Ragionamento Quinto
Sala di Giove
Principe e Giorgio
P. Eccoci all'altra stanza; che chiamasti voi questa?
G. Chiamasi la camera di Giove, il quale fu figliuolo di Opi e Saturno, e partorito in un medesimo tempo con Iunone; dicono che e' fu mandato nel monte Ida in Creta, oggi da noi nominata l'isola di Candia, e fu dato, come Vostra Eccellenza vede, a nutrire alle ninfe, alle quali, per paura che il padre non lo facessi morire, dalla madre Opi fu mandato; per il che piangendo, come avviene a' fanciulli piccoli, perché il pianto non fussi sentito, facevano far rompere con i timpani, scudi di ferro, ed altri strumenti; del che quel suono sentendo le api, secondo la loro usanza s'adunorno insieme, e gli stillavano nella bocca il mele; per il qual benefizio Giove poi fatto Iddio concesse loro che generassino senza coito.
P. Ditemi, questa ninfa che siede in terra ed ha Giove putto in sulle ginocchia, e quella capra attraverso, che gli ha una poppa in bocca, che cosa è?
G. Quella ninfa è Amaltèa figliuola di Melisso, re di Creta, l'altra è Melissa ninfa, sua sorella: che una attende a farlo nutrire di latte, l'altra con quello fiadone di mele che ha in mano, lo va nutrendo; dove ella fu poi convertita in ape per la sua dolcezza; quel pastore, che tiene la capra, è di quelli del monte Ida, che guardava gli armenti.
P. Ogni cosa ricognosco; ma ditemi, quella quercia, dreto ad esse, che è sì grande, piena di ghiande, e che e' n'escono l'api, che cosa è?
G. Fu che crescendo Giove, ed avendo guerra con i Titani, per li padri presi, che lo volevano far morire, per quella vittoria gli fu sagrata la quercia in segno di forte, e così per la vittoria che ebbe contra i giganti, che vinti cacciò loro addosso alcuni monti; intendesi la quercia ancora in memoria dell'età prima, che vivevano gli uomini di ghiande: Giove dette loro il modo delle biade e delle altre comodità; questo, Signor mio, fu quello che edificò tempi, ordinò sacerdoti per sua gloria, fecene edificare ancora in nome suo e delli amici, come fu il tempio di Giove Altaburio, Giove Labriando, Giove Laprio, Giove Molione, e Giove Cassio, e molti altri ch'io non ho ora in memoria.
P. Gli ho letti anch'io; ma ditemi, io ho pur visto in molti luoghi Giove col fulmine in mano, così ne' rovesci delle sue medaglie.
G. Del suo imperio non se gli fa scettro, essendo principale capo di tutti gli Dei; il fulmine se gli fa, perché egli, come padrone del cielo, co' fulmini che egli percuote la terra; e le tre punte, come s'è detto, puniscono non solo i superbi, ma ancora gli altri che errono.
P. Fu certo grand'uomo, ma m'è parso gran pazzia quella de' mortali, attribuendoli quella potestà che sola si concede al sommo Fattore.
G. Spesso interviene che si adora tale uomo per dio, che è una bestia, ed è peccato e maggiore ignoranza che si faccia; ma per tornare, questo abitò il monte Olimpo, e ricevè in ospizio tutti i re e principi de' populi, e venivano a lui tutti quelli che avevano liti, ed erano con giudizio retto da lui decise; rimunerò ed accarezzò grandemente, quelli che con industria fossono inventori delle novità, che portassono utile alla vita umana; e lui fu di infinite inventore, per salute e comodo de' sua populi; divise gl'imperi co' fratelli, e ad amici e parenti donò; lasciò leggi, ordini e costumi da ottimo principe.
P. Questo averlo fatto sopra tutti gli Iddei; pur si vede che lo meritava operando bene; che ne dite?
G. Gli è vero; e certo è che anche con astuzia aggiunse gloria alla sua grandezza, che l'ho fatta in questo quadro grande verso la finestra, la quale l'ho finta vecchia, con acconciatura di capo, drentovi dua ale, e fra i capelli canuticci dua serpi, e nella sinistra mano una lncerna accesa.
