Giornata seconda. Ragionamento quarto. Sala di Clemente VII

Ragionamento Quarto.
Sala di Clemente VII.
Principe e Giorgio.

G. Eccoci, Signor Principe, dalla sala grande, dove aviamo vedute dipinte le storie di papa Leone X, condotti in questo salotto per vedere tutte l'imprese grandi che fece papa Clemente VII suo cugino nel suo pontificato, dove n'ho dipinte parte nella volta, e parte nelle facciate; nella volta le storie, che diversamente seguirono in vari tempi, con figure grandi quanto il naturale, e nelle facciate da basso di figure piccole ho fatto tutto il successo della guerra ch'e' fece l'anno 1529 e 30 per ritornare in patria, quel che intervenne nell'assedio di questa città, e dei travagli del suo dominio: laddove, conosciut'io quelle cose, che sono a proposito a fare storie in luogo tanto onorato, sono andato scegliendo tutto quello fece Clemente, degno di gloria e di memoria, lasciando stare da parte le storie del suo cardinalato, la creazione ed incoronazione; sendo stato l'intento mio solo di dipingere que' fatti, le storie che sono stati cagione della grandezza di casa Medici, e donde nasce la perpetuità della eredità che egli provvedde a casa vostra nel principio dello stato di Firenze, che, per successione, viene ereditaria al possesso di questo palazzo, dove io ho dipinte queste storie. Per il che, come a padre ed autore di così gran benefizio, avendo egli provvisto con tanto giudizio alle cose vostre, ed alla grandezza e salute di casa sua, ho cercato far queste storie con più copia d'invenzione e d'arte con maggiore ornamento, e con più studio, si negli spartimenti di stucco, quali sono tutti pieni di figure di mezzo rilievo, com'ella vede, si ancora con più disegno e con maggior diligenza che ho saputo, e massime ne' ritratti di coloro che sono tempo per tempo intervenuti nelle storie sue e come nel contarle ad una ad una sentirete, ed anco Vostra Eccellenza riconoscerà una parte, che ancora vivono, e co' quali so che ha parlato. Comincierò adunque senza farvi lungo discorso di queste cose, perché parte so che n'avete lette, e la maggior parte vi sono state racconte da coloro che vi si sono trovati. Ora voltiamoci a questo canto, e guardiamo in alto questa volta, la quale è spartita in nove vani, dove sono nove storie, una nel colmo della volta, lunga braccia tredici e larga sei, e nelle teste due ovati bislunghi, alti braccia quattro e larghi sei; come la vede, nel girar della volta sopra le facce, quattro ovati alti braccia quattro e larghi tre, per ogni banda n'ho fatti due, i quali mettono in mezzo due storie alte braccia quattro e lunghe sei; dove ci resta in ogni canto due angoli, che sono otto fra tutti, dove vi ho posto otto virtù, come sentirà Vostra Eccellenza, applicate a queste storie, degne della grandezza di Clemente, secondo m'è parso tornino a proposito.

P. Tutto veggo, e vo considerando questo spartimento, che è molto vario, ed in questa volta sta molto bene, poiché ad un girar d'occhio si veggono tutte queste storie: ma cominciate un poco da che luogo voi fate il principio, perché io riconosco molte cose che mi dilettano all'occhio, e mi accendono desiderio di sentire la cagione, e perché qui l'abbiate rappresentate.

G. Questa prima storia in questo ovato, dove io ho ritratto papa Clemente di naturale, in abito pontificale, con quel martello tutto d'oro in mano, è quando l'anno santo 1525 Sua Santità aperse la porta santa nella chiesa di S. Pietro di Roma, dietro al quale ho fatto molti prelati e suoi favoriti, fra i quali è Gianmatteo vescovo di Verona, suo datario, e M. Francesco Berni Fiorentino, poeta facetissimo, suo segretario, che è quello in zazzera con la barba nera, così nasuto.

P. Mi è carissimo il vederlo, perché non lessi mai, o sentii cosa di suo, che sotto quello stil facile e basso non vegga cose alte ed ingegnose ripiene d'ogni leggiadria: ma che femmina fate voi a' piedi del papa, che siede in terra, armata la testa ed il torso?

G. Signor mio, l'ho messa per Roma, volendo mostrare per quella il luogo, dove seguì il fatto: vedete che gli fo uno scettro in una mano, e nell'altra un marte, come si costuma nelle medaglie? In quest'ovato di sotto seguita, Signor Principe, che venuta a Clemente l'anno 1529 una malattia crudele, che da tutti i suoi fu giudicata mortale, per opera di molti cittadini e fautori della famiglia de' Medici fu scritto a Roma, e strettissimamente pregato, che per non lasciare chiusa casa sua dovesse o ad Ippolito o ad Alessandro, allora giovanetti, dare il suo cappello. Onde, persuaso da Lorenzo cardinal de' Pucci, servitor ed amico vecchio, Clemente si risolvè dare la berretta rossa a Ippolito suo nipote cugino, dove io l'ho ritratto in sieda, come la vede, che gli mette in capo la berretta rossa, ed Ippolito ginocchioni con l'abito da cardinale, che la riceve.

P. Tutto so, e discerno benissimo; ma ditemi, chi è quel cardinale ritto con quella barba canuta, che parla insieme con quell'altro?

