro Giovanni Stocchi: di sopra erano in aguato la compagnia de' Corsi, e da quella di S. Francesco quattrocento compagni dell'ordinanza; e fu gran travaglio de' soldati del papa la notte, perché, venendo una pioggia gelata e continua, che sendo entrato loro addosso un freddo sì crudele, che, ancora che egli stessino addosso l'uno all'altro, non si potevano riscaldare.

P. Che facevano drento quelli del sasso? La notte dovevano pur sentire strepito.

G. Tiravano pietre per quelle balze, come era lor costume, grosse e piccole, con un romore che rintronava quelle valli, e teneva in timore tutto lo esercito che era intorno al sasso.

P. Non si sa egli la misura, Giorgio, dell'altezza di questo sasso?

G. Signor sì che ella si sa; sono appunto centocinquanta braccia, massime nel luogo dove Vostra Eccellenza vede quei soldati sì alti, che salgono seguitando Bastian Magro e maestro Giovanni, i quali sono i primi a far la via, per la via che hanno fatto con i ferri, funi, ponti, e scale a tutto il resto de' soldati, che li seguitano, e loro come capi vanno innanzi per dare animo agli altri.

P. Che insegne son quelle che io veggo che portano e che picche i soldati, mentre che montano si porgono l'uno all'altro?

G. Sono sei insegne de' più valenti alfieri che fussino in quel campo; i quali, seguendoli li centocinquanta fanti eletti, montorno valorosamente in sul dirupato del sasso, come mostrano in pittura; i quali in gran parte arrivarono in luogo coperto da' nimici vicino all'alba del giorno, perché di notte senza lume saria stato impossibile per la stranezza di quel luogo difficile.

P. Io mi maraviglio che allo strepito dell'arme e delle picche non fussino scoperti dalle guardie del sasso, essendo tanti.

G. Signore, gli era dì chiaro, mentre che Bastiano Magro e maestro Giovanni Stocchi, e Gostantino che furono i primi a salire con quattro compagni scoppiettieri per uno, il tamburino, e gli altri venti soldati con le picche aspettando il resto de' compagni, che di mano in mano montavano, fu per consiglio del signor Francesco dal Monte Santa Maria e Perotto Corso, che si ponessino a ghiacere in terra fin che gli altri arrivavano; passò di quivi una guardia inimica, la quale partitasi dal luogo suo, gli vedde così prostrati in terra e cominciò a levare il romore, talché vedutosi scoperti, non aspettando altrimenti i compagni, diedono il cenno che avevano a quelli del campo, i quali subito con Meo da Castiglione piantarono le scale al luogo solito, e così feciono gli altri capitani, i quali con velocità in più luoghi, come Vostra Eccellenza vede, assalirno il monte, e con altre scale per divertire quelli di drento, i quali spaventati per vedere inalberato sei insegne, e moltiplicare il piano del sasso buon numero di soldati, i quali andando in battaglia e combattendo valorosamente con i nimici gli messono in fuga: ancoraché la rocca tirassi del continuo loro; così una parte volti di drento a serrare la porta ed aprirla, la quale aiutata rompere da soldati del campo di fuora in un tratto l'apersono e entrati drento con gran furia presono tutto il piano del monte con morte e ferite assai de' soldati di drento, facendone molti prigioni, con sacco di tutte le case di quel luogo. Tornò utile a quelli che fur solleciti a ritirarsi presto nella fortezza, che è quella che Vostra Eccellenza vede murata in cima al monte, nella quale entrato drento Carlo da Sora combattendo campò insieme con molti della terra. Fu morto da uno scoppiettieri quel Lione, che messe drento in S. Leo que' quindici soldati, poiché ebbono preso il monte con sanguinosa battaglia. Al signor Gismondo da Camerino, che correva ignudo per il sasso, gli fu gittata una cappa addosso, e poco mancò che non fusse prigione; le guardie che fur trovate alle poste la maggior parte furon morte; avendo in ultimo preso ogni cosa del sasso, ed i soldati attendendo alla preda, ed entrato drento il commissario de' Ricasoli co' Galuppi del duca Lorenzo, mandò subito bandi che il romore cessasse, e la roba non si buttassi per le balze del monte, fatto intendere al castellano della rocca che si arrendesse: il quale sbigottito da tanta furiosa vittoria, avendo piena la rocca di uomini e di donne e di putti, fuggiti, mentre si combatteva, della terra; le donne, le quali per un bando del Ricasoli, che prometteva che s'elle non ritornavan drento nella rocca le daria in preda a' soldati, e gli uomini della terra se non si arrendevono, farebbe tutti appiccare per la gola.

