Giornata seconda. Ragionamento primo. Sala di Cosimo il Vecchio

Giornata Seconda
Ragionamento Primo
Sala di Cosimo vecchio
Principe e Giorgio

G. Da che Vostra Eccellenza è venuta, e che Quella desidera che oggi passiamo tempo col vedere nelle sale e camere di sotto le storie dipinte delli Dei terrestri della illustrissima casa de' Medici, mi pare (se piace a Vostra Eccellenza) innanzi che andiamo più oltre col ragionamento, che bisogni ch'io dica la cagione, perché noi abbiamo messo di sopra e situato in que' luoghi alti le storie e l'origine delli Dei celesti, ed in oltre la proprietà che essi hanno lassù secondo la natura loro, perché essi in queste stanze di sotto hanno a fare il medesimo effetto; perché non è niente di sopra dipinto, che qui di sotto non corrisponda.

P. Adunque queste storie di questi vecchi di casa nostra volete che ancora esse participino delle qualità delli Dei celesti, come avete mostromi nel duca mio signore? Questo sarebbe molto doppia orditura; e mi credevo che vi bastasse che le servissino per uno effetto solo, e non per tanti. Certamente che sarà un gran fare; or poi che sono venuto, e che io vi veggio desideroso ch'io le sappia, cominciate il vostro ragionamento, che vi starò volentieri ad ascoltare.

G. Dico così, che le stanze di sopra, che ora son poste vicino al cielo, e che non ci ha a ire sopra altra muraglia, né pitture, e mostrono (ed in effetto sono) l'ultimo cielo di questo palazzo, dove in pittura oggi abitano le origini delli Dei celesti; dinotando che i nostri piedi, cioè l'opere, quando ci portano in altezza, ci lievano di terra col pensiero e con le operazioni, e camminando andiamo per mezzo delle fatiche virtuose a trovare le cose celesti, considerando alli effetti del grande Iddio, ed a' semi delle gran virtù poste da sua Maestà nelle creature quaggiù, le quali, quelle che per dono celeste fanno in terra fra i mortali effetti grandi, sono nominati Dei terrestri, così come lassù in cielo quelli hanno avuto nome e titolo di Dei celesti; e perché aviamo fatto lassù che ogni stanza risponda a queste da basso per grandezza della pianta simile, e per riscontro di dirittura a piombo, come ora Vostra Eccellenza vede in questa che noi siamo, nella quale sono dipinte tutte le storie del magnifico Cosimo vecchio de' Medici; lassù sopra queste si feciono le storie della madre Cerere (figura e significato di esso Cosimo), la quale Cerere fu quella che provvide industriosamente le ricchezze e le comodità alli uomini delli frutti della terra, e cercò di cavar dell'inferno la figliuola rapita dal crudele re Plutone, e la ridusse in terra per godimento de' mortali, facendo e col latte divino e col fuoco eterno Trittolemo immortalissimo, donandogli tutte l'entrate, i carri, e gli altri beni temporali, come si disse. Così il magnifico Cosimo, anzi santissimo vecchio, nuova Cerere, non mancò sempre provvedere alla sua città d'ogni sorte abbondanza e grandezza, e con ogni industria cavar da Plutone, Dio delle ricchezze terrene, i tesori, per servirne i suoi eredi, e nella necessità la sua patria, ed acquistarne poi il cognome di padre; instituì poi dopo di sé Trittolemo immortale con la successione divina in Pietro suo figliuolo, e nel magnifico Lorenzo vecchio, suo nipote, lassandogli eredi della grandezza di casa sua e del governo di questo stato, i quali, con civile naturale verso i suoi cittadini e servitori, recarono al nome loro fama, con lassare la eredità loro oggi viva in Sua Eccellenza illustrissima.

P. Mi piace; ma incominciate a dirmi un poco quello che avete fatto in queste volte così riccamente messe d'oro, e lavorate di stucchi con tante belle bizzarrie di figure, cornici, ed altre grottesche di rilievo: che ritratti son quelli, con abiti da centinaia d'anni in dietro, ritratti di naturale? Per chi gli avete voi fatti?

G. Signore, se gli è detto che tutto ha da aver significato, come si dirà a Quella ragionando; e i ritratti sono in ogni stanza la descendenza de' figliuoli del magnifico Cosimo vecchio, così delli amici, e suoi servitori, che appartatamente in ogni camera ha ognuno i suoi, tutti ritratti di naturale da' luoghi, dove n'è rimasto memoria. Fassi ancora in ogni stanza l'arme di colui di chi si fa le storie memorabili, così ancora le imprese sue co' motti loro.

P. Voi avete preso, Giorgio mio, una gran fatica, ed una impresa molto difficile; ma ditemi, come avete voi fatto che tanti ritratti di uomini di tante sorti, quante sono in queste stanze, aviate potuto aver comodità di ritrovare?