G. È il medesimo cardinale Santiquattro, che fu cagione di questo benefizio, il quale parla con M. Girolamo Barbolani de' conti e signori di Montaguto, decano de' camerieri di Sua Santità, dietro a Ippolito ginocchioni è fra Niccolò della Magna arcivescovo di Capua; di là dal cardinale Santiquattro è il cardinale Franciotto Orsino parente del papa: ho posto accanto alla sedia M. Giovanfrancesco da Mantova, antico e fedel servitore di Clemente; e quaggiù a piè quelle quattro teste sono i camerieri suoi secreti.

P. Io riconosco il Mantova; e di questi camerieri, da uno in fuori, credo che il resto gli riconoscerò; uno mi pare M. Giovanbatista da Ricasoli, oggi vescovo di Pistoia, l'altro è il Tornabuoni vescovo del Borgo S. Sepolcro; e l'ultimo, che è accanto a quel giovane, è M. Alessandro Strozzi; il giovane non lo ritrovo.

G. Vostra Eccellenza non s'affatichi, perché è M. Piero Carnesecchi, segretario già di Clemente, che allora fu ritratto quando era giovanetto, ed io dal ritratto l'ho messo in opera: ma Vostra Eccellenza alzi la testa, e cominciamo a guardar questo di mezzo.

P. Questa è una grande storia, e ci sono dentro più di cento figure: qui ci sarà da fare.

G. Qui, Signore, ho fatto quando Carlo V imperatore fu incoronato in Bologna da papa Clemente alli 24 di Febbraio nel 1530, ed a questa solenne e rara cerimonia, vi concorsero molti prelati, e grandissimo numero di soldati; ed io, che allora giovanetto mi vi trovai, con questa memoria mi sono dilettato amplificare, per quanto mi ha concesso la capacità del luogo; e ci sono infiniti di loro ritratti al naturale.

P. Tutto conosco; ma cominciate un poco a contarmi l'origine di questa incoronazione, ed in che modo l'avete disposta: mi avveggo certo che oggi arò gusto in questa pittura, riconoscendo molte cose che sono state quasi a' tempi nostri: ma vedendoci io tanti ritratti al naturale, e di diverse maniere, con tanta varietà di figure, desidero, per non ci confondere, che ordinatamente mi diciate cosa per cosa, insiememente la disposizione de' luoghi: mi pare che abbiate messo là i prelati in abito pontificale, così gli ambasciatori, e gli altri signori illustri; che il vedere così in una vista tante figure insieme, con tanta varietà, confonde facilmente, ancora che per la vaghezza la vista ne pigli diletto; fatevi dunque dal principio, massime che questo fu uno spettacolo, che se ne vede di rado.

G. Eccomi pronto a soddisfarla: come sa Vostra Eccellenza l'imperatore andò a Bologna per pigliare la corona, ove trovato papa Clemente, che secondo l'uso era arrivato avanti a lui, e conferito prima insieme le lor forze, per far qualche impresa onorata, conclusero che l'incoronazione si facesse alli 24 di Febbraio, il giorno di S. Mattia Apostolo, natale di sua Maestà, e fatale, come sa Vostra Eccellenza, per le sue vittorie. Fecesi un grandissimo e bello apparato di panni, li quali erano del papa, contesti ricchissimamente di seta ed oro, nella chiesa di S. Petronio, dove, come vede Vostra Eccellenza, ho figurato uno andare di legno finto di pietra, pien di colonne e di cornici di componimento ionico, coprendo l'ordine tedesco, con il quale è murata detta chiesa; feci qua avanti quell'ordine di scalee, dove si parte della piazza principale innanzi alla chiesa e palazzo de' Signori, nella quale sono le fanterie e gli altri soldati d'Antonio di Leva, armati all'antica in vari modi, parte de' quali per allegrezza arrostiscono quel bue intero, salvo la testa e le gambe, con quella macchina bilicata di ferro, ed un'altra parte in compagnia loro mangiano con allegria, altri, come si vede, portano legne, e chi conduce pane, e chi comanda loro.

P. So che si riconosce ogni minuzia, fino a quel soldato armato, che insala quel bue.

G. Quivi sono tutti i trombetti a cavallo con la gente d'arme tedesca, spagnuola ed italiana: ma voltiamo gli occho sopra que' tre gradi, dove è il piano della chiesa, parato tutto di panno verde, come sta ordinariamente la cappella del papa e S. Pietro di Roma, quando Sua Santità vi canta la messa, e l'altar maggiore coperto dall'ombrella, similmente l'altre cose sacre con tutti gli strumenti ricchissimi al proposito di questa cirimonia. Ho spartito il coro, come la vede, dove attorno seggono tutti i cardinali col restante de' vescovi in pontificale, e dreto loro ho messo tutti gli ambasciadori, e molti signori e baroni, dove son posti nella prima fila gli ambasciatori veneziani, che sono tutti ritratti di naturale; quel primo, senza niente in testa, con la barba canuta, in toga di velluto rosso, volto, è M. Matteo Dandolo; l'altro, che ha il capo coperto con la berretta di velluto e toga pavonazza, con la barba grigia, è M. Ieronimo Gradenigo; quelle quattro teste in fila sono uno M. Luigi Mocenigo, M. Lorenzo Bragadino, M. Niccolò Tiepolo, e M. Gabriello Veniero; vi sono ancora M. Antonio Suriano, e M. Gaspero Contarino, come distintamente può vedere.

