Ragionamento Sesto
Terrazzo di Giunone
Principe e Giorgio
G. Vostra Eccellenza vede questo terrazzino cavato in su questa torre con industria, e questo ornamento grande di colonne, ed assai pietre, che si sono fatte a proposito, perché in questa altezza di quarantacinque braccia ci conduciamo, come Vostra Eccellenza vede, l'acqua, e ci faremo una fontana simile a questa, che per modello nel muro aviamo dipinta.
P. Certamente che questa sarà cosa rara; ma donde fate voi venire quest'acqua? Ditemelo di grazia.
G. Signore, questa verrà dalla fonte alla Ginevra, la quale si è livellata, che viene a essere tanta alta che getterà fino a questa altezza; e questa si condurrà presto, perché di già s'è cominciato: or seguitiamo il nostro ragionamento. Vostra Eccellenza vede questi tabernacoli sopra queste porte, con tante bizzarrie lavorate di stucco, così questo cielo, e medesimamente questo tabernacolo di mezzo, nel quale va una figura di marmo antica che verrà di Roma, che la donò a Sua Eccellenza la buona memoria del signor Baldovino dal Monte.
P. Che figura è ella, e che nome ha?
G. Il nome suo è Iunone, ed è bella statua, ed è quella che dà materia a questo terrazzino, e non si poteva mancare di tal suggetto; prima perché, essendosi trattato di Giove, in figura del duca signor nostro, bisogna ora trattare della moglie sua, cioè dell'illustrissima signora duchessa, tanto più, quanto questo luogo è per pigliare aria con questa bella veduta; ed essendo Dea lei de' regni e dell'aria, non se gli poteva dare miglior luogo.
P. Sta bene; ora incominciate.
G. Dico che, come Vostra Eccellenza sa, Iunone nacque di Saturno e di Opi, e, come avian detto, fu moglie di Giove, e dea de' matrimoni e delle ricchezze, e dea de' regni, perché ha nelle viscere della terra i tesori, e le cave dell'oro, dell'argento e degli altri metalli.
P. Ditemi un poco, perché la fate voi tirare lassù in cielo da que' dua pavoni in su quella carretta; che dinota?
G. Il pavone, Signor mio, si fa perché sendo lei dea delle ricchezze, per mostrare la qualità de' ricchi in quello animale, il quale è il contrario di quelli che sono modesti, savi, temperati, umili, e virtuosi; che il pavone di sua natura sempre grida, come i vantatori gridano che hanno le ricchezze; ed ancora perché il pavone sta sempre ne' luoghi alti; ché nell'altezza de' gran palazzi stanno gli uomini ricercando tutte le preminenze e gli onori; le piume dorate e ornate con vari colori sono le varietà degli appetiti che cascano nella mente degli uomini che hanno ricchezze assai, e le lodi che di continuo desiderano insieme con le vanità, che si usurpano per loro, avendo sempre le orecchie tese alle adulazioni. I piedi brutti che ha questo animale sono per le male opere di que' ricchi, che l'usano in mala parte, i quali sono destinati a tirare il peso della carretta di Giunone; ed il suo far la ruota, per mostrarsi più bello e più gonfiato e vano, denota che, mentre si vagheggia, non si avvede il mostrare ignudo le parti, che più segrete tenghiamo coperte per onestà, scoprendo sotto quello splendore delle penne dorate la miseria sua. A questo animale fu messo da Giunone nella coda gli occhi d'Argo ammazzato da Mercurio (che diremo più basso quel che significavano gli occhi d'Argo); le ninfe quattordici non l'ho fatte qui, perché ne' colori dell'aria che in queste sue storie ho dipinte, vi sono, che l'una è la serenità, i venti, le nugole, la pioggia, la grandine, la neve, la brina, i tuoni, i baleni, i folgori, le comete, l'arco celeste, i vapori e le nebbie; e già si vede in quel quadro a man dritta la dea Iride, che da un canto ha la pioggia, e da l'altro l'arco baleno in mano, che lo spinge all'aria.
P. Chi è quell'altra, che ha armato il capo, e che tiene quello scudo e così quell'asta in mano, vestita di color giallo?