P. Che resoluzione fece il castellano e gli altri della rocca sentito il lamento delle donne e le minacce del commessario?

G. Visto che M. Niccolò da Pietrasanta aveva messe dentro al sasso tutte le artiglierie grosse da muraglia, e piantatele dirimpetto alla rocca, e di nuovo facendoli intendere che se aspettavano la batteria e che vi entrassono per forza, ne andrebbono tutti a fil di spada; sbigottiti rimesso drento le donne, l'altro giorno, dopo molte dispute fra loro, si diedono al duca Lorenzo, mandando fuori per ostaggi il fratello del conte M. Bernardino Ubaldini, i quali andando a Firenze a gettarsi a' piedi del duca Lorenzo dimandaro misericordia, e di quella ostinazione perdono; il quale non ostante l'ingiurie e i danni ricevuti gli perdonò loro ed accettò per suoi vassalli benignamente, salvando loro la vita e l'onore; che poi il commissario cavò tutte le donne della rocca, e mandando per i parenti loro e amici di quelle castella convicine, donde esse erano, con diligenza le fece accompagnare da' suoi soldati fino alle case loro; e i soldati forestieri, che guardavano prima la rocca, fece uscire disarmati di tutte l'armi, e quelli accompagnar sicuri fino fuor delle mura, senza lor torcere un pelo. Diede poi a' soldati suoi gli uomini della terra, che gli facessono pagar taglia, e gli sbandì poi fuor di quel ducato con pena della vita, e sotto pena di esser fatti di nuovo prigioni: messe poi nella rocca per castellano Bastiano Magro ed il capitano Piero, i quali dovessino avere diligentissima cura della guardia di quel luogo, e che tenessino cura particolare di guardare il signor Gismondo, ed il cappellan vecchio, e tutta la munizione che era rimasta drento, e l'altre robe; e fatto chiamare ser Bonifazio Marinai, che era cancelliere dell'ordinanza, e minutamente fattogli fare uno inventario di tutto quello che era in rocca d'ogni sorte robe, e quella del signor Gismondo e del castellano, insieme con la guardaroba del duca passato, le quali erano cose rarissime, di paramenti di camere, e di letti e d'armi, come d'altri arnesi, e imballorno con diligenza, e tutte condussero a Fiorenza. Qui finisce la guerra di S. Leo, la quale vi è stata forse troppo minutamente contata, ma che tutto ho fatto, perché questi scrittori la passan via molto leggiermente, e perché già tutto intesi da Bastian Magro, mentre che era vivo, mi son risoluto di stendere in questo, perché Vostra Eccellenza sappi il successo di questo caso a punto a punto, che credo oggi che da molti pochi lo potresti sapere.

P. Anzi m'è stato grato; e ci ho avuto satisfazione, quanto in cosa che voi aviate conto di queste storie; ma ditemi, perché non s'è egli riservato questa fortezza a questo stato?