P. Chi è quello che apre le braccia con quella veste alla franzese rossa, che parla con quel vecchio?

G. È il signor Bonifazio, marchese di Monferrato, che porta la corona di ferro a sua Maestà di Lombardia, il quale parla con Paolo Valerio, che aveva ancor lui portato la corona d'argento della Magna; dietro a loro è don Alverio Orsorio, marchese d'Astorga, che portò in questo trionfo lo scettro d'oro; ed accanto a loro è don Diego Pacecco duca d'Ascalona, che, quando sua Maestà andò in chiesa, portò la spada di Cesare in un fodero lavorato d'oro traforato, con ornamenti di figure; tutto pien di gioie. Io era, Signor Principe, disposto di farvi molti altri ritratti; ma le figure son tanto alte da terra, e piccole, e difficili a farle, ed a guardarle ancora per essere nel cielo della volta, che non si sarebbe veduto quello ci avessi fatto, però ho lasciato molte cose indietro.

P. È ben assai quello si vede: ma seguitate; chi sono questi signori armati d'arme bianca, che tengono que' sette stendardi?

G. Questi sono coloro, i quali, finita la cirimonia dell'incoronazione, li portarono innanzi al papa e Sua Maestà, cavalcando per Bologna con ricchissime sopravvesti, e cavalli da guerra. Il primo, che ha lo stendardo, entrovi la croce, è Osterichio Fiammingo; il sig. Giovanni Mandrico è quello che porta lo stendardo dell'imperio con l'aquila che ha due teste; e quella testa di giovane, che appare allato a lui in faccia, è il signor Giuliano Cesarino, che porta lo stendardo del popolo romano; l'altro è il conte Agnolo Ranucci, accanto al Mandrico, che tien quello di Bologna, dove sono le lettere della libertà, che toccò a lui allora per esser gonfaloniere.

P. L'altre tre teste, che mancano, non le veggo, salvo che una; perché questo?

G. Vostra Eccellenza consideri che la vista dell'altare, secondo la prospettiva, toglie il vedere; ed ancora il non avere avuto i ritratti di costoro m'ha fatto valere dell'occasione di fare che non ci si veggano, salvo però quella che è allato al candelliere dell'altare, così abbacinata, che è il signor Lorenzo Cibo, che porta lo stendardo del papa; e quello dov'è l'ombrello della Chiesa lo portò, come sapete, il conte Lodovico Rangone; e quello della crociata, che va contro a' Turchi, lo portò il signor Lionetto da Tiano. In questa prospettiva delle colonne vi ho accomodato in alto il pergamo della cappella, dove fu la musica doppia del papa e di sua maestà, i quali cantarono solennissimamente quella messa, e risposono all'altre orazioni. Sono andato nel piano spargendo, e fatto sedere in terra a' luoghi loro, i camerieri di sua Santità, ed i cubiculari, che vestiti di rosso fanno ghirlanda intorno a' piedi de' cardinali e de' vescovi, che, come Vostra Eccellenza vede, sono tutti in pontificale, com'è il solito loro.

P. Tutto veggo: ma ditemi, per chi avete voi fatto que' primi quattro cardinali, che hanno le mitre in capo di domasco bianco con piviali indosso, che sono nel fine della storia da man manca a sedere sopra que' predelloni? Mi pare riconoscere il cardinale Salviati al proffilo, ed il cardinale Ridolfi, suo cugino, con la testa in faccia allato a lui.

G. Signore, e' son dessi; e questi furono in questa cirimonia i primi diaconi, e fatto che fu Sua Maestà da' canonici di S. Pietro di Roma, col mettergli la cotta indosso, canonico loro, Ridolfi e Salviati lo condussono poi alla porta della chiesa, e quel cardinale, che sedendo parla con Salviati e volta a noi le spalle, è il Piccolomini Sanese, il quale, condotta Sua Maestà alla cappella di S. Giorgio, gli trasse la cotta, e gli messe la dalmatica, ed i sandali pieni di perle e di gioie, ed indosso il piviale, e lo condusse dinanzi al cardinale Pucci sommo penitenziere, che è quello in pontificale che siede dalla man ritta, e volta a noi le spalle, ed ha il piviale indosso di colore azzurro; gli altri tre cardinali, che li sono a sedere allato in fila, quello che è vestito di raso pavonazzo, che non se li vede il viso, è il cardinale Cesarino; allato a lui è il cardinale Campeggio, che disse una orazione, perché Sua Maestà fussi incoronato; l'ultimo è il cardinale Cibo, che in questa cirimonia cominciò le letanie, pregando i Santi e le Sante per Sua Maestà.

P. Tutto va con ordine, e mi vi pare quasi essere; ma avvertite che voi avete lasciato qua a man manca un cardinal vecchio col piviale rosso indosso fiorito d'oro, che siede allato al Piccolomini.

G. È vero: questo, Signor Principe, è il cardinale Alessandro Farnese decano, che fu poi papa Paolo III; questo, Signore, condusse Sua Maestà, come più vecchio di tutti i cardinali, allo altare di S. Maurizio, e sfibbiatoli la dalmatica gli ugne la spalla ed il braccio destro con l'olio santo.

P. Ditemi l'altra fila di sopra, che voi avete fatta, di que' cardinali vestiti in pontificale, che seggono dinanzi agli altri ambasciadori, fra' quali quattro di loro hanno le pianete indosso, e due i piviali; chi sono?

G. Quel vecchio col piviale, che ha quella barba canuta, e che parla con quell'altro, che ha la testa in proffilo, ed è raso, è Antonio cardinale di Monte, vescovo di Porto; e quel raso è il cardinale de' Grassi; quel che si mette la mano al petto, ed ha una una pianeta verde, è Niccolò cardinale de' Gaddi; e quell'altro vecchio raso allato a lui è Domenico Grimani; l'altro allato, che gli parla, è Francesco Cornaro, ambidue preti e cardinali veneziani; l'ultimo è Pietro Accolti, Aretino, cardinal d'Ancona.