P. Dove lasciate voi lo specchio, che ella tiene nella destra, guardandovisi drento? Ditemi un poco i suoi significati.
G. Sempre nelle persone, che vivono assai, è lo sperimento e l'astuzia; le dua serpi sono attorno al capo per la prudenza, e le dua alie per il tempo passato, che è già volato via; lo specchio si mette per il presente e la lucerna accesa per il futuro, antivedendo per vigilanza il tutto.
P. Bella fantasia; ma ditemi che femmina è quella, che nella destra mano ha quelle palme, e nella sinistra quel trofeo, e quelle altre armi attorno?
G. Signor mio, quella è figurata per la Gloria, e quello che usa liberalità, come vedete in quell'altro quadro che segue, dov'è quell'altra femmina, con quel bacino in mano pieno di danari, gioie, catene d'oro, rovesciandole in giù; si fa adorare, come fece Giove, e diventa gloriosissimo.
P. Mi piace; ma chi figurate voi questo bel giovane armato all'antica con queste corone di lauro, di quercia, d'oppio, di gramigna, con tanti trofei e tante palme ed olive intorno?
G. Questo è fatto per l'Onore, che acquistano gli uomini, che per fatiche d'arme ricevono le corone navali, rostrali, o murali, i quali animosamente combattendo si fanno sopra gli altri onorati, come se fussino Iddii; e perché queste quattro virtù furno larghe nel sommo Giove, si mostra la via a' principi, che vadino imitando queste quattro virtù.
P. Sono satisfatto; tornate alle storie. Veggio io qui nel fregio, che aggira intorno alla camera, tanti putti naturali ignudi, che reggono in varie attitudini il palco, e questi quattro paesi che v'è drento le figure piccole, definitemi quel che gli è.
G. In uno è Giove trasformato in cigno, del quale, abbracciandolo Leda, ed ingravidata di esso, ne nacque poi Castore e Polluce ed Elena; nelli altri vi sono sacrifizi di più animali, fatti dalli uomini al sommo Giove.
P. Tutto ho inteso; ma incominciate un poco a dichiararmi per che conto voi fate nutrire Giove a queste ninfe, e da questa capra, e guardato da questo pastore, con questa quercia dreto; che proprietà ha col duca mio signore?
G. Vostra Eccellenza sa, come dissi nella castrazionc di Cielo, le ninfe esser nate di re; sono le due potenze attribuite a Dio, che la Sapienza è fatta per Melissa, ed Amaltèa per la Provvidenza, nutrice del duca nostro: che l'una, conversa in ape, gli va stillando in bocca il mele celeste, dinotando che tutti i lacci del mondo hanno da Melissa la sapienza; Amaltèa, che è la Provvidenza divina, trae dalla capra la sustanza del latte della carità per nutrirlo, il quale uscendo dalla capra, animale caldissimo, è d'ogni tempo abbondante e purgato da' semi tristi, perché è nutrito da lei; e così, come per il benefizio degno d'obbligo, che riceve Giove da questa capra, giudicandolo degno di sempiterna memoria, messe la sua immagine in cielo fra le quarant'otto celesti, aggiugnendoci a questa capra, dal mezzo indrieto, la forma d'una coda di pesce, destinandolo nel zodiaco fra i dodici segni di quello, con la benignità di sette stelle sopra le corna, le quali denotano i sette spiriti di Dio, che hanno cura del duca, e per le tre virtù teologiche, e le quattro morali, che egli ama tanto, dandogli la carità verso il prossimo, la fede nel commerzio delli uomini, la speranza che ha nel grande Dio, poi la fortezza contro i nemici, la giustizia in coloro che escono con la mala vita fuora delle leggi, la temperanza e la prudenza: nel governo de' suoi populi, ed a queste stelle ancora inclinano i sette pianeti, così sono fautrici alle sette arti liberali, delle quali si diletta tanto Sua Eccellenza.