G. Credo pur che Vostra Eccellenza lo sappi, perché l'anno 1527, quando in Firenze passava il campo della lega, e che fu la revoluzione dello stato, e che Francesco Maria duca d'Urbino si adoprò per mezzano fra il popolo ed i Medici, i Fiorentini gli resono la fortezza del sasso di S. Leo, che di tutto n'è pure fatto menzione da coloro che hanno scritto le storie. Ma guardi Vostra Eccellenza, per venire al fine, in quest'ultimo ottangulo, nel palco di questa sala, è quando il re Francesco chiese di venire a parlamento con Leone a Bologna, pensando con la presenza sua ottenere da Sua Santità e con i parlamenti che e' fece, di cacciare gli Spagnuoli d'Italia; dove io fo qui che umilissimamente il re Francesco s'inginocchia, ritratto di naturale, dinanzi a Leone con le sue ambascerie onorate, e quivi, come Vostra Eccellenza sa, papa Leone lo ricevè in pontificale con tutta la sua corte.

P. Certamente che il papa con gran provvidenza e giudizio mostrò al re che non si poteva levar dalla lega che aveva con Ferrando, che, secondo ho inteso, durava ancor dieci mesi, perché egli aveva obbligata la fede sua; ma il re ebbe molte altre cose dal papa, e fra l'altre so che gli fece cardinale Adriano Bonsivio, il quale era fratello carnale di Aimone maestro della famiglia del re; avetelo voi ritratto qui in questa storia in nessun luogo?

G. Signore, egli è quello che è fra il papa ed il re, che ha viso di Franzese. Gli altri, che son quivi, sono sua ambasciadori e gente del re: così de' cardinali ed altre genti della corte del papa, e ci arei fatte molte cose di più, ma l'aver poco spazio ha fatto ch'io non ho potuto far altro.

P. Tutto sta bene, ed approvo: ma abbassiamo gli occhi. Ditemi, Giorgio, che storie figurate veggo io in questa faccia sopra questo cammino di marmo? Dove io veggo in questa sala dipinto fra l'architettura di queste colonne papa Leone a sedere col collegio de' cardinali attorno, chi ritto, e chi a sedere, e chi ginocchioni, e chi gli bacia il piede in diversi atti, e mostrano adorarlo, e ricever da lui berrette e cappelli rossi.

G. Questa storia, Signor mio, è fatta da me, perché doppo che papa Leone trovandosi obligato a molti cardinali ed amici suoi, i quali nella sua creazione avevano dato la voce, per aver da lui benefizi, il papa, talvolta trapassando il tempo, vinto da' preghi e bisogni de' suoi parenti, o da uomini nuovi, dava loro questi benefizi; laddove, lamentandosi parecchi cardinali che per il commodo di altri gli fussino levate queste cose, come che a torto, per darle ad altri, fu cagione che machinando poi il Sauli, il Petrucci, il Soderino, ed Adriano da Corneto, e San Giorgio, e Raffaello Riario, cardinali de' primi, che conferito il loro malanimo col segretario Antonio, che scriveva, e con il Verzelli, cantainbanca e medico, uomo scellerato, quale, come sapete, doveva medicar Leone di quella fistola, perché dovessi attossicar le pezze; che scoperta la ribalderia, lui fu poi squartato in Campo di Fiore, e que' cardinali a chi tolto il cappello, e chi in fondo di torre in Castello Sant'Agnolo, e chi confinato; e che condussono in tanta collera papa Leone che per temperare quella furia, come persona di giudizio, risolvè creare un altro collegio di cardinali nuovi: per il che con maraviglia di ogn'uno, e con nuovo modo di liberalità grande, rimesse in quel collegio ventuno cardinali, senza temere o pensar punto di quello rispetto che si suole avere ai cardinali vecchi, i quali per vergogna del delitto degli altri non ardiron favellare mai. In questa storia, Signor mio, ci son tutti i ritratti loro di naturale, per mostrare fra queste storie quella magnificenza di Leone.

P. Tutto so: ma cominciamo a veder chi e' sono; che ancora ch'io altrove n'abbi visti ritratti parecchi, ed anche vivi qualcuno, l'essere invecchiati poi, e mescolati qui fra tante figure, malagevolmente, se non me lo dicessi, li conoscerei, e massime che, avendo eglino tutti uno abito in dosso, è difficile a ritrovarli: ma voi, che gli avete fatti, potete cominciare a dire chi e' sono.