P. Tutti hanno bellissime cere d'uomini valenti; ditemi que' due diaconi che sono ginocchioni dinanzi all'altare così giovani, mi par riconoscerne all'effigie uno per Ippolito nostro, cardinal de' Medici; l'altro non lo riconosco.

G. Non è maraviglia; quell'è il cardinale Doria Genovese, in quel tempo giovane. Signor Principe, gli è molto difficile a noi pittori voler mettere in sì poco luogo tante cose, ed in sessanta braccia quadre quel che non capì nel vero in più di centomila; e, come Quella sa, noi non possiamo rappresentare se non un solo atto in una storia, come per legge e buono uso hanno sempre costumato di fare i migliori maestri, come si vede osservato nelle storie loro, o di pittura, o di scultura;dove anch'io, osservando questo decoro, non fo se non quel passo, quando finite tutte le cirimonie per i cardinali, e per il pontefice, d'aver dato a Sua Maestà lo stendardo del popolo romano. Ho posto a sedere, come vedete, papa Clemente in pontificale dinanzi all'altare maggiore ritratto dal vivo, e così Sua Maestà dinanzi al papa ginocchioni, al quale ha dato nella man destra la spada ignuda per difensione della fede e popolo cristiano, contro a chi lo perseguitasse; e nell'altra il pomo d'oro, come vedete, con la croce in cima, acciò con virtù e pietà e costanza reggesse il mondo; così lo scettro lavorato di gioie, perché comandasse alle genti; e distende Sua Santità le braccia mettendogli in capo la mitria, più tosto che corona, divisa in due parti, con molte preziosissime gioie: non posso fare, quando è menato a sedere poco lontano dal papa in una sedia più bassa, e chiamato imperator romano; ma io fo giu bene a piè della storia quattro ritratti di naturale de' signori segnalati e grandi che vi furon presenti, che son quelle figure dal mezzo in su.

P. Io gli ho visti ritratti altrove; non è quel che volta a noi le spalle e la testa, con quella veste di velluto cremisi scuro, Francescomaria duca d'Urbino? L'altro allato a lui somiglia il ritratto del signore Antonio di Leva; e quello sopra loro mi pare il principe Andrea Doria, che l'ho conosciuto vivo, quando andai a Genova; e quel ricciotto giovane è il nostro duca Alessandro de' Medici; e sotto a lui ve n'è un altro, che non si può scambiare, che è don Pietro di Toledo marchese di Villafranca, vicerè di Napoli, mio avolo materno; hogli io conosciuti?

G. Meglio ch'io non li ho saputi ritrarre.

P. Questa femmina grande appiè della storia, armata, coronata il capo di lauro e di altre corone, che ha quel pastorale, o scettro in mano, che giace sopra tante palme, ed ha intorno tante corone, e che si posa sulla testa di quel liofante, e pare che si sviluppi dattorno quel panno con la man destra, ditemi chi è ella?

G. Questa l'ho fatta per Italia, e l'ho finta così da per me, perché non ho mai in medaglia alcuna, né in statue di metallo o di marmo, potuto vedere come dalli antichi sia stata figurata; e mi è parso in tal maniera rappresentarla in questo onorato trionfo; conciossiaché, sperando essa nella virtù di Cesare, si sviluppa dalle noie e travagli patiti per i tempi addietro, con speranza che in avvenire, poiché Sua Maestà ha avuto la spada dal pontefice, sia per difenderla ed accarezzarla: le palme, le corone di lauro, ed i trionfi intorno a' piedi dimostrano quanti regni gli sono stati soggetti, e per la parte dell'Affrica ne fa segno la testa del liofante; lo scettro denota aver comandato all'estreme nazioni, per ridurre a memoria, in quel trionfo, che l'antico valore de' suoi signori non è morto ancora ne' cuori loro. Increscemi certo non avere avuto maggiore spazio, che, quando l'invenzione mi cresceva fra mano, mi mancò il campo, ancorché ella apparisca abbondante.

P. Contentatevi di questa, che oramai son stato tanto col capo alto a guardare all'insù, che mi duole il collo, e non me ne avvedeva, tanto mi dilettava.

G. Signore, voglio ristorarvi seguitando a discorrere delle cose che avvennero nella guerra ed assedio di Firenze, la quale avendo io dipinto, come vedete, in queste facciate da basso, tutta senza disagio potremo considerarla. Or guardi Vostra Eccellenza questo quadro, nel quale è ritratta Firenze dalla banda de' monti al naturale, e misurata di maniera che poco divaria dal vero; e, per cominciarmi da capo, dico, oltre alla partita del signor Malatesta Baglioni di Perugia per entrare con tremila fanti alla guardia e difesa di Firenze, che vi giunsono a' 19 di Settembre, quando Oranges arrivato dipoi col suo esercito, come Quella vede ch'io l'ho dipinto, la cinse col campo, piazze, padiglioni, e trincee intorno intorno e co' suoi forti, che, per fargli veder tutti nella maniera che ci si mostrano, è stata una fatica molto difficile, e pensai non poterla condurla alla fine.

P. Ditemi, come avete voi, Giorgio, accampato questo esercito? Sta egli appunto nel modo ch'egli era allora, o pur 1'avete messo a vostra fantasia? Arei similmente caro sapere che modo avete tenuto a ritrar Firenze con questa veduta, che a' miei occhi è differente dall'altre ch'io ho viste ritratte: conosco che questa maniera me la fa parere in altro modo, per la vista che avete presa di questi monti.