G. Questa è Ebe, dea della gioventù, figliuola di Giunone, che fu poi moglie di Ercole; alzate il capo, Signor mio, e guardate questa storia in quest'ovato di mezzo, fra queste due già dette, che sono li sponsalizi che si fanno con l'aiuto di Giunone, perché essendo Dea delle ricchezze, con esse si fa le dote alle spose; e vedetela in aria, che fa loro serenità. Mancaci a dire come il carro di Giunone è messo in mezzo da questi dua quadri; in uno è l'Abbondanza col corno della copia, l'altra, che ha quel panno avvolto al capo, è la dea della Podestà, la quale amministra le ricchezze, ché a' matrimoni ci vuole l'una e l'altra; benchè ancor noi gli aremmo fatto torto se non avessimo fatto memoria, come facemmo, di Plutone, avendo, mercè sua, cavato tanti danari delle ricchezze del duca, che aviamo fatto tanti ornamenti, e pagato tanti uomini valenti, per goderci queste fatiche in memoria sua.
P. Certamente che ella ci ha parte infinitamente, ed ancor voi non gli avete mancato; ma l'interpetrazione di questa storia al senso nostro mi manca; seguitate l'ordine vostro.
G. Vostra Eccellenza sa che di Opi e Saturno nasce Giove e Giunone, qual fu sorella e moglie di Giove, applicando ciò alli animi conformi del duca signor vostro padre, e della illustrissima signora duchessa madre vostra, la quale certamente, come Giunone, dea dell'aria, delle ricchezze, e de' regni, e de' matrimoni, della quale non fu mai signora che fussi fra i mortali in terra più serena d'aria, avendo sempre nello apparir suo per la maestà, e per la bellezza, e per la grazia fatto sparire dinanzi ai servidori e sudditi suoi le nugole delle passioni, ed i venti de' sospiri dolorosi, e fatto restare la pioggia delle lacrime ne' miseri cori afflitti, in tutti quelli che ne' lor travagli hanno con supplichevoli voci fatto sentire a quella gli loro guai; ed ella sempre, come pietosa ed abbondante di grazie, ha con la sua Iride mandato sopra lor lo splendore dell'arco celeste consolandoli: e dove si può meglio dire de' regni e delle ricchezze che in Sua Eccellenza? La quale non solo è ricca delle virtù dell'animo, ma è patrona di tutte le ricchezze del duca nostro e fino della volontà: e quanti donativi grandi per lei stessa con egual grandezza ha distribuiti e distribuisce ogni giorno, che nessuna altra giammai la passò di ornamento, e di regalità, e di splendore d'animo? Quanto poi ella sia dea de' matrimoni, nessuna fu che più di Sua Eccellenza sia stata fautrice in accommodare i sua servitori, ed abbi condotto ed ogni giorno conduca tanti parentadi di cittadini, che col favore suo e con quello del duca nostro impiegato da lei dia a infiniti bisognosi nobili i donativi e le dote; oltre che nelle nozze fatte per loro Eccellenze, il trionfo onorato che feciono, ed ora per le illustrissime vostre sorelle, e sue figliuole, nel collocarle al principe di Ferrara, ed al signor Paulo Giordano Orsino, che certo Sua Eccellenza è Giunone istessa. Ma che lasso io le cortesie delle sue tante nobili ed onorate damigelle spagnuole ed italiane, le quali con tante ricchezze e dote ha rimunerate, facendo ricchi molti servitori suoi per via de' matrimoni, che troppo ci saria da dire, che Vostra Eccellenza meglio di me l'ha visto, e lo sa? E quale è simile è lei, che abbi sopra i parti la fecundità e le felice generazione? Che Giunone fu invocata Lucina per questo solo. Ma torniamo alla carretta sua tirata da' pavoni, il quale animale è superbo e ricchissimo di splendor d'oro e di colori, che denota che i superbi gli fa diventare umili, tirando il peso delle virtù sue illustrissime, le quali furono sempre amate e rimunerate da lei; oltre che gli occhi d'Argo messi da Sua Eccellenza nella coda del pavone; che, secondo i poeti, significa la ragione messa da Giunone in quello animale; i quali occhi, quando son tocchi dal caduceo di Mercurio, cioè dall'astuta persuasione, son fatti addormentare per torgli la vita: onde per avere tale esemplo dinanzi al carro, come specchio si vede in quella fare effetti mirabili col mostrare nelle virtuose azioni sue esser serena, coniugale, feconda, ricca, liberale, pia, giusta e religiosa; che se io sapessi, come non so, dire quel che dir si potrebbe delle virtù sue, io non finirei mai oggi. Ma tornando alle storie, vi è Ebe, dea della gioventù; che a lei s'aspetta il distruggere e consumare le ricchezze, e spenderle per dar perfezione al congiungere i matrimoni, che questo l'ha fatto Sua Eccellenza senza avarizia. Fassi Ebe figliuola di Giunone e moglie di Ercole, dinotando che le fatiche sono consorti delle virtù, le quali amano tanto loro Eccellenze, e massime in coloro che con fatica e studio le cercano. Iride va seguitando poi, che così come l'arco celeste fa segno di buon tempo e di pace, così doppo le fatiche virtuose, negli animi e ne' corpi, che invecchiano, è elemento ed aiuto, avendo per mezzo di Giunone acquistato le ricchezze, le quali sono cagione delle commodità della vita, e fanno abbondanza col corno pieno di frutti in coloro che [si sono] affaticati nella gioventù: dove poi la dea della Podestà comanda ai servi, ed alli altri bisognosi, che per il pane, e i salari l'ubbidiscano.