G. Questi quattro (che tre se ne vede intieri, i quali seggono di fuori in fila) sono que' primi quattro cardinali che Leone da principio fece, che questo primo, che volta le spalle vestito di rosso senza niente in testa, ed accenna con la mano manca, è Lorenzo Pucci, il quale parla con Innocenzio Cibo nipote di Leone, ed è ritratto da una testa che fu fatta in quel tempo che egli era giovine; che molto, dicono, che lo somiglia; l'altro che siede, vestito di pavonazzo, senza niente in testa e conoscibile, dico quello che accenna con una mano, è Giulio cardinale de' Medici cugino di Leone, e l'altro che gli è dinanzi vestito di rosso, che si appoggia con il braccio ritto, è il cardinal di Bibbiena, il quale lo somiglia assai bene, perché è ritratto da uno che Raffaello da Urbino fece in quel tempo a Roma, il quale è oggi in casa de' Dovizi in Bibbiena, e lo tenni qui molti mesi per ritrarlo in queste storie.

P. Gli altri voi sapete, che si riconoscono senza dirlo; ma poco di qua alla man dritta verso le finestre, ditemi, chi è quella testa con la berretta in capo, pienotta, che ha quella cerona rubiconda, e volta verso di noi il viso in faccia?

G. Questo è Pompeo Colonna, il quale, come sapete, di questo benefizio sì grande d'averIo Leone fra tanti cardinali romani eletto per il primo, egli ne rese il cambio nell'esser contra papa Clemente suo cugino, mettendo una volta a sacco Borgo, il palazzo, e la sagrestia del papa, ed in fine tutta Roma a sacco con Borbone, e l'altre cose, che l'Eccellenza Vostra le sa meglio di me. L'altro, che gli siede allato, che sta sì intero, vecchio e raso, con quella cera magra, è Adriano Fiammingo, che fu fatto, dopo Leone per la discordia de' cardinali, papa, e mandato per lui, che non si trovò in conclave, nella Fiandra.

P. Non ha cera se non di buono, e certo anco lo dimostrò, perché, se fusse stato altrimenti, aria in cambio di venire a Roma condotto la corte nella Fiandra; ma, come persona che stimò più l'obbedire altri, che fare obbedire sé, si condusse a Roma. E certo che, se non lassava perdere Rodi, non saria stato mal papa: ma ditemi, non è questo qua dinanzi a lui il cardinale de' Rossi Fiorentino, che mi pare averlo visto ritratto di mano di Raffaello nel quadro, dov'è anco ritratto papa Leone?

G. Signore, gli è desso, e sopra lui in quel vano quel primo che volta a noi le spalle che si vede poco del viso, è il cardinale Piccolomini Sanese; e l'altro, che se gli volta, è Pandolfini Fiorentino; l'altro in proffilo, senza niente in testa, è il cardinale di Como Milanese; l'altro raso con la berretta in testa è il cardinale Ponzetta Perugino, che fu poi camarlingo.

P. Questo grande qua innanzi vo' sapere che in mezzo della storia volta a noi le spalle, vestito di pavonazzo, e che parla a quel giovane, che ha sì nobile aria; chi sono che a' visi paiono forestieri?

G. Signore, l'uno è Vico Spagnuolo, e l'altro è il cardinale di Portogallo.

P. Ditemi que' due sopra il cardinale Colonna; l'un vecchio con la cappa in capo pavonazza mi pare averlo visto, così l'altro.

G. Signor, non credo che gli abbiate visti, sentiti nominar sì: il vecchio è il cardinale della Valle, l'altro è Iacobucci, che furono l'uno e l'altro Romani.