G. Vostra Eccellenza dice il vero: ma ha da sapere che male agevolmente si poteva far questa storia per via di veduta naturale, e nel modo che si sogliono ordinariamente disegnare le città ed i paesi, che si ritraggono a occhiate del naturale, attesoché tutte le cose alte tolgono la vista a quelle che sono più basse; quindi avviene che, se voi siete in su la sommità d'un monte, non potete disegnare tutti i piani, le valli e le radici di quello; perché la scoscesa dello scendere bene spesso toglie la vista di tutte quelle parti che sono in fondo occupate dalle maggiori altezze, come avviene a me ora, che volsi, per far questa appunto, ritrarre Firenze in questa maniera, che per veder l'esercito come s'accampò allora in pian di Giullari, su' monti, ed intorno a' monti, ed a Giramonte, mi posi a disegnarla nel più alto luogo potetti, ed anco in sul tetto di una casa per scoprire, oltra i luoghi vicini, ancora quelli e di S. Giorgio, e di S. Miniato, e di S. Gaggio, e di Monte Oliveto; ma Vostra Eccellenza sappia, ancorché io fussi sì alto, io non poteva veder tutta Firenze, perché il monte del Gallo e del Giramonte mi toglievano il veder la porta S. Miniato, e quella di S. Niccolò, ed il ponte Rubaconte, e molti altri luoghi della città, tanto sono sotto i monti; dove, per fare che il mio disegno venisse più appunto, e comprendesse tutto quello che era in quel paese, tenni questo modo per aiutar con l'arte dove ancora mi mancava la natura; presi la bussola e la fermai sul tetto di quella casa, e traguardai con una linea per il dritto a tramontana, che di quivi avevo cominciato a disegnare, i monti, e le case, e i luoghi più vicini, e la facevo battere di mano in mano nella sommità di que' luoghi per la maggior veduta; e mi aiutò assai che avendo levato la pianta d'intorno a Firenze un miglio, accompagnandola con la veduta delle case per quella linea di tramontana, ho ridotto quel che tiene venti miglia di paese in sei braccia di luogo misurato, con tutto questo esercito, e messo ciascuno ai luoghi e casa dove furono alloggiati: fatto questo, mi fu poi facile di là dalla città ritrarre i luoghi lontani de' monti di Fiesole, dell'Uccellatoio, così la spiaggia di Settignano, col piano di S. Salvi, e finalmente tutto il pian di Prato, con la costiera dei monti sino a Pistoia.

P. Questo certo è buon modo, perché è sicuro e si scuopre ogni cosa: ma ditemi, considerando la porta a S. Miniato laggiù in quel fondo, che bastione è quello che si parte da basso e viene circondando il monte di S. Francesco, e S. Miniato, e ritorna risaltando alla porta a S. Niccolò? Questi sono eglino i medesimi ripari che poi il duca mio signore ha fatti far di muraglia?

G. Signor sì, perché, avendogli allora disegnati e fatti far Michelagnolo Buonarroti, serviron per quello effetto sì bene, che hanno meritato in luogo di terra, come eran prima, esser perpetuati di muraglia. P. Sta bene: ma quell'ala di bastioni, ch'io veggo accanto alla porta a S. Giorgio con que' risalti, mi pare un bel forte; è egli quel bastione che tenne Amico da Venafro?

G. Signore, gli è desso; e dentro alle mura vi è il bastione, o cavalier che lo chiamino, che fece Malatesta, dove e' messe quel pezzo d'artiglieria lungo braccia dieci, che fu nominato l'archibuso di Malatesta; come Vostra Eccellenza vede, quivi attorno erano molti luoghi forti, che dentro eran guardati insieme con la città da ottomila fanti, i quali avevan giurato nella chiesa di S. Niccolò oltr'Arno in quell'anno mantenere la lor fede alla repubblica insieme con Malatesta loro capitano, mentre che avevano nella città fatto risoluzione di volere difendere Pisa e Livorno, dove avevan messi presidj da tenerli, ed il simile avevan fatto in Prato, Pistoia, ed Empoli, ed il restante de' luoghi avevan lasciati alla disposizione e fede de' popoli, ed alla fortezza de' siti.

P. Mostratemi dove voi avete fatto la piazza del campo, e dove voi alloggiate Oranges con gli altri soldati.

G. Vostra Eccellenza vede il borgo di S. Miniato, e tutto il piano di Giullari, e le case de' Guicciardini, che son quelle a guisa di due palazzi: quivi alloggiava Oranges, e qua in su la man ritta è la piazza del campo degl'Italiani, dove ho fatto le botteghe, le tende, e tutti gli ordini che avevano, perché io viddi come stava allora, e l'ho ritratto così appunto su quel colle. Ne' padiglioni, che ci si veggono, sono alloggiati tutti i soldati, ed in questa casa, che è quassù alto, oggi di Bernardo della Vecchia, era alloggiato il commissario di papa Clemente, Baccio Valori.

P. Quella chiesa che gli è vicina mi par Santa Margherita a Montici.

G. È vero; vi alloggiava il signor Sciarra Colonna.

P. Io comincio a ritrovare i siti: ditemi, non è questo più alto il Gallo, ove stava il conte Piermaria da S. Secondo?

G. Signor sì; quel luogo alto, dove Vostra Eccellenza vede que' gabbioni e ripari, si chiama Giramonte, nel qual luogo fu fatto da principio mettervi da Oranges alcuni pezzi piccoli d'artiglieria avuti da' Lucchesi, per dar l'assalto a un bastione di S. Miniato, ed all'incontro nell'orto di Malatesta furon posti quattro pezzi d'artiglieria, onde Oranges, veduto che un sagro che tirava dal campanile di S. Miniato, il quale ho fasciato di balle di lana, faceva tanto danno all'esercito, fu forzato mettervi quattro cannoni per battere detto campanile; e tirato centocinquanta colpi, e non avendo potuto levare il sagro, né fatto alcun profitto, si risolverono abbandonare l'impresa, benchè vi morisse il signor Mario Orsino, ed un altro signore di casa Santa Croce.