G. Signor mio, egli si è usato una gran diligenza in cercarli; e ci ha aiutato assai che questi, di chi si ragiona, sono state tutte persone grandi, e la diligenza de' maestri di quelli tempi, che sono pure stati assai, ed eccellenti in pittura e scultura, i quali n'hanno fatto memoria nell'opere che in que' tempi dipinsono in Fiorenza, come nel Carmine nella cappella de' Brancacci, dipinta da Masaccio, ve n'è parte, e nell'opere di fra Filippo, e fra Giovanni Angelico, ed in Santa Maria Nuova, da maestro Domenico Viniziano e da Andrea del Castagno nella cappella de' Portinari; il quale Andrea fu allevato di casa Medici, che molti amici di Cosimo, Piero, e Lorenzo vecchio vi ritrasse in quell'opera; e tanto fece in Santa Trinita, alla cappella maggiore, Alesso Baldovinetti, e nella medesima chiesa, nella cappella de' Sassetti, Domenico del Grillandaio, che tutta l'empiè d'uomini segnalati, seguendo il medesimo ordine in Santa Maria Novella nella cappella grande de' Tornabuoni, dove, oltre a molti cittadini ed amici suoi, fece molti litterati del suo tempo; ed in oltre se n'è avuti gran parte in molte case private della città, nelle quali già s'era usato un modo di farsi ritrarre di rilievo, facendone di terra con le teste, e di marmo come quella di Piero di Cosimo, e molte altre di quelle persone segnalate, che incominciorno al tempo di Donatello, e di Filippo Brunelleschi, e Luca della Robbia, che anche seguitorno in Desiderio da Settignano, e nel Rossellino, ed in Nanni di Antonio di Banco, ed in Benedetto da Maiano; che n'ho trovate di lor mano, di stucco e di terra e di marmo, assai; ma molte più se ne fece quando fu trovato da Andrea del Verrocchio, scultore, il gittare il gesso da far presa, stemperato con l'acqua tiepida, e gittato in sul volto a' morti, che facendo sopra quelli un cavo, e rigittando del medesimo gesso, ungendo prima la forma, o vero con terra fresca, in quel tanto che il cavo s'impressi, di rilievo veniva la forma del viso, come so che Vostra Eccellenza sa, che avete visto formare di molte cose: la qual comodità è stata cagione di render vive le persone morte nelle effigie loro.

P. In verità che si ha a avere un grand'obbligo a questi maestri, i quali con queste lor fatiche onorevoli hanno fatto in pittura ed in iscultura a questa nostra opera una gran commodità; ma certamente che anche si deve lodare Andrea del Verrocchio, il quale trovò il modo di formare i morti, perché fe' un gran capitale di quelle cose che nascono in sul vero, che certamente è cosa facile, che la può fare fuor de' maestri ogn'uno, essendo via molto utile a conservar nelle case la memoria di chi l'esalta, e le fa nominare; ed io ho avuto caro questo modo, perché porto a' pittori affezione per lo studio della bellezza dell'arte loro, ma molto più per conto de' ritratti; e così alli scultori ho obbligo, per questo conto, grandissimo.

G. Se gli deve certo, ma non meno l'aviamo da avere alla buona fortuna del duca Cosimo, la quale è stata sì propizia a questo lavoro, che tutte le cose difficili, che non si pensava poter trovare né avere, ci ha rendute facili col trovarle ed averle.

P. È assai, ma non volete voi cominciare a contare le storie, e dichiararci minutamente i casi, ed i suai significati al solito del nostro ragionamento? Ditemi un poco, Giorgio mio, che storia è questa dove io veggo que' cittadini a cavallo con quelli staffieri, con tanti carriaggi in su que' muli che si partono da Firenze?

G. Questa, Signore, fu nel 1433 a dì 3 d'Ottobre lo esilio del magnifico Cosimo Vecchio, qual so dovete sapere.

P. Io l'ho visto, ma mi sarà caro, avendolo voi a memoria, che me lo ricordiate.

G. Dico che questo suo esilio causò M. Rinaldo delli Albizzi e i suoi amici. Avendo loro, dopo la morte di Giovannidi Bicci, padre di Cosimo, visto la saviezza e lo studio e la liberalità, ed il grande animo nel governo delle cose pubbliche, che ogni giorno e' faceva, avendosi acquistato per la benevolenza di molti, e per le virtù sue, e fattosi partigiani molti cittadini, e potè tanto l'invidia di M. Rinaldo, che operò che Niccolò Barbadori tentasse Niccolò da Uzzano, allora grandissimo cittadino, proponendogli che la parte loro, non ci mettendo rimedio, saria spenta in breve da quella che teneva Cosimo.

P. Oh che dubitavano eglino di Cosimo, sendo egli sì buono e sì savio, e sì costumato cittadino?

G. Perché dubitavano ch'egli non si facesse principe della città, nella quale allora per queste emulazioni nacquero molti accidenti pericolosi contra Cosimo, fra' quali, come so che Vostra Eccellenza debbe avere inteso e letto, che M. Rinaldo pagò le gravezze di Bernardo Guadagni, acciò che il debito del comune non gli togliesse il gonfalonierato, che poi la fortuna, delle discordie fautrice ed amica, nella tratta di quel magistrato glielo concesse; laonde preso Bernardo il magistrato e disposto i Signori, ed intesosi con M. Rinaldo, citò Cosimo.

P. Comparse Cosimo?

G. Come se comparse! Anzi non perdé punto di animo, fidandosi della innocenza e bontà sua. Così liberamente andato in palazzo, nel quale fu sostenuto con pericolo della vita; che chiamato il popolo da' signori in piazza, crearono la balìa per riformar lo stato; e fatta subito la riforma, fu trattato da loro della vita e morte di Cosimo, e fra essi fu vari e strani pareri, i quali, non risoluti, causarno che fu messo nella torre del palagio, luogo piccolo detto lo Alberghettino, e dato a Federigo Malevolti in custodia con la chiave; il quale scoprendosegli amico, mosso a compassione di Cosimo, mangiando seco lo assicurò dal dubbio del veleno, dal quale egli sospettava per quella via avere a lasciar la vita in quella miseria. Per il che, confortato da Federigo, vi condusse per rallegrarlo una sera a cena seco il Farganaccio.