P. È questo, Giorgio, quel cardinale della Valle, che fece in Roma quello antiquario, e che fu il primo che mettessi insieme le cose antiche, e le faceva restaurare? Arei certo, per quella memoria, molto caro di conoscerlo.

G. Questo è desso; e sotto loro nel lontano que' dua che seggono nell'oscuro della storia, l'uno è Cavaglioni Genovese, e l'altro è Francesco Rangone, cardinale modanese.

P. Ditemi, Giorgio, non vegg'io sopra il cardinale Giulio de' Medici dua cardinali ritti con le berrette in capo? Che, avendo l'uno e l'altro conosciuti vivi, mi par raffigurarli ancor qui dipinti; il cardinale Ridolfi è questo primo, l'altro si conosce meglio, che mi pare Salviati.

G. Son dessi; guardi Vostra Eccellenza nell'ultimo della storia quelle dua teste, una rasa e magra, l'altra con la barba nera in proffilo; quella rasa è Silvio Passerino, cardinale di Cortona, l'altro è maestro Egidio da Viterbo, generale de' frati di Sant'Agostino; e gli altri tre, che seggono sotto questi, il primo è il cardinale d'Araceli, già generale de' frati di S. Francesco, l'altro è il cardinale Gaetano, generale de' frati di San Domenico.

P. Hanno tutti buona cera d'uomini: ma chi son quelle dua teste nell'oscuro fra il cardinale di Bibbiena e Vico Spagnuolo?

G. L'uno è il cardinale Borbone, Franzese, e l'altro il cardinale de' Conti, Romano.

P. Non ci è egli più Romani? In sino a ora non ho sentiti contare se non Colonna, La Valle, e Iacobucci e questo.

G. Io gli ho fatti, Signor mio, tutto il resto intorno al papa; questo primo, che se gli inginocchia innanzi, vestito di rosso e che gli bacia il piede, è Franciotto Orsino, Romano, suo parente; quel giovane di là, quello vestito di pavonazzo, è Domenico Cupis cardinale di Trani, Romano; l'altro di là, che gli bacia il piè ritto, è il cardinale Cesarino, Romano; e quello che il papa gli mette la berretta in capo, è Petrucci; e quello che gli è allato è il cardinale Armellino, Piamontese; quel più alto, giovane, vicino al papa, ritto, che volta a noi la faccia, è Paulo Cesi cardinale romano; e l'altro allato è Triulzi cardinale milanese; ed appresso è Pisani; l'altre due teste, che sono quivi più lontane, l'uno è il cardinale Pontuzza Napolitano, e l'altro è Campeggio cardinale bolognese; che questo numero fa trentuno cardinali, e quanto a que' primi, trentacinque, ho volsuto fare mostrare che non poteva far fede di questa magnificenza che quattro persone illustre che ho ritratti di naturale, che sono conoscibili, là nel lontano della storia fuora dell'ordine del concistoro: l'uno il duca Giuliano de' Medici, l'altro il duca Lorenzo suo nipote, che parlano insieme tra due de' più chiari ingegni dell'età loro; l'uno è quel vecchio con quella zazzera inannellata e canuta, Leonardo da Vinci, grandissimo maestro di pittura e scultura, che parla col duca Lorenzo, che gli è allato; l'altro è Michelagnolo Buonarroti.

P. Storia piena di virtù, e di liberalità e grandezza di papa Leone, il quale con nuovo modo obbligò a casa nostra, per ogni accidente che potessi nascere ne' casi della fortuna, quasi tutte le nazioni, esaltando tanti uomini virtuosi e singulari per dottrina, e per nobiltà di sangue; ma seguitiamo il resto delle storie del palco che si sono tralasciate: ditemi, perché figurate voi questa storia, dove io veggo qui sopra la piazza di S. Leo il cardinale Giulio de' Medici a cavallo in pontificale, con l'esercito dreto, e dinanzi un altro esercito, che lo benedice, e si parte? Che femmina grande avete voi fatto in terra, nuda, che gli presenta una chiave, e quel vecchio fiume, che getta acqua per quel vaso da sette luoghi?