P. Mi piace, ma perché lo figurò così, tutta capra prima, e mezzo pesce poi?
G. Perché il mese di Novembre è quello che lascia tutta la calidità della state, e piglia tutta l'umidità del verno; che il caldo ed il secco resta nella capra, e l'umido ed il freddo nel pesce, e gli hanno dato nome di capricorno, segno appropriato dagli astrologi alla grandezza de' principi illustri, ed ascendente loro; come fu di Augusto, così è ancora del duca Cosimo nostro, con le medesime sette stelle; e così, come egli operò che Augusto fussi monarca di tutto il mondo, così giornalmente si vede operare in Sua Eccellenza, che lo ingrandisce e lo accresce, che poco gli manca a esser re di Toscana: e ne seguita, che contro il pensiero o la volontà di qualcuno fu fatto duca di Fiorenza: e non solo questo segno o animale si adoperò, ma tutte le quarant'otto immagini del cielo concorsono; figura che quarant'otto cittadini lo elessono, dopo la morte del duca Alessandro, principe e duca di Fiorenza.
P. Significati grandissimi, e miracoli del grande Dio; ma quel pastore e l'albero della quercia dove gli lasciate voi? Diffinite la figura loro.
G. Il pastore è figurato per il buon principe, il quale ha cura de' sua populi, che sieno bene guidati e governati; e così come il pastor buono difende da' lupi li sua greggi, così da' falsi giudici e da' cattivi uomini difende i sua popoli questo principe. Della quercia dissi che era per la fortezza, che oggi questo principe ha tutto lo stato suo fortissimo, e lo fa di giorno in giorno più; e così come in Giove fu chi provvide, a quelli che vivevano di ghiande, il grano, così ha provvisto a noi, che viviamo oggi con tante delizie, che di ciò doveremmo render grazie al grande Dio, e che ci faccia grazia d'essere obbedienti a questo principe, poiché d'ogni tempo le api sue ci stillano mele, che esce dalle api nate nella quercia, come vedete che ho dipinto. Dissi di sopra che Giove cacciò del regno i padri che lo vollono far morire, così il duca nostro, aiutato dalla bontà di Dio, ha disperso del suo regno i falsi lupi, che hanno cercato d'impedirli il governo, fulminando i giganti, cioè i superbi; e perché non si muovino, gli ha messo i monti addosso delle opere buone con la grandezza della gloria sua. Ha edificato luoghi grandi, come per il suo dominio si vede, non solo per difender sé, ma per far commodità a' sua amici e servitori, che abitano le fortezze, traendone utile ed onore; ne' suoi paesi ha introdotto d'ogui tempo uomini ingegnosi, dando remunerazione grande alli armigeri, facendo l'ordine delle Bande, per il suo stato, de' suoi populi, insegnando a chi non sa il mestiero della guerra. Ha dato l'ospitalità a tutti li signori grandi che sono venuti a veder Fiorenza, ed ha deciso severamente le liti, e quelli che hanno trovato con industria novità o commodo alcuno per la sua città, gli ha remunerati; ed è stato inventore di molte cose utili a' suoi populi, e di tutte le virtù è stato ed è ottimo padre. L'aquila di Giove l'ha avuta per segno ed augurio, e per ispegnere i sua nemici, quella gli ha scorto il cammino ed ha abbracciato l'insegna sua, ed è stata quella che gli ha confermato lo stato, e che gliene ha ampliato grandemente.
P. Tutto sta bene; ci resta questi quattro quadri. Della Astuzia intesi il significato, così della Gloria, Liberalità ed Onore, che mi piacque assai.
G. Signor mio, queste sono quelle virtù, che manterranno vivo il nome del duca Cosimo sempre, perché egli con la sperienza del governo è fatto astuto, e con l'opere, che l'hanno fatto conoscere valente, è fatto glorioso, e con la pompa e grandezza del saper farsi cognoscere è stato uomo rarissimo, e con il donare a ogni sorte di gente, secondo i gradi, è stato liberalissimo. Ma passiamo oramai a guardare l'opera de' panni d'arazzo tessuti da questi giovani, e fatte le invenzione da me. Guardi Vostra Eccellenza questo primo panno.