P. Che persona era ed a che attendeva il Farganaccio?

G. Era uomo piacevole e di buon tempo, familiare intrinseco ed amico di Bernardo Guadagni, allora gonfaloniere; laonde preso tempo Cosimo di addolcirlo, mentre Federigo provvedeva la cena, gli fé pagare per contrassegno allo spedalingo di Santa Maria Nuova mille ducati, i quali portasse a donare al gonfaloniere, e cento ne fe' dare al Farganaccio, quali furono cagione che Cosimo fu confinato a Padova contro la volontà di M. Rinaldo, il quale cercava con ogni suo potere di torli la vita.

P. Certo che fu una gran prudenza la sua a provvedere ai rimedi della vita in sì pericoloso accidente.

G. Ecco che là se gli è fatta la Prudenza in quell'angolo della volta in pittura, la quale contemplandosi nello specchio, si fa ogn'or più bella acconciandosi la testa, dinotando che nelle difficultà chi ha il cervello saldo esce d'ogni fastidio e pericolo.

P. Tutto approvo per vero; ma ditemi un poco chi sono coloro che accompagnano allo esilio Cosimo.

G. Quello da quel berrettone rosso è Averardo de' Medici, il quale fu confinato seco; l''altro più giovane è Puccio Pucci, e Giovanni e Piero figliuoli di Cosimo, li quali, con quelli staffieri, vestiti come si usava in quel tempo, escono fuor della porta a S. Gallo, e vanno, come Vostra Eccellenza vede, al confino; drieto dove sono i carriaggi, vi è il restante della famiglia di Cosimo.

P. Tutto conosco; ma voi non mi avete detto che cosa dinoti quella serpe, sotto quella Prudenza, che fra que' due sassi stretti passa e lassa la spoglia vecchia.

G. Signore, è che partendosi Cosimo di Fiorenza, mostrando a que' signori di andar volentieri, ed ubbidire al confino, al suo ritorno gittò, come prudente, la spoglia vecchia e si vestì di nuova vita riconoscendo gli amici, e gastigando li inimici; ed ecco qua in questo altro angulo della volta dipinta la Fortezza, la quale, come Quella vede, ha armato il capo ed il resto della figura all'antica; tiene nella sinistra uno scudo drentovi una grue, la quale si fa per la Vigilanza, alzando il braccio destro tiene un ramo di quercia in mano, per mostrare la Fortezza in quello albero, del quale si fa le corone alli uomini forti.

P. Certo che se gli conviene il titolo di prudente, e di forte d'animo, poiché seppe tanto bene operare, che ritornò in casa sua con maggiore autorità che prima; ma vegniamo a questa storia di mezzo, grande. Ditemi, questo debbe essere il suo ritorno di Venezia alla patria; mi par vedere Cosimo a cavallo in su quel cavallo leardo; oh qui ci sarà che fare! Io veggo un gran numero di persone ritratte di naturale; ora riandiamo un poco questo caso minutamente, come egli andò; che vedrò come vi siate portato in questa storia, che n'ho in memoria una gran parte.

G. Poiché Vostra Eccellenza ha cognosciuto Cosimo al ritratto, che lo somiglia, so ben che ella non conosce quelli gentiluomini a cavallo, che l'accompagnano, né quelli cittadini a piedi, che lo incontrano; sapete, Signore, chi è quegli che ha quel viso con quel nason grande, canuto, grassotto, e raso, sopra quel cavallo rosso, che stende la mano manca inverso que' cittadini, con quello abito grave appresso a Cosimo?

P. Non io che nol conosco: egli ha bene una cera d'uomo austo e terribile.

G. Quegli è M. Rinaldo delli Albizzi, nimico capitale a Cosimo, il quale va a incontrarlo contro la volontà sua, cedendo la invidia alla virtù e buona fortuna di Cosimo.

P. Ditemi, chi sono que' due giovani sì benigni d'aspetto, vicini a Cosimo a cavallo, che uno ha la zazzera, e l'altro è co' capelli tosati?

G. Il tosato è Piero, e l'altro, con i capelli lunghi, che volta in qua la testa, è Giovanni, figliuoli di Cosimo; e quello che è dreto loro, che ha la cera savia, e grinzo, vecchio, raso ed in zucca, è Neri di Gino Capponi, neutrale amico suo.

P. Fu persona molto savia e valente; vedetelo nello aspetto, che n'ha aria; ma ditemi, chi è quello, che gli è allato, con quella incarnazione scura, con cera burbera e viso tondo?

G. Quegli è Nerone di Nigi, e l'altro presso a lui è Mariotto Baldovinetti, tutte persone che erano, secondo la comodità loro, quando amici, e quando no, di Cosimo, i quali, simulando il male occulto, procacciano ricuperare il bene certo.

P. Quegli con la barba canuta, che ha in capo quel berrettone di color di rose secche, anch'egli a cavallo in compagnia di Cosimo, ditemi il suo nome.

G. È Niccolò di Cocco, che fu gonfaloniere, e cagione, per esser resoluto e presto nelle sue azioni, del ritorno dal suo esilio; il quale, ancora che M. Rinaldo co' suoi armati mettesse a romore la città, e facesse pratica di far rimuovere il gonfaloniere ed i signori, e che si abbruciassero li squittini, fu tanto animoso, che preso il possesso gli bastò l'animo che Donato Velluti suo antecessore fusse messo in carcere, per essersi valuto de' danari del pubblico, e di più con ardimento maggiore far che fussono citati M. Rinaldo, Niccolò Barbadori, e Ridolfo Peruzzi.

