Giornata prima. Ragionamento quarto. Sala di Cerere

Ragionamento Quarto
Sala di Cerere
Principe e Giorgio

G. Il mio riposo è che seguitiamo, che io comincio adesso; ma passiamo drento a quest'altra stanza, se non v'è noia. Guardi Vostra Eccellenza in quel quadro lungo, quella carretta in mezzo di questo palco, con questo partimento di quadri; questa è Cerere, figliuola di Saturno e Opi, per servar l'ordine nostro, la quale si fa tirare da quei dua velenosissimi serpenti alati, tutta infuriata, co' capelli sciolti, succinta, avendo in mano quella facella di pino accesa, va cercando per il cielo e la terra, di notte, scalza e sbracciata, Proserpina sua figliuola, la quale dicono che nacque di Giove suo fratello e di essa Cerere. Proserpina adunque bellissima giovane, sendo per i prati cogliendo fiori, fu rapita da Plutone, Iddio dell'inferno, e da lui menata laggiù, fu poi, come Vostra Eccellenza vede, cerca da Cerere.

P. Sta bene; ma che femmina è quella in quest'altro quadro, sbracciata e nuda dal mezzo in su, che li mostra quella cintura?

G. Quella, Signore, è Aretusa, che trovata la cinta di Proserpina, gliene mostra, e accennando lei essere nell'inferno. Quell'altra vecchia che è nell'altro quadro, che si dispera, è Elettra nutrice di Proserpina, che si duole e piange per il ratto di quella. Nell'altro quadro è Trittolemo, allevato di Cerere, con li strumenti delle biade; e l'altro quadro v'è drento Ascalafo, converso in gufo; ché avendo egli accusata Cerere, quando scese all'inferno, che aveva mangiati tre grani di melagrana del giardino di Pluto, ne fu poi da lei converso in gufo.

P. Ditemi di questi panni d'arazzo qui di sotto, la storia che seguita, se ell'è di Cerere o d'altra materia.

G. Di Cerere; e vedete qui in questo primo panno, dove è scesa del carro, e ritrovata la cinta di Proserpina, si conduce all'inferno; seguita, che giunta poi alla palude rompe per ira tutti gli strumenti, i rastri, li aratri, ed ogni cosa rusticale. Quivi è Caronte, che con la barca vuol passare lei maravigliata di questo caso; l'altro è, quando ella si lamenta a Giove, e che li fa mangiare del papavero, che addormentata, e poi svegliatasi, li fu concesso per grazia da Giove, dopo l'accusa d'Ascalafo, che star dovesse sotto la terra col marito, ed altri sei mesi sopra la terra con la madre Cerere; l'altro panno più grande è che il re Eleusio, cui era moglie Iona, [che] aveva partorito un putto chiamato Trittolemo, e cercavano di balia: Cerere se li offerse di nutrirlo: così datognene, e volendo Cerere fare allievo immortale, alle volte col latte divino il nutriva, e la notte col fuoco l'abbruciava, ed oltre a modo il fanciullo cresceva. Maravigliandosi di tal cosa il padre, volse segretamente di notte vedere quel che faceva la balia: così, vedendolo incendere col fuoco, si cacciò a gridare; onde Cerere lo fece morire. L'altro panno è, quando ella consegna e dona a Trittolemo il dono eterno di potere distribuire a' populi, e fare ahbondanza, dandoli la carretta guidata da' serpenti, e poi riempiere la terra di biade, che fu il primo inventore dell'aratro nei campi della terra.

P. Lunga storia e bella certo è questa; ma ditemi l'interpretazione sua, che avete passato tutta la stanza senza applicazione alcuna.

G. I significati sono assai, ma dirò brevemente. Cerere fu moglie del re Sicano e regina di Sicilia, dotata d'ingegno raro, la quale, veggendo che gli uomini per quella isola vivevano di ghiande e di pomi salvatichi, e senza nessuna legge, fu quella che trovò l'agricoltura e li strumenti da lavorar la terra, e che insegnassi partire agli uomini i terreni, e che si abitassi insieme nelle capanne. Intendendo io per ciò la cultivazione e lo studio fatto da Sua Eccellenza nella provincia di Pisa, dove ha levato le paludi, affossando i luoghi, facendo fiumi ed argini, e cavandone de' luoghi bassi l'acqua con li strumenti atti a ciò, ha insegnato a lavorar la terra, e fatto abitare i populi, dove non solevano, insieme, alle ville, facendo fertili e abbondanti i luoghi, che prima erano spinosi, macchiosi e salvatichi; e non solo nel dominio di Pisa, ma nell'isola dell'Elba ha fatto il medesimo con lo aver murato case e mulini, e fatte comodità ed utili, inverso gli abitatori, grandissimi, bonificando quel paese ed altri vicini con tante comodità. Proserpina rapita da Plutone, intendo che ella sia le biade e semi gittati di Novembre ne' campi, i quali stanno sei mesi rapiti da Plutone nell'inferno, cioè sotto la terra; e, se la temperanza del cielo non fa operazione in quelle, non possono maturarsi, se non per lo accrescimento del calore del sole; laonde se le comodità a quei populi che lavorano in quei paesi aspri, non fussono state date dal duca nostro, e che col calor del suo favore non fussono state riscaldate, non le condurrebbono a perfezione. Il cercare, col carro tirato da' serpenti di Proserpina, non è altro che il continuo pensare e con la prudenza cercare per li altrui paesi di condurre di continuo de' luoghi fertili le biade nel suo dominio per salute pubblica de' populi e per abbondanza della sua città. La vergine Aretusa, che gli mostra la cinta, sono i cari e fedelissimi amici suoi, che li mostrano sempre la verità e non il falso, come fanno per il contrario i rei e maligni uomini. Elettra sua nutrice si lamenta del ratto di Proserpina; questi sono i servidori fedeli, che nelle avversità si dolgono del male, e nelle felicità si allegrano del bene. Di Trittolemo, allevato da Cerere col latte divino e fuoco eterno inceso, questi sono Vostra Eccellenza insieme con i vostri illustrissimi fratelli, nati e creati per ordine divino, e per i governi della città e de' populi, di notte, e con latte divino nutriti, e col fuoco della carità incesi, per esser fatti immortali in eterno. Il donare di Cerere il carro a Trittolemo, è il dominio datovi dal duca vostro padre e signore, acciò possiate distribuire a' vostri servidori ed amici il bene che Iddio e lui vi provvede; e Ascalafo converso in gufo s'intendono coloro che accusano, che doppo lo avere fatto si scellerato uffizio, sono conversi come spioni in allocchi e da' populi derisi e uccellati e fino dai padroni loro.