P. Eccomi a ciò.
G. Queste sono figurate per le nozze di Giunone, sorella e moglie di Giove.
P. Perché la fanno sorella di Giove?
G. Per essere stata prodotta da quelli stessi semi che furono in Giove, sendo nati di Opi e Saturno. Questa è la Dea delle nozze e matrimoni, ed ha quattordici ninfe, che mai se gli partono d'intorno; alcuni vogliono che sieno le qualità delle cose che partorisce l'aria. Quest'altro panno che segue è la storia d'Europa, figliuola di Zenote, che essendo ella amata da Giove, comandò egli che Mercurio cacciasse via gli armenti delle montagne di Fenicia, dove, essendo Europa nel lito, con altre donzelle spassandosi è giucando, Giove si cangiò in un bellissimo toro, e si pose nel mezzo delli altri armenti; vedendo Europa sì bello e raro animale, e con maniere piacevoli cominciando a farli carezze, la ridusse a montarvi sopra, e pian piano accostatosi al lito, quando la vidde sicura all'onde, fatto dal lito un lancio nel mare, la portò fino in Creta, dove partorì; e fece con tanta destrezza Giove quel furto, che appena i pastori, che ivi guardavano gli armenti, se n'avviddono.
P. Mi piace assai, massime quel cane che gli abbaia; ora seguite il resto.
G. Ecco, questa storia che segue è Giove, il quale con Nettuno e Plutone suoi fratelli, dividono i regni; a Giove rimane il Cielo, toccandogli l'Oriente: a Plutone, più giovane re crudele, che fu chiamato Orco, gli toccò la parte d'Occidente; teneva un cane con tre capi, come vedete, al quale dava a mangiare uomini vivi; dette a Nettuno che abitassi l'antico ed alto mare, circundato da' nugoli profondi, scuri ed atri, insieme col coro delle balene smisurate attorno, e con altre cose marittime. Quest'altro panno vi è drento la storia di Danae, figliuola di Acrisio, la quale, essendo per tema del padre in prigion perpetua, innamoratosene Giove, si convertì in pioggia d'oro, ed ingravidata di esso si fuggì dal padre. Seguita in quest'altro panno, che sacrificando Giove nell'isola di Nasso, andando contro i titani, come s'è detto, una grand'aquila gli volò sopra il capo, la quale da lui resa per augurio felice, la volse in protezione, e la prese per insegna.
P. Queste sono tutte cose belle, e che sotto questa scorza vi sia del buono.
G. Eccoci, Signore, a questo ultimo panno, che vi è drento la storia di Ganimede, figliuolo del re di Troia, giovane di smisurata bellezza, il quale, cacciando sopra il monte Ida, cinto di frondi e la testa ancora, turbando con le cacce la quiete a' cervi, fu cacciando, da Giove trasformato in aquila, su da lui rapito in cielo, e fatto coppiere di tutti gli Dei celesti.
P. Ditemi il significato di queste sei storie: che attengono a Sua Eccellenza, così come l'hanno profittato in Giove?
G. Dirò che le nozze di Giove e Giunone, poiché sono nati de' medesimi semi, essendo moglie e sorella, sono le nozze che con le case nobili e di sangui illustri per egual grandezza ha fatto in più tempi Giunone nella gran casa de' Medici con le nobilissime ed illustri donne, che hanno poi con i loro felicissimi parti generato gli eroi ducali, e cardinali, e pontefici sommi, per ridurla a tanta grandezza, e per ultimo la successione del duca nostro in sì onorata e bella famiglia, che certamente i maschi e le femmine sono forme di figure celesti.
P. Dove lasciate voi i parentadi degli imperadori, e la successione che oggi è viva per la regina di Francia, uscita di casa nostra?
G. Lassava il pro ed il meglio; le ninfe, che sono attorno alle nozze di Giunone, sono gli ornamenti e l'abbondanza delle scienze ed arti che ha sotto di sé questo principe, ed in questo stato, il quale non meno oggi fiorisce nell'arme, nella filosofia, astrologia, poesia, musica, matematica, cosmografia, agricoltura, architettura, pittura, scultura, fisica, cerusia e mercatura, sicché non fu mai tanto abbondante, quanto è ora; che ne dite?