P. Dove avete voi fatto il Barbadoro, ed il Peruzzo? Mostratemegli un poco.

G. Sono in questo mucchio di cittadini a' piedi, fra questo populo, che l'incontrano, che sono quelle due teste in proffilo, drieto a quel cittadino intero in mantello rosso e cappuccio, che ha le braccia aperte rallegrandosi di veder Cosimo.

P. Per chi l'avete voi fatto?

G. Signore, questo è Tommaso Soderini, intrinseco amico di Cosimo; accanto gli è quel vecchio raso e canuto, con la man manca al petto, e la destra stende verso Cosimo; questi è Niccolò da Uzzano; il quale non prestò orecchie al ragionamento di Niccolò Barbadori contra Cosimo, il quale gli è dietro.

P. Questo è quello, che con Rinaldo fe' venire gente di fuori, facendo alto a Santo Pulinari, perché Cosimo non tornasse; dove, intiepiditi dalla freddezza di M. Palla Strozzi, fe' perdere l'occasione a' signori, che, addormentati, si smarrirono.

G. E fu peggio, Signore, che M. Rinaldo a' prieghi di M. Giovanni Vitellesco da Corneto, patriarca alessandrino (il quale essendo in quel tumulto fuggito da Roma con papa Eugenio in Firenze, il papa mandò il detto patriarca a M. Rinaldo a pregarlo, perché gli era amico, che mettesse giù l'armi, e disposelo a l'are ch'egli si abboccassi con sua Santità, e li promesse di fare che Cosimo non torneria alla patria), fe' licenziare perciò tutte le genti: che fu cagione di far capitar male quella parte de' nobili.

P. Messer Rinaldo non fu valent'uomo, perché se egli avessi considerato che chi si rimette in coloro, che non hanno saputo governare loro stessi, fanno capitar male altrui il più delle volte; tanto più quanto egli sapeva che il papa era stato per suo mal governo cacciato di Roma; e fu un gran vedere quel di Niccolò di Cocco, che, poi ch'egli ebbe addormentata la parte, facendo venir segretamente le loro genti d'arme, e tanti popoli della montagna di Pistoia, che potettono occupare i luoghi forti della città, per poter poi, come e' feciono, crear nuova balìa, e rimetter Cosimo nella patria e gli altri confinati seco; ma ditemi un poco, chi son que' due che parlano insieme, uno vestito di scarlatto, che volta a noi le spalle, con la berretta in capo da dottore, rossa, e l'altro grassotto con quel cappuccio pavonazzo in capo?

G. È M. Palla Strozzi il dottore, e l'altro in cappuccio pavonazzo, che dite, è Luca di Maso delli Albizzi, e quello vestito di pagonazzo, tutto magro, e pallido, col viso alquanto lungo, è M. Agnolo Acciaiuoli, amico grandissimo di Cosimo, che gli scrisse, quando era in esilio, in che termine la città si trovava, e che era disposta perché egli ritornassi, pur che egli facesse muover guerra in qualche luogo, e lo confortò a farsi amico Neri di Gino Capponi.

P. Ditemi, questa lettera non fu ella trovata, e fu cagione che M. Agnolo fu preso, e poi mandato in esilio?

G. Signor sì, ma vi stè poco; or torniamo al resto di questi ritratti. Vede, Vostra Eccellenza, quello che è allato a Niccolò da Uzzano, in proffilo, è Giovanni Pucci, amico di Cosimo; l'altro ch'è di sotto a lui, pure in proffilo, con quel naso grosso in fuori, e raso, è Federigo Malevolti, il quale, come si disse, tenne la chiave dello Alberghettino, dove stette in prigione Cosimo, tanto amorevole e pietoso verso di lui, che li condusse il Farganaccio.

P. Ecci egli ritratto il Farganaccio in questa storia?

G. Signor sì, vedetelo là in ultimo delle figure, a piè, in zucca, grasso, che ha viso di buon compagno; e quegli che è fra Niccolò da Uzzano e Tommaso Soderini, col cappuccio rosso, grassottino, con gli occhi grossetti, pulito e raso, è Bernardo Guadagni gonfaloniere, che fu corrotto con danari.

P. Fu galant'uomo; ma ditemi, chi son que' dua, un che volta la testa in qua, e l'altro mezzo coperto?

G. L'altro del cappuccio rosso è Piero Guicciardini, e allato gli è Niccolò Soderini, cari amici a Cosimo; l'altre gente, che vi sono attorno, è il populo; vedete che v'è corso a vederlo entrare le donne con i putti, che hanno portato con loro gli olivi, le grillande ed i fiori per fiorir le strade; e comunemente da suoi cittadini e dal populo, con quel motto attorno a quell'aste sotto, è chiamato Padre della Patria.

P. Ditemi, Giorgio, io veggo che voi avete ritratto Firenze per la veduta della porta a San Gallo, che mi piace assai, perché so che Cosimo ritornò di quivi; ma veggo io innanzi alla porta un gran borgo di case, ed un gran convento di frati, cosa che non l'ho mai vista.

G. Signore, non è maraviglia, perché l'anno 1530 per lo assedio di questa città fu rovinata la piazza, il borgo, ed il monasterio, quale era nominato Santo Gallo, dove la porta riserva ancora oggi il nome, che d'osterie, botteghe, e luoghi pii che v'erano, faceva cognoscere a chi era forestiero, innanzi che egli entrassi in questa città, che cosa ell'era drento.