G. Signor mio, questa l'ho fatta, perché, come sa Vostra Eccellenza, dopo che per invidia e per discordia, che era fra Prospero Colonna ed il marchese di Pescara, l'impresa di Parma ebbe sì vergognosa riuscita, che Leone non potendo sopportare la villania e arroganza ricevuta da costoro, scrisse a Giulio cardinale de' Medici di sua mano, che in lui solo era rimasto il ricuperare la vittoria ed il danno di quella guerra, che gli aveva levato la discordia de' capitani, confortandolo subito ad andare a trovare lo esercito; e pigliata l'impresa di quella guerra, accordò i capitani, e con la virtù e generosità sua rallegrò e diede animo a' soldati; e, fatto consiglio, maneggiò il cardinale de' Medici di maniera quella guerra, che per le crudeltà, che aveva fatto il Coscù a Milano, sendo chiamato in Francia a difender le sue ragioni, di dolore era morto a' Carnuti; e mentre che Lutrech metteva tutte le difese sue, nel guardare il contado di Milano, le genti del papa furono insieme con gl'Imperiali ricevute a Piacenza, a Cremona, a Parma, ed a Pavia, e come vede Vostra Eccellenza a entrare nel paese: e quella femmina nuda con quel corno della copia, che diceva Vostra Eccellenza, l'ho fatta per la Lombardia, la qual così nuda, cioè spogliata da' soldati, volentieri presenta le chiavi delle sua città al cardinale de' Medici, il quale ha seco tutti i suoi capitani, che sono Prospero Colonna, il marchese di Pescara, Federigo Gonzaga, marchese di Mantova, generale dell'esercito del papa, che sono que' tre primi accanto al cardinale, ed altri che non ne ho memoria ora.

P. Ditemi, quel vecchio armato, con quella barba canuta, che fa saltar quel caval bianco accanto al cardinale, per chi l'avete fatto?

G. Quello è Ramazzotto capo di parte, che altra volta se n'è ragionato; e quel vecchio nudo, che ha quel vaso sotto il braccio, con que' sette putti che versano acqua, con quel corno di dovizia, è fatto per il fiume del Po; i soldati, che sono innanzi, è l'esercito franzese, che si parte.

P. Ci resta a vedere e considerare appunto il meglio di queste storie, che è questa grande nel mezzo del palco; che battaglia è ella? Mi par vedere il ritratto di Milano: io riconosco il castello, la Tanaglia, ed il duomo.

G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuto benissimo; questa è l'ultima, che, dopo che furono ricevuti i soldati del papa, tutta la Lombardia, come sa Vostra Eccellenza, per questo successo di vittoria avendo tutti i capitani ripreso animo con gran credenza in questo augurio di pigliar Milano, e avviati verso la porta Romana in ordinanza, ch'è quella ch'è quivi sopra quel baluardo, trovando, per credere d'esser sicuro, Lutrech disarmato spasseggiando a cavallo per la via, non credendo che senza artiglierie i nimici si accostassero a Milano: ma la virtù e prestezza del marchese di Pescara con animo invitto diede vinta quella vittoria, perché oltre che ebbe con i suoi Spagnuoli entrato sotto le mura, e passato come vedete i ripari, e morto alcuni, e messogli in fuga, saccheggiando gli alloggiamenti de' nimici, e correndo verso porta Romana, che abbassato da amici il ponte, fu messo drento, e poco ste che fatto aprire la porta Ticinese, che è quella più alta, dove Vostra Eccellenza vede entra dentro quella cavalleria, che v'è il cardinale Giulio de' Medici, e Prospero Colonna, ed il marchese di Mantova, i quali furono ricevuti dalla parte Ghibellina, che era nella città.