P. È verissimo; tornate a questa Europa.
G. Eccomi; questa, Signor mio, fu che cacciando Mercurio gli armenti di que' paesi, sono stati i pensieri ingegnosi del duca Cosimo, ché pigliando il possesso di Piombino, levò via i vecchi governi; poi innamoratosi di Europa, e trasformato in toro, cioè nella sua fiorita età, ferocissimo, animoso ed utile animale, nuotando per il mare, cioè per l'onde delle difficultà, passò con le galee e con Europa, cioè con la volontà sua gravida di pensieri, per partorire in quel luogo il benefizio comune, non solamente del suo stato, ma la sicurtà di que' mari e del suo dominio, edificandovi la città di Cosmopoli.
P. Sta bene, or finite il resto.
G. Seguita quando Giove parte il cielo, pigliando delle tre parti il maggior dominio; così ha preso il duca nostro il governo dello stato di Fiorenza per farne Vostra Eccellenza principe e duca, acciò doppo lui mostriate la virtù del vostro animo degno di sì onorato e ricco presente; e perché possiate cominciare presto, doverrà darvi quel di Siena; le cose ecclesiastiche saranno, con quella grazia che si vede piovere dal cielo, in don Giovanni; le del mare a don Grazia, ed il resto de' regni, che si acquisteranno, saranno dedicati alle virtù de' vostri fratelli illustrissimi: e così come Giove donò a' parenti ed amici li altri regni, non meno per virtù il gran vostro padre è stato largo che si fussi Giove; perché del suo stato ha donato a molti, molti luoghi, facendo presente ancora a Giulio III, pontefice, del Monte S. Savino, oggi contea e patria di detto pontefice.
P. Ogni cosa è verissima; tornate alla storia di Danae.
G. Questi, Signor mio, son coloro che per oro e doni sono sforzati dalla cortesia e liberalità a far la volontà del duca nostro, il quale, in pioggia d'oro passando per i luoghi più segreti, trae di quelli, cioè di luoghi impossibili, ogni persona per donativi e per amore a' suoi servigj per onorarlo.
P. Questo sacrifizio, che segue, che significa egli?
G. Questo è, dopo il vincer le guerre, i sacrifizi pubblichi ed il ricognoscere Iddio del duca nostro, rendendo grazie alla Maestà sua, che, temendolo ed amandolo, combatte e vince l'impossibile per lui, onde chi vede ed ode ciò, va magnificando il suo santissimo nome.
P. Restaci appunto questa di Ganimede: seguitate il fine.
G. Dico così, che come Ganimede di smisurata bellezza, figliuolo di Troo, così il duca nostro, figliuolo del gran Giovanni de' Medici, re di tutti gli uomini forti, giovanetto di bellezza e grazia assai, cacciando sopra il monte per le virtù di lettere, d'arme e altre scienze, turbando ai cervi la quiete co' cani, cioè con li costumi buoni, vinse le fiere; poi, dal sommo Giove in forma d'aquila rapito in cielo, diventando coppiere di tutti li Dei. Questo dinota l'essere chiamato da' suoi cittadini nella sua giovanezza, destinato principe di questa città, e da Cesare vostro, cioè dall'aquila, portato in cielo e confermato duca; viene a esser poi fatto coppiere, perché con l'ambrosia déssi bere alli Iddei, cioè con il modo dolcissimo d'essere albitro, metta pace fra la discordia di questi principi, e togga la sete delle loro volontà maligne, e venga a satisfare con l'ambrosia dell'essere specchio nostro d'ogni virtù e costumi, e fare che ogni vivente che lo cognosce, abbia stupire di sé; e come rimasono ammirati i guardiani di Granimede, vedendolo portare in cielo, così tutti coloro, che veddono crearlo principe da Iddio miracolosamente, se ne maravigliano, sempre che se ne ricordano.
P. In verità che questo Giove v'ha dato materia assai da pensare e da dipignere; ma oramai è tempo di passare all'aria, e ridursi in sul terrazzino, dove parte piglieremo conforto da sì bella veduta, e parte conterete le cose che avete fatte.