P. Mi torna a memoria adesso che mi ricordo aver visto scritto che San Gallo, monasterio famoso, fu edificato dal nostro magnifico Lorenzo vecchio, per le virtù di fra' Mariano da Ghinazzano predicatore dell'ordine osservante Eremitano, che poi le prediche sue lo sforzarono a edificare si onorata e gran fabrica.

G. Gli è vero, ed io ho figurato il borgo, le case, la piazza, e' l convento, acciocché, poiché egli è rovinato, ne rimanessi in pittura, a chi non le vedde, questa memoria.

P. Avete fatto bene, ed io, che non lo veddi in piedi murato, ho obbligo a voi che me lo fate vedere dipinto; ma ditemi un poco; chi furon coloro che furono confinati nel ritorno di Cosimo, oltre a M. Rinaldo delli Albizzi, Ridolfo Peruzzi, Niccolò Barbadori, M. Palla Strozzi, e dove furono confinati?

G. So che M. Rinaldo fu confinato dalla balìa l'anno 1434 per anni dieci a Trani, ed Ormanno suo figliuolo a Gaeta per altri dieci anni, e ammoniti i discendenti suoi; e Ridolfo di Bonifazio Peruzzi all'Aquila per dieci anni, Bartolommeo da Uzzano fuor delle mura per anni quattro, Luigi, Bernardo, Giovanni, Lorenzo, Matteo di Bindaccio Peruzzi a Vinegia per anni cinque e tutta la famiglia sua e discendenti e tutta la famiglia de' Peruzzi furono ammoniti, eccetto li discendenti di Rinieri, di Luigi e di Giovanni di quel casato.

P. Altri?

G. Niccolò di M. Donato Barbadori fu confinato a Verona per anni dieci ed ammonito, e Cosimo suo figliuolo a Verona, o vero a Vinegia, che, rotto i confini, gli fu tagliato il capo.

P. M. Palla di Neri Strozzi?

G. Fu confinato a Padova per dieci anni con Noferi suo figliuolo; così tutti i Guasconi, e tutti i Rondinelli, e loro discendenti ammoniti per venti anni.

P. Alla signoria, che reggeva quell'anno il Settembre e l'Ottobre, fugli fatto niente?

G. Furono ammoniti, eccetto Iacopo Berlinghieri e Piero Marchi, perché questi dua stettono fermi nella fede. Io non mi ricordo di tutti così particolarmente, ma io vi potrei mostrare una lista di quella condennagione, che ascende al numero di novantaquattro, o più, tutti cittadini confinati ed ammoniti.

P. Non si fece però sangue?

G. Signor no, eccetto, come dissi, di Cosimo Barbadori, e poi di Ser Antonio di Niccolò Pierozzi, e di Zanobi di Adoardo Belfradegli, e di Michele di via Fiesolana, che tutt'a quattro, confinati a Venezia, fu loro poi tagliato la testa; e Bartolo di Lorenzo di Cresci, sendo al bargello, si trovò appiccato in prigione. Signore, andiamo alla storia, perché non mi pare a proposito, poiché son qui per dichiarare le pitture, il ragionar di questo, che son cose che su poi il mio pennello le fuggì.

P. Voi dite bene, ma chi cerca la rovina d'altri non si dee dolere, quando ella viene sopra di lui; ma in verità ch'io ho avuto sommo piacere di veder ritratte tante persone grandi in questa camera, e non se ne perde niente; ma voltiamoci a questa storia sopra la finestra, dove io veggo Cosimo a sedere con quel giovanetto in piedi, che parla seco; ditemi che cosa è.

G. Signor mio, questo fu che, levandosi le parti in Bologna fra la casa de' Bentivogli e de' Caneschi vecchi, Annibale Bentivogli fu da Batista Caneschi morto, e Batista nel medesimo rumore dalle parti fu ammazzato, straginato ed arso, e la parte fu cacciata della città. Così rimasto di Annibale un putto d'anni sei, e dubitando la parte che in Bologna governava per i Bentivogli, non avendo loro capi di quella casa, che fussi di qualche autorità sopra di loro, per qualche seme di discordia che seguiva fra loro, intendendo che i Caneschi tenevano il ritorno, e mentre che fra la gelosia, il timore e la discordia che dubitavano fra essi non facessi qualche disordine, fu inteso ciò da Francesco che era stato conte di Poppi, il quale allora era in Bologna, fe' intendere a' capi che se volevano esser governati da uno, ch'era disceso del sangue di Annibale, lo insegnerebbe loro; e gli disse che circa 20 anni indrieto, Ercole, cugino di Annibale, stando a Poppi aveva praticato con una giovane di quel castello, e che ne nacque un figliuolo chiamato Santi, il quale Ercole gli aveva affermato con verità lui essere il suo, e che grandemente lo somigliava