P. Ho tutto inteso, e mi sono piaciute assai; ora finiamo questo ragionamento. Vogliamo entrare in questo scrittoio per finire questo che manca?

G. Entriamo. Questo scrittoio, Signor Principe, il duca se ne vuole servire per questi ordini di cornice che gira attorno e che posa in su questi pilastri, per mettervi sopra statue piccole di bronzo, come Vostra Eccellenza vede, che ce n'è una gran parte, e tutte antiche e belle; e fra queste colonne e pilastri, ed in queste cassette di legname di cedro vi terrà poi tutte le sue medaglie, che facilmente si potranno senza confusione tutte vedere, perché le greche s'aranno tutte in un luogo, quelle di rame in un altro, le d'argento da quest'altra banda, e le d'oro saranno divise da quelle.

P. Che si metterà in questo quadro di mezzo fra queste colonne?

G. Si metterà tutti i mini di don Giulio e di altri maestri eccellenti, e pitture di cose piccole, che sono stimate gioie nell'esser loro; e sotto queste cassette appiè di tutta quest'opera staranno gioie di diverse sorti, le concie in questo luogo, e quelle in rocca in quest'altro, e in questi armarj di sotto grandi i cristalli orientali, i sardoni, corniuole, e cammei staranno; in questi più grandi metterà anticaglie, perché, come sa Vostra Eccellenza, n'ha pure assai, e tutte rare.

P. Mi piace assai, ed è bene ordinato; ma saracci egli tante figure di bronzo che empino tanti luoghi, quanto rigira tre volte questo scrittoio e questi ordini, che avete fatti per quelle?

G. Sarannovi, e non vi voglio altro che quelle che sono state trovate a Arezzo, con quel lione, che ha appiccato alle spalle quel collo di capra, antico.

P. Non dicono costoro, Giorgio, che ella è la chimera di Bellorofonte fatta da' primi etrusci antichi?

G. Signor sì; ma attendiamo a questo quadro, che di questo ne ragioneremo altra volta, come ne darà l'occasione, quando sarèno nella sala di sotto, dove la è posta.

P. Or dite su adunque del quadro grande che avete dipinto in questo cielo; che figura è questa?

G. Signore, questa è una delle nove Muse, detta Calliope figliuola d'Apollo; né ci ho fatte l'altre otto sorelle, perché in questa saranno gli strumenti loro; questa alza, come vedete, il braccio ritto al cielo, e con la testa impetra grazia e scienza per l'altre sue sorelle; ha uno strumento antico da sonare in mano, per la sonorità della voce, e sotto i piedi un oriuolo, dinotando che, camminando nella continuazione delli studi, il tempo s'acquista.

P. Perché li fate voi tanti strumenti attorno, e tanti suoni con la palla del mondo appresso, quelle acque dreto alle spalle, e quel monte e quel bosco? Dichiaratemele un poco.

G. Quello è il fonte Castalio, limpido, e chiaro per le scienze, le quali vogliono essere chiarissime ed abbondanti; il bosco si fa per la solitudine, volendo tutte le scienze avere quiete e riposo, fuggendo i romori delle corti, e le avarizie del mondo.

P. Di queste altre otto sorelle e la proprietà che li danno questi scrittori a' nomi loro, io già lo intesi; ma riditemi il vostro parere.

G. Dicono che doppo Calliope, l'altra si chiama Clio per la volontà d'imparare, Euterpe per dilettarsi di quello, in che altri pigli la cura, Melpomene il dare opera a quello con ogni studio, Talia è capire in te quello a che dai opera, Polimnia è la memoria per ricordarsene, Erato è rinnovare l'invenzione da sé, Tersicore è giudicar bene quello che vedi e trovi, Urania è eleggere il buono di quello che troverrai, e Calliope è profferire bene tutto quello che si legge; che è questa, come dissi prima a Vostra Eccellenza, che siede stando con la bocca aperta, acciocché profferisca e canti bene le lodi ed i fatti, non solo de' principi grandi, ma di coloro che imitano le virtù, e se le affaticano per li scrittoi, come farà chi di continuo starà in questo.

P. Mi piace il vostro discorso; ma perché fate voi quei dua putti a sedere, uno in su quel corno di dovizia posato con le frutte in terra, e quell'altro che saglie sopra il corno ed ha posato una gamba in su quella maschera di vecchio, brutta, e che tira il corno di dovizia a terra? Ditemi il significato suo.

G. Questi sono fatti, uno per lo amore divino, l'altro per lo amore umano; l'umano vi siede sopra godendo le cose terrene, e il divino lo va tirando a terra e lo sprezza, salendo al cielo per godere e contemplare le divine; la maschera, che ha sotto di vecchio, brutta, è il vizio conculcato da esso amore divino, ed il guardare