P. Questa è stata una lunga tirata, ma in vero che l'ho udita volentieri, e v'è tutti sensi buoni drento; ma ditemi, che storie sono queste in questi tabernacoli di stucco sopra queste porte?
G. Di Giunone e Giove; questa è Calisto, figliuola di Licaone, la quale fuggita dal padre, entrando nelle selve, fecesi compagna alle ninfe di Diano, dove fu impregnata da Giove, trasmutatosi in forma di Diana, e crescendogli il ventre fu cacciata da Diana; la quale partorì Arcade; così poi da Giunone battuta e straziata, ed in ultimo conversa in orsa, sendo Arcade suo figliuolo cresciuto gli corse drieto per ammazzarla, dove ella fuggita nel tempio di Giove, dove gli abitatori volendo ammazzar l'uno e l'altro, fu da Giove, Arcade converso in orso e posti in cielo intorno al polo artico, Calisto per l'orsa minore, ed Arcade per la maggiore.
P. Bellissima storia; ma l'altra che cosa è?
G. Ella è Io figliuola d'Inaco, che anch'ella essendo amata da Giove, il quale veggendola tornare dall'onde del padre, pregando quella che si fermasse, con una nugola la ricoperse, e la impregnò; onde Giunone, vedendo di cielo questa cosa, mossa da gelosia, fece fare l'aria serena, per il che, accorgendosene Giove, la trasformò in vacca, la quale mal volentieri donò a Giunone, che gliene chiese, e lei la diede in guardia a Argo, pastore con cento occhi che la guardassi.
P. Volete voi che queste storie abbiano significato alcuno a proposito nostro?
G. Voglio ancora che i poeti su vi ragionino assai, ma per noi intendo che così come Giunone desidera che la verginità si conservi per li matrimoni e per le vergini, e sendo gelosa di Giove suo marito, dinota la cura che tiene la signora duchessa nostra delle sacre vergini e monasterj, facendo quelli, che ciò desiderano, trasformare in bestie, e loro in orse, messe poi accanto al polo da Giove, cioè dichiarate pubbliche bestie che ognuno le cognosce, come anche fa diventar vacche quelle che si sottomettono altrui fuor del vinculo matrimoniale.
P. Sta tutto bene; vogliamo di queste ragionar più?
G. Signor no, passiamo a queste altre.
P. Passiamo; questo ricetto dove noi siamo, per entrare in quest'altra camera, ditemi che invenzione è questa? Oltre alle tante grottesche, che avete fatte in questo cielo, mi par pure vederci la testuggine e la vela, impresa del duca mio signore; ma perché gli avete voi fatto tanti putti intorno? Che mi pare di vedere pure chi la spigne, chi la tira, perché la cammini, ed ognuno di loro, per assai che sieno, hanno gran voglia che la vadia.
G. L'impresa, Signor mio, è fatta per le azioni del duca, le quali sono, come altre volte s'è detto, temperatissime, perché la vela veloce, e la testuggine tarda, insieme fa temperamento; i putti attorno, che la spingono, sono li stimoli delli uomini, i quali, ne' loro negozi gli pare che Sua Eccellenza non si muova, ed egli con temperanza del procedere giugne più presto che altri non lo aspetta.
P. Cosa più vera che non è la verità; entriamo nella camera; che storie sono queste? Facciamoci dal palco.