P. Questo, che avete fatto qui avanti a Cosimo, somiglia il ritratto di Santi?

G. Signor sì, che si ritrasse dalla medaglia sua di mano di Michelozzo Michelozzi scultore; e per tornare a Santi, prestarono i capi fede al conte, e senza indugio mandarono a Firenze loro cittadini a Cosimo che fussi con Santi, e lo mandassi loro a Bologna. Cosimo sapeva che Antonio da Cascese era reputato padre di Santi, il quale era morto, e mandando per il giovane, ci vedde drento l'effigie di Ercole Bentivogli. Così non sprezzato il negozio, ritrovando il vero della cosa, chiamò Santi alla presenza sua, e gli parlò così, come Vostra Eccellenza vede che io l'ho dipinto: "Santi", gli disse Cosimo, "nessuno ti può consigliare, sapendo tu dove t'inclina l'animo; se tu non lo sapessi, or lo sai da me: tu sei figliuolo di Ercole Bentivogli, e non d'Antonio da Cascese"; e lo confortò, che, se egli voleva andare al governo de' figliuoli d'Annibale, gli era necessario che si voltassi con animo nobile a quelle imprese gloriose, e degne di quella casa tanto illustre, e che mostrasse con effetto esser ne' gesti figliuolo di Ercole; e volendo essere figliuolo d'Antonio da Cascese, potea ritornare a stare ad un'arte, consumando la vita sua in quel travaglio meccanicamente.

P. Che gli rispose Santi?

G. Non altro se non che, inanimito dalle parole di Cosimo, s'apprese al consiglio suo; e, rimettendosi in lui, lo consegnò a que' cittadini bolognesi, i quali sono lì presenti, e lo mandò a Bologna con loro, con cavalli, vesti e servitori, ed accompagnato nobilissimamente; che governandosi secondo che lo instituì Cosimo, ed a bocca e per lettere, mostrò poi tanto animo, e tanta astuzia, che in quella città, dove i suoi maggiori erano stati morti, egli con pace e con quiete onoratissimamente visse, e con fama morì.

P. Certo che egli non degenerò dal padre, e fece a Cosimo onore, mettendo in opera il suo savio consiglio.

G. E però vede Vostra Eccellenza in questi dua angoli, che mettono in mezzo questa storia, in uno è l'Astuzia, la quale ha la face in una mano accesa, e lo specchio nell'altra, con le ali in capo, che drento vi si guarda; nell'altro è l'Animosità, che è un Sansone, giovane animoso, il quale sbarrò il leone.

P. Ho inteso il tutto; voltiamoci a quest'altra, che questa m'ha satisfatto assai.

G. Dico a Vostra Eccellenza che questa è, quando Cosimo dopo la morte di Giovanni Bicci, suo padre, finito di murar la sagrestia di S. Lorenzo di Firenze, che egli lassò imperfetta, prese a far murare la chiesa e la canonica con ordine del priore, dei preti e de' populani di quel luogo, fattone far la pianta a Filippo di Ser Brunellesco, architettore, e a Lorenzo di Bartoluccio di Cione Ghiberti, il modello di legname.

P. Dirò che sono quelli che voi gli avete fatti dinanzi a Cosimo, che hanno in mano quel modello che gnene mostrano; ma, se son loro, mostratemi di grazia quale è Filippo, che io ho sempre avuto vaghezza di conoscerlo, ed ogni volta ch'io veggo la macchina della cupola, mi vien sempre in memoria il grande animo ed ingegno di quell'uomo.

G. Avete ragione, che non ne nasce ogni dì; imperò Filippo è quegli che è ginocchioni, raso, con quel cappuccio in capo, vestito di pagonazzo; e l'altro che è ritto, raso anch'egli, e sostiene insieme con Filippo il modello di legno, è Lorenzo.

P. Non è egli quello che gittò le porte di S. Giovanni di bronzo?

G. Signor sì, l'uno e l'altro raro nella professione sua, degni veramente di servir Cosimo.

P. A che accenna loro Cosimo?

G. Accenna, come Vostra Eccellenza vede dipinto, che quelli scarpellini che lavorano quelle pietre, e' muratori che murano, co' legnaiuoli, fabbri, e gli altri manifattori, che sieno loro intorno a farli sollecitare la muraglia, avendo ragionato loro che voleva metter mano al monistero di S. Marco di Firenze (il quale vedete quaggiù di sotto in questo ovato dirimpetto, che lo murano) ed a molti altri edifizi e luoghi pii.

P. In verità che egli murò assai, che ne ho visti gran parte; guardate che bel tempio e convento fu quello della badia di Fiesole, e S. Girolamo nel medesimo monte, il monasterio di santa Verdiana, il noviziato di santa Croce, fatto dai fondamenti, la cappella della Nunziata ne' Servi, a S. Miniato al Monte, al Bosco a' Frati in Mugello, e molte altre cose di chiese, che non ho a memoria; ed inoltre intendo che le riempiè di paramenti, argenterie, e cose degne d'ogni gran principe; che fino nell'eremo di Camaldoli intendo che vi fece una cella da romiti, bellissima, ed a Volterra edificò il luogo di S. Francesco, che lo finì Piero suo figliuolo dopo che Cosimo fu morto; ed intendo che sino in Ierusalem fece uno spedale per li pellegrini; e fino da voi ho inteso dire che fece nella facciata di S. Piero di Roma le finestre di vetro con l'arme sua.

G. Gli è vero, che al tempo di papa Paulo III furono disfatte, e rifatte di nuovo con l'arme di quel papa.

P. Lassiamo questo; ma ditemi un poco, chi è quello con quel cappuccio avvolto al capo, con occhi vivi, e quell'altro più vecchio, che abbassa la testa guardando il modello?