P. Tutto veggo; e certo ha del grande questa muraglia, ed il veder combattere tanti soldati, che con scale e con corde entrano sopra e combattendo nell'entrare di questi forti fanno veder la prontezza di questa guerra; ma ditemi, che gente in ordinanza fate voi intorno al castello, che pare che escano di Milano?

G. Signore, quelli sono i Franzesi e Sguizzeri, che hanno fatto alto al castello, i quali, sbigottiti e spaventati da sì subita venuta, escono tutti per la porta di Como disordinati, essendo per l'improvvisa perdita i loro capitani, Lutrech, Vandinesio, e Marcantonio Colonna, ed il duca d'Urbino usciti di loro stessi, perso il consiglio e l'autorità, e storditi se n'andarono via assicurati dalla notte, conoscendo che le genti del papa per quelle tenebre non potevano far loro danno sendo levata la commodità.

P. Tutto so, che tal vittoria fu cagione che non la sperando per la dubbiosa fede delli Sguizzeri, se ne maravigliarono; là dove venuta poi la nuova a sua Santità, che era ito a caccia, fu tanta l'allegrezza di questa vittoria, che soprappreso da una debol febbre, e ritornato a Roma, durò poco il trionfo di tanta vittoria, impedito dalla sua morte, che chiuse gli occhi alla pace d'Italia, ed impedì la felicità alli studi, ed alle virtù tolse ogni libera rimunerazione. Ma che storie avete voi messe finte di bronzo qui sotto alla storia di S. Leo, ed a quella, dove Leone fa l'entrata in Firenze?

G. Sono, Signore, pure tutte sue magnificenze, ma l'ho messe qui basse come per ornamento, sì come la liberalità era l'ornamento delle sue virtù. Questo sotto S. Leo è quando egli fa murare la fabbrica di S. Pietro, che Bramante architettore, frate del Piombo gli presenta la pianta di S. Pietro; e però lontano ho ritratto Giuliano Leni scultor di detta fabbrica, e, come vedete, S. Pietro nel modo che era anora, innanzi che fusse rifatta quella parte da Michelagnolo; èvvi i cardinali con gli altri prelati attorno, e dalle bande è il fiume del Tevere, dall'altra è il monte Vaticano con i sette colli, che son que' sette putti attorno con que' monti in capo, e quella Roma che gli domina. L'altra è quando egli manda a Firenze a presentare alla signoria il berrettone e la spada, che i papi soglion benedire e donare ai difensori ed amici della Chiesa, dono onorato e di favore singularissimo, che Leone ne volse far degna la patria sua; e mi duole, che vorrei avere avuto maggior luogo, perché ci arei fatto più cose, e queste con più copia di figure.

P. Certamepte che non meritava meno, pure anche questo non è poco: ma io guardo che avete accompagnata questa sala, e alle sue tante imprese di giuochi, di bronconi e di teste di leoni, che non vi bastando che sia dipinto in tante maniere per queste storie, che ancora avete fatto far la sua testa di marmo in quello tondo, e sopra l'arme sua [sostenuta] da que' putti di rilievo sopra questi frontoni di pietre col suo nome.

G. Questi frontoni di pietra sono fatti con li ornamenti drentovi queste porte di mischio per accompagnare l'architettura di questa sala, ed accompagnare queste porte e le finestre, che vengono fino in terra, per uscire fuora in sul corridoro che ha ricorrere intorno intorno al palazzo; perché tutti gli eroi di casa Medici hanno avuto il principio da papa Leone, si son fatte di marmo queste quattro teste sopra queste finestre, con l'arme ed imprese sopra tenute, come questa di Leone, ed il medesimo s'è fatto a queste teste dipinte sopra le finestre di marmo. Dopo Leone è papa Clemente, che è un ritratto bellissimo di mano d'Alfonso Lombardi: l'altra testa di marmo è il duca Giuliano suo cugino, pur di mano del medesimo: l'altra è il duca Lorenzo suo nipote; le dipinte nel mezzo sono madama Caterina de' Medici, e l'altra è don Giovanni cardinale de' Medici fratello di Vostra Eccellenza; e fra queste due finestre in questo vano è il duca Alessandro armato, primo duca di questa città, come vedete, tutto intero, che dà ordine, nella storia del basamento, che si muri la fortezza alla porta a Faenza; quivi è maestro Giuliano frate dell'ordine carmelitano, astrologo, che… coll'ora del mettere la prima pietra; sopra il suo capo, in quello ovato, vi ho fatto madama Margherita d'Austria, figliuola di Carlo V, e moglie allora del duca Alessandro, ritratta di naturale e lei e lui; quest'altro qua al dirimpetto, armato medesimamente, è il duca Cosimo vostro padre, che sotto i piedi ha nella storia chi fabbrica la fortezza di Siena; e sopra anche lui ha in quell'ovato la illustrissima signora duchessa madre vostra.