P. Intendo che v'era su un bombardiere, che lo chiamavano il Lupo, che fece prove mirabili: ma passiamo con l'occhio più oltre; quel vicino al bastione di S. Giorgio mi pare il palazzo del Barduccio, ed accanto mi par quello della Luna.

G. Signore, e' son essi; nell'uno stava alloggiato il signor Marzio Colonna; in quel del Barduccio alloggiava il signor Pirro da Castel di Piero. In questa parte di qua, dove vede il monasterio delle monache di S. Matteo, intorno intorno sono alloggiati i Lanzi con le lor tende in su la piazza, facendo varie cose: l'esercizio loro non ha bisogno d'interprete, perché Vostra Eccellenza lo conosce. Giù più basso è il palazzo de' Baroncelli con la gente spagnuola alloggiata ed attendata; e sotto ho fatto il luogo e steccato, dove combattè Giovanni Bandini e Lodovico Martelli, Dante da Castiglione e Bertino Aldobrandi; lassù in quel palazzo de' Taddei era alloggiato il duca di Malfi, ov'è sul tetto quella bandiera.

P. Ditemi, s'io ho bene a mente, gli Spagnuoli seguitavan le lor tende fino a S. Gaggio, passando per la spiaggia di Marignolle, e Bellosguardo fino a Monte Oliveto?

G. Signor sì, ed ancora nel poggio di Fiesole ve ne alloggiava, che furon gli ultimi. Vostra Eccellenza guardi di là dal fiume d'Arno in quel piano di S. Donato in Polverosa quell'esercito: quelli sono i padiglioni e le tende de' Lanzi; ed in somma erano accampati intorno così come gli ho figurati; ed ancorché sia stato difficile metterlo insieme, mostra nondimeno essere, come in effetto era, un grosso esercito.

P. È vero: ma vi so ben dire che Oranges e né manco gli altri capitani già mai pensarono di trovare in Firenze sì grande resistenza; e, poiché vedde che con uno esercito solo era difficile a espugnarla, ho inteso s'andava trattenendo la scaramuccia debole.

G. In quest'altro quadro è pur dipinta quella scaramuccia sì terribile fatta a' bastioni di S. Giorgio ed a S. Niccolò; similmente quella che si fece alla porta a S. Pier Gattolini sul poggio di Marignolle fino alle Fonti, e l'altra che s'è accomodata di figure piccolissime nel piano di S. Salvi; ed ancora ci ho dipinto, quando, usciti a far legne fuor della città, si appiccò quella grande zuffa, nella quale restò prigione Francesco de' Bardi, e la sua compagnia rotta, ed insieme messa in mezzo quella di Anguillotto Pisano, e lui scannato e morto con Cecco da Buti, suo alfiere, dal signor Ferrante Vitelli, e dal conte da S. Secondo, e dal principe d'Oranges.

P. Quanto mi dite già l'intesi: ma ditemi, che castello è quello, che è in questo canto, ch'io veggo ardere e combattere in questa storia?

G. Questo è il castello della Lastra vicino al ponte a Signa in su la riva d'Arno, il quale, come sapete, fu preso da Oranges: v'era dentro tre insegne di fanteria, le quali non poterono aver soccorso così a un tratto di Firenze.

P. Sapevo che Oranges andò a questa espugnazione con quattrocento cavalli, e millecinquecento fanti, e quattro pezzi d'artiglierie: ma ditemi, quest'altro quadro, ch'io veggo dipinto accanto alla finestra, mi pare il castel d'Empoli.

G. Signore, io l'ho ritratto dal naturale appunto; i Fiorentini in questa guerra avevano disegnato far massa di nuove genti in quel castello, sperando con la gran comodità e fortezza del sito mettere in gran difficultà lo esercito, che era alloggiato da quella parte d'Arno; e pensavano con questa castello sì forte tenere aperta la via e far comodità delle vettovaglie, che venivano alla città, delle quali cominciava a patire grandemente; là dove intese queste cose, il principe d'Oranges venne in speranza di pigliarlo sicuramente, sendoli stato referto che Ferruccio, nella sua partita per Volterra, vi aveva lassato poca gente sotto l'obbedienza del commissario, il quale era poco esperto della guerra, ma sì bene svisceratissimo della fazion popolare. Fu dato il carico al marchese del Vasto, e a don Diego Sarmiento con molte compagnie di Spagnuoli, soldati vecchi, i quali giunti a Empoli si accampano, come vede Vostra Eccellenza, e fermano i padiglioni intorno al fiume Orme, ed ordinano, come dichiara quella pittura, battere da due luoghi la muraglia; vedete di verso tramontana lungo il fiume d'Arno, dove è dipinta la gente del signore Alessandro Vitelli che combatte, e qui disotto è ritratto la pescaia e rotte le mulina, ove è fatto quell'argine per seccare i fossi intorno alla muraglia, affinché i soldati vi si potessino avvicinare, la quale fu aperta con dugento colpi d'artiglieria, fatti tirare dal Cancella Pugliese, maestro dell'artiglieria; ed ebbono ardire i soldati salir su per le rovine, ed entrar nella terra per il rotto della muraglia, ma con gran danno e morte loro; e poco dopo il parlamento fatto al Giugni commissario, per non pensare egli a' nimici, mentre che era a tavola venne un impeto di soldati, e con non molto contrasto entraron dentro per le rovine, che Vostra Eccellenza vede, del muro rotto, e si messono a saccheggiare il castello.

P. Tutto so, e certamente che la fu perdita di gran momento alla città, che in vero gli privò quasi di tutte le speranze che avevano, e tanto più che in que' medesimi giorni seppono che il re di Francia aveva pagato, secondo le convenzioni, la taglia, e riavuto i figliuoli ostaggi, quali erano nelle mani di Cesare; ed ancorché Pierfrancesco da Pontremoli confidente suo in Italia cercasse di trattar l'accordo con i Fiorentini, sendo di già partiti gli ambasciadori del re, perderono nondimeno le speranze, e tutti gli aiuti che avevano in Sua Maestà: ma ditemi, che cosa à questa, che segue in quest'altro quadro lungo che mette in mezzo la finestra?

G. Signore, questo è quando a' 25 di Marzo, finita la trincea dirimpetto al bastione di S. Giorgio si fece quella scaramuccia, nella quale quelli di fuori riceverono assai danno, onde Oranges si risolvè far battere la torre posta sul canto a S. Giorgio, che volta verso la porta Romana, la quale offendeva gagliardamente l'esercito; vedete che ho fatto in pittura i bastioni di S. Giorgio, ed i gabbioni sopra la trincea del Barduccio con le artiglierie che la battono; che avendone tirato più di dugento colpi, senza danneggiarla in conto alcuno, si rimasero per ordine del principe di tirarvi, poiché gittavano il tempo e la spesa indarno.

P. L'ho saputo, massime che è rimasta in piedi: ma io veggo per quella veduta all'ingiù, di là dalla porta Romana per la spiaggia di Marignolle, una grossa scaramuccia.

G. L'ho fatta per quella scaramuccia, come dissi, terribile, cagionata dalla troppa voglia de' cittadini, e forse con molto giudizio, nel volere che Malatesta Baglioni ed il signore Stefano Colonna accampassino fuori in qualche parte l'esercito, e da loro era più volte stato detto che era pazzia: pur per contentargli uscirono, come sa Vostra Eccellenza, fuori; e questo è quel giorno, nel quale fu ammazzato Amico da Venafro in sul Monte dal signore Stefano Colonna, e nel quale Malatesta manda fuori della porta S. Piero Gattolini Ottaviano Signorelli colonnello, Bino Mancini, Biagio Stella, Raffaello da Orvieto, Prospero della Cornia, Caccia Altoviti, e gli altri suoi, che su per la strada a man ritta appiccano sì crudel battaglia sul poggio con la fanteria spagnuola, e per la porta a S. Friano a quell'ora medesima uscì fuori Bartolommeo di Monte, e Ridolfo da Scesi, che, piegando a man ritta con gli Spagnuoli di Monte Oliveto, attaccarono dall'altro lato una buona zuffa, onde Oranges fu forzato mandar loro soccorso del campo italiano; dove nel fine della battaglia, con morte di molti, volendo Ottavian Signorelli rimontare a cavallo, fu ammazzato da una moschettata, senza molti altri nobili della città che furono feriti e morti, così delli Spagnuoli: ma voltisi Vostra Eccellenza a quest'altra storietta, che gli è allato da quest'altra banda.

P. Che veduta è questa? Io non la ritrovo così presto come l'altre: ditemi, che avete voi voluto figurare?

G. Questa è fuor della porta S. Niccolò lung'Arno la veduta di Ricorboli, e tutto il monte di Ruciano fino a Santa Margherita a Montici, per rappresentarvi sopra quell'animoso disegno del signore Stefano Colonna, il quale si era proposto di volere una notte assaltare lo esercito de' nimici, sì per acquistar gloria, come anche per soddisfare alla città, che si desiderava veder qualcosa del valore de' soldati, come anco dei giovani di quella milizia; ed uscirono dalle porte senza picche, ma con partigianoni, alabarde, e spadoni a due mani, avendo a combattere in luogo stretto.

P. Comincio a riconoscere il sito e l'ordine di questa zuffa; e, se bene fu grande, tutta volta sarebbe stata maggiore, se non erano impediti: ma voltiamoci a quest'altra storia, e ditemi, che ci avete voi fatto?

G. Questo è, quando Oranges andò di là da Pistoia per incontrarsi con Ferruccio; onde, appiccata la scaramuccia, Oranges fu morto a S. Marcello, e nella medesima fazione dal signore Alessandro Vitelli e Fabbrizio Maramaldo fu preso Ferruccio; dicono che in Prato li fu mozzo la testa.

P. Sapevo questo fatto prima, e certo che in sì piccolo spazio non potevi far meglio: ma seguitate dirmi quel che è in quest'altro quadro sì piccolo.

G. È l'incamiciata fatta a S. Donato in Polverosa, dove da' Tedeschi fu ferito il signore Stefano da Palestrina, e ci ho ritratto, come la vede, il luogo a naturale.

P. Ed in quest'ultima, ove mi par vedere cittadini vestiti all'antica, che fanno?

G. Questi sono ambasciatori fiorentini, mandati dalla repubblica a papa Clemente per l'accordo.

P. Ci sono state molte cose da dire in quest'assedio di Firenze, e mi è stato molto caro il vederle insieme con i luoghi (dove seguiron queste scaramuccie) ritratti al naturale: ma ritorniamo quassù alla volta, che non ne aviamo quasi vista punto; e ricordatevi che lasciaste al quadro di mezzo e non dichiaraste le quattro Virtù, che in ogni canto ci avete fatte; però dite.

G. L'una, Signore, è fatta per la Prudenza, la seconda per la Salute, la terza per la Concordia, e l'ultima per la Religione.

P. Or venite qua a questa storia grande, che è allato all'ovato, dove papa Clemente apre la porta santa, che mi par vedere il papa con tanti personaggi, signori e capitani.

G. Qui è, quando il papa mandò il cardinale Ippolito legato in Ungheria contro ai Turchi, dove l'ho ritratto, come la vede, in abito da Unghero, ed ho posto in ordinanza l'esercito italiano, il quale egli condusse seco, e nell'altro ovato di quaggiù, che mette in mezzo questa medesima storia, ci ho fatto lo sponsalizio del duca Alessandro, che seguì in Napoli, dove ho di naturale ritratto Carlo V che tiene la mano a madama Margherita sua figliuola, mentre il duca Alessandro gli dà l'anello.

P. Riconosco benissimo tutti questi ritratti e seguitate qua in testa, dove mi par vedere il duca Alessandro.

G. Quest'è il duca Alessandro de' Medici, che riceve da Carlo V suo suocero la corona ducale ed il bastone del dominio, investendolo duca di Firenze.

P. Il ritratto, che veggo allato all'imperatore, non è egli il marchese del Vasto insieme con molti altri ritratti di signori al naturale?

G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuto benissimo: in quest'altro ovato, che segue, è quando il duca Alessandro torna di Germania dalla corte dell'Imperatore, e viene a pigliare il possesso del ducato di Firenze, dove per il poco spazio non ho potuto fare cosa di momento.

P. Non mi par poco ci aviate fatto quello che ci è, perché si conosce benissimo: ma venite qua a quest'istoria grande, dove per la quantità de' ritratti ci potremo trattenere alquanto; dite, che cosa è questa?

G. Questo è lo sponsalizio di Caterina Medici, oggi regina di Francia, maritata allora a Enrico figliuolo del re Francesco, duca d'Orliens, dove, come la vede, Clemente tenne la mano a Caterina sua nipote.

P. Questo re e questa regina qui presenti, chi sono?

G. Il re e la regina di Navarra; e quest'altra femmina di qua è la regina di Scozia, che parla con la duchessa di Camerino.

P. Veggo ancora che ci avete ritratta la signora Maria Medici, madre del duca mio signore, ed il cardinal Ippolito; quest'altri cardinali chi sono?

G. Il primo è Gaddi, l'altro Santiquattro, il terzo Cibo, l'ultimo è Loreno, quest'altro vestito di pavonazzo è Carpi, allor nunzio, con molti vescovi.

P. Voi ci avete anco fatto Gradasso nano, che è naturalissimo: ma ditemi, quel leone che voi fate a' piedi al re Francesco, che significa?

G. Questo è un leone che il detto re aveva addimesticato. In quest'ultima poi è la ritornata di papa Clemente in Roma, dopo aver condotto molte difficili ed onorate imprese; ed ho finto che quattro Virtù lo riportino in sedia, cioè la Quiete, la Vittoria, la Concordia e la Pace, la quale mostra dopo tanti travagli di abbruciare con una face in mano molti trofei, sopra i quali ho posto a sedere il Furore ignudo, incatenato e legato ad una colonna di pietra; similmente ci ho messo il popolo romano, che li viene incontro; e, perché si riconosca che ritorna in Roma, ho fatto il Tevere ignudo con la lupa che allatta Romulo e Remo.

P. Se io non m'inganno abbiamo consumato molto tempo in questa sala; ci restano questi canti, ove avete fatto otto Virtù; questa mi pare la Fortuna con la vela, che calca il Mondo.

G. Signor sì; quest'altra è la Costanzia, la quale ferma con un compasso una pianta; in quest'altro angolo, dove è la storia del re Francesco, è una Virtù coronata d'alloro con molti libri intorno; ed in questo, che gli è contiguo, è una Sicurità, la quale appoggiata a un tronco dorme pacificamente.

P. Non si poteva finger meglio: ma ditemi, in quest'altro angolo vicino all'ovato, dove è lo sponsalizio del duca Alessandro, mi par veder la Vittoria con un trofeo ed un ramo di quercia in mano; è ella dessa?

G. Vostra Eccellenza la cognosce meglio di me; quest'altra armata all'antica, con il teschio di Sansone in mano, è fatta per la Fortezza: in quest'ultimo qua, dove è quel vecchio venerabile, il quale è coronato da un putto, è fatto per l'Onore; nell'altro è la Magnanimità, che ha in mano, come la vede, corone d'oro, d'argento e di lauro.

P. La volta certamente è ricchissima, e molto bene con ordine scompartita, e non si poteva desiderar meglio, e ne ho sentito singular contento: ma ditemi solo quello che avete fatto sopra queste porte, che mi paiono ritratti, e nell'una ci veggo papa Clemente con il re Francesco.

G. Signore, son essi; nell'altro ho fatto il medesimo pontefice con Carlo V; che rimanendomi questi spazi non sapevo che farmi.

P. Avete fatto benissimo, e resto, come vi ho detto, d'ogni cosa satisfattissimo: ma andiamo dunque nell'altre stanze, che qui non mi pare ci resti cosa di momento.

G. Io la seguito.

<< prec succ >>

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