G. Donatello scultore è quel dal cappuccio avvolto, anina e corpo di Cosimo, il quale è in compagnia sua per vedete e lodare quell'opera, e parte per mostrare i disegni ch'egli ha fatti degli ornamenti di stucco della sagrestia vecchia, e delle porticciuole di bronzo che vi fece, così delle quattro figure di stucco, grandi, che sono ne' tabernacoli della crociera della chiesa, e le cere da far gittare di bronzo i pergami di S. Lorenzo, ed il modello dell'altar maggiore con la sepultura di Cosimo a' piedi.

P. L'altro ditemi chi è.

G. È Michelozzo Michelozzi, scultore e architettore, il quale gli fé il modello, e fé condurre il palazzo suo di Fiorenza, quel di Careggi, Cafaggiuolo, il Trebbio, e la Libreria di S. Giorgio di Venezia, la quale fé fare Cosimo, quando egli era a confino.

P. Belle memorie tutte; ma ditemi di queste dua femmine il loro significato, che è in mezzo questa storia, in questi due angoli; che è questa, che ha in mano questo libro serrato, e nell'altra que' due pungoli, ed il mondo appresso, con quelle cose di orefice lavorate sottilissimamente per il dosso?

G. Questa è la Diligenza, che usò sempre Cosimo negli edifizi per onor di Dio, avendo i duoi pungoli in mano uno per l'Onore, l'altro per la Eternità, durando quanto il mondo che l'ha vicino; ed il libro sono le storie, nelle quali gli scrittori l'hanno fatto vivere nelle memorie delle genti; l'altra è la Religione cristiana, che egli amò tanto e tanto onorò.

P. Perché la fate voi amantata e grave, e sotto i piedi quel fascio di palme, ed in una mano l'ombrella con le chiavi, e nell'altra il libro co' sette segnacoli, e da un lato le cose del Testamento vecchio (che veggo l'altare abruciare la vittima), di qua il regno papale, e sopra lo Spirito Santo? Diffinitemi questa fantasia.

G. Eccomi: si è fatta la Religione amantata per la venerazione che hanno le genti, avendo a rappresentarci gli ordini della Chiesa ne' sette sacramenti, i quali sono in que' vasi che gli sono attorno; il fascio delle palme sotto i piedi son figura del fondamento di essa Chiesa, fondata col sangue de' martiri; l'ombrella con le due chiavi è messa per l'altorità del papa, senza la quale il libro de' sette segnacoli non si può aprire, per averla lassata Cristo al suo vicario in terra, avendo perciò fattoci il regno papale; e quel vaso, che vi è drento le rose e le spine, mostra essere il libero albitrio, che chi l'esercita non può aprire e serrare il libro con la chiave senza la illuminazione dello Spirito Santo, il quale ella ha di sopra.

P. Lo altare che abrucia la vittima?

G. È figura di coloro che si trasformano in Cristo benedetto, facendo sacrifizio del cor loro, ardendo sempre in su l'altare delle buone opere, come fece Cosimo, il quale non mancò avere tutte queste parte nella religione.

P. Piacemi assai; né si poteva intendere se voi non l'aveste dichiarata. Ma vegniamo a questa altra storia, dove io veggo un gran numero di persone tutte naturali intorno a Cosimo, che siede loro in mezzo: chi sono coloro che gli presentano libri, e quelli altri che gli presentano statue, pitture e medaglie?

G. Quel ritto, vestito di pagonazzo, magro e grinzo, che ha quel libro in mano, è messer Marsilio Ficino, grandissimo ed ottimo filosofo, che presenta a Cosimo l'opere sue; e dreto gli è l'Argiropolo, di nazion greca, litteratissimo di que' tempi, che fu mezzo Cosimo che la gioventù fiorentina imparassi la lingua greca, in que' tempi poco nota; e quegli in proffilo allato al Ficino è M. Paolo dal Pozzo Toscanelli, grandissimo geometra.

P. Uomini tutti grandi ed onorati; ma ditemi, mi par riconoscerci Donatello col medesimo cappuccio, e Filippo Brunelleschi; ma io non conosco già quel frate, che gli presenta quella tavoletta dipinta, né quello scultore vestito di azzurro, che gli dà quella statua di bronzo.

G. Il frate è fra Giovanni Angelico, frate di S. Marco, il quale fece a Cosimo tutte le pitture che sono in S. Marco nel capitolo e nella tavola della chiesa, che fu rarissimo maestro, e fece ancora in S. Marco in ogni cella di frate una storia di Cristo benedetto; l'altro è Luca della Robbia, scultore eccellente, che fe' la porta di bronzo della sagrestia nuova di Santa Maria del Fiore, e inventore delle figure invetriate.

P. Gli altri chi sono?

G. È frate Filippo, ch'è quell'altro frate in profilo, il quale fece a Cosimo molte opere, che fu quello che fece la cappella grande della pieve di Prato, ed in Firenze la tavola della cappella del noviziato di Santa Croce, e della chiesa delle monache delle Murate; per Cosimo vi si è rifatto ancora Lorenzo di Bartoluccio Ghiberti, ed Andrea del Castagno pittore, amico di casa.

P. Chi è quegli con quel cappuccio rosso, lontano?

G. Quello è Pesello, pittore, maestro di animali eccellente, che parla con Paolo Uccello, maestro di animali, e prospettivo grandissimo; i quali, avendo tutti fatto opere a Cosimo, ricevono da lui come vedete (che ha in mano la borsa) doni e remunerazioni grandi, non da cittadino, ma da onorato principe.