P. Tutto ho visto e considerato, e mi pare che queste armi nove, che voi avete fatte di rilievo sopra i frontespizi, che ornano queste teste, le due de' Papi, di marmo, e l'altre due de' cardinali con quella della regina di Francia accompagnata dall'arme del suo marito, e così queste di questi quattro duchi, pur di casa Medici, con l'armi delle mogli loro, stieno molto bene, ed a proposito, tanto più sendoci a tutte, l'imprese appartenenti a ciascuno: ma gli accompagna bene in su questo basamento all'entrata di questa scala, che sale alle stanze di sopra, questa anticaglia di bronzo, che, secondo intendo da questi letterati, è cosa molto rara. Ditemi, Giorgio, avete voi certezza che ella sia la chimera di Bellorofonte, come costoro dicono?

G. Signor sì, perché ce n'è il riscontro delle medaglie, che ha il duca mio signore, che vennono da Roma con la testa di capra appiccata in sul collo di questo leone, il quale, come vede Vostra Eccellenza, ha anche il ventre di serpente; ed aviamo ritrovato la coda, che era rotta, fra que' fragmenti di bronzo con tante figurine di metallo, come Quella sa, che l'ha viste tutte, e queste ferite, che ella ha addosso, lo dimostrano, ed ancora il dolore, che si vede nella prontezza che è nella testa di questo animale, ed a me mi pare che questo maestro l'abbi bene spresso.

P. Credete voi che sia maniera etrusca, come si dice?

G. Certissimo, e questo non lo dico, perché la sia trovata a Arezzo mia patria, per dargli lode maggiore, ma per il vero, e perché sono stato sempre di questa fantasia, che l'arte della scultura cominciasse in que' tempi a fiorire in Toscana, e mi pare che lo dimostri, perché i capelli, che sono la più difficil cosa che facci la scultura, sono ne' Greci espressi meglio, ancor che i Latini gli facessino poi perfettamente a Roma; per il che questo animale, che è pur grande, e velli suoi, che egli ha accanto al collo, sono più goffi che non gli facevano i Greci, che par che meno di loro ne sapessono, come quelli che avendo cominciato poco innanzi l'arte, non avevano ancora trovato il vero modo; e lo dimostra in quelle lettere etrusche, che ha nella zampa ritta, che non si sa quello che le voglion dire, e mi pare bene metterla qui, non per fare questo favore agli Aretini, ma perché come Bellorofonte colla sua virtù domò quella montagna quale era piena di serpenti, camozze e leoni, fa il composto di questa chimera, così Leon X, con la sua liberalità e virtù, vincessi tutti gli uomini; che lui ceduto poi, ha voluto il fato che la si sia trovata nel tempo del duca Cosimo, il quale è oggi domatore di tutte le chimere; e perché già siano alla fine delle storie di papa Leone, quando vi piaccia, potremo avviarci in questa stanza che segue, dove son parte de' fatti di papa Clemente VII suo cugino.

P. Volentieri, che mi diletta il vedere ed il ragionare infinitamente; ora andiamo.

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