P. Egli si vede, a quello che egli ha lasciato di memoria, s'egli è quello che voi dite; e certo che si mostra la magnificenza sua e l'ingratitudine di coloro che, potendo, non fanno il medesimo; ma veniamo a questi dua anguli che mettono in mezzo questa storia; che femmina è questa che ha questa torcia in mano, con queste tante anticaglie ai piedi, libri, pitture, ed armi?

G. Questa, Signore, è l'Eternità, provvista dalle qualità di Cosimo, riconoscendo le virtù nell'armi, nelle lettere, nelle architetture, nelle sculture, e nelle pitture, alluminando con la torcia accesa dell'intelletto coloro che doppo lui vivono, perché si procaccino fama, come lui, nelle memorie dopo la morte.

P. Sta benissimo; ma io veggo qua in questo altro angulo la Fama con le ale aperte, e con dua trombe, una di fuoco, l'altra d'oro, a cavallo in su la palla del mondo, e la vesta piena di lingue; perché avete voi fatto quel troncone d'albero secco suvvi le cicale?

G. Perché la Fama non dice mai tanto con le lingue, di che ha piena la vesta, figurata per i savi, che le cicale che odono, che sono il populo minore, non facciano maggior romore, portando con le ale il nome di colui che merita lode in quella parte di altezza, dove non aggiungono altro che le ale della fama; la tromba di fuoco è per la maledicenza delle opere triste; e la d'oro per le lode eterne di quelle buone, che si lasciano risonando per il mondo, dove ella cavalcando si fa sentire.

P. Tutto quest'ordine è bello, e le storie, come v'ho detto, mi piacciono; ci resta ora che sotto ogni storia avete fatto una medaglia, nella quale avete scritto il nome di chi è colui; che subito ch'io giunsi vi posi l'occhio: ma io vo' sapere da voi, per amor di quelle imprese ch'egli hanno appresso, quello che avete voluto inferire.

G. Egli si sarebbe fatto torto a quest'opera, anzi era un troncargli la vita a mezzo il corso. Qui comincia, Signor Principe mio, l'origine di casa i Medici: che Giovanni, detto Bicci, padre di Cosimo è ritratto dal naturale in questa medaglia sotto alla storia di Santi Bentivogli: Cosimo suo figliuolo, che è nelle storie, Lorenzo suo fratello, è qua dirimpetto sotto la storia, dove Cosimo remunera i virtuosi, che ha così aria di grande.

P. Questo debbe esser quello che, dividendosi da Cosimo, abitò nella casa vecchia, dove ne viene la descendenza del signor Giovanni avolo mio, che di lui è nato il duca mio signor padre.

G. Vostra Eccellenza l'ha detto. In questi altri dua tondi sono i dua figliuoli di Cosimo: in uno è Piero, che è sotto la storia, dove Cosimo va allo esilio, che fu congiunto con la Lucrezia de' Tornabuoni, che ne nacque il Magnifico Lorenzo e Giuliano; quest'altro che è sotto, dove si fabbrica S. Lorenzo, è Giovanni suo fratello, pur figliuolo di Cosimo, il quale morì giovane senza figliuoli, che per moglie ebbe la Cornelia delli Alessandri.

P. Lo sapeva; ma questa impresa del falcone che tiene il diamante, che fantasia fu? E quest'altra ch'el falcone muda, sapetelo voi?

G. Io ho inteso che il mudare fu il ritorno di Cosimo, il quale mutò penne, cioè volontà, per esser volubile nel suo ritorno verso gli amici suoi e nemici; che ne furon messe tre nel diamante, di colore una bianca, l'altra rossa, e verde l'altra, da Lorenzo vecchio, suo figliuolo, mostrando alli amici e al prossimo che, avendo sperato ed avuto fede, erano rimunerati dallo amore e dalla doppia carità di Lorenzo suo figliuolo .

P. Io credo che la stia così; ma voi avete bene osservato una cosa, che mi piace, che avete fatto in questa, oltra a queste imprese in questi anguli, l'arme delle otto palle, che usava Cosimo, che è accompagnata con queste grottesche piene di figure, e fanno parere, oltre alla ricchezza dell'oro e delli stucchi, questa stanza ricchissima.

G. Non se li conveniva manco; ora ci resta a mostrarvi sotto questi anguli, dove sono queste virtù, queste storie, finte cammei, a proposito di queste figure.

P. Io non ci aveva considerato; or ditemi quello che elle sono.

G. Volentieri; queste prime sotto la Prudenza sono le Grazie, che fanno bella Venere, e prudentemente con lo specchio l'acconciano, e l'adornano, e la lavano; e sotto la fortuna si fanno in quello ovato lungo, cittadelle, e si murano luoghi forti; sotto l'astuzia vi sono gli archimisti, e gl'indovini e geometri, che misurano figure; e sotto l'animosità vi si è fatto gl'inventori delle nave, che nell'acqua si sperimentano; sotto la Diligenza sono orefici, miniatori ed oriolai, che conducono le diligenti opere loro; e sotto la Religione sacerdoti ebrei antichi, che fanno sacrifizio al nome del grande Iddio; alla Eternità sono scultori che fanno le memorie con le statue a' posteri; ed alla Fama sono gli scrittori che scrivono storie, gli astrologi, e i poeti, e gli altri studenti; volendo concludere, che tutte queste virtù ed arti sono state favorite ed adoperate e remunerate da Cosimo de' Medici. E qui finisce l'ordine delle invenzioni di questa camera.

P. Certamente che ella mi piace, e me ne satisfo assai; or seguitiamo l'ordine nostro; non volendo star più in questa, possiamo passare a questa altra camera che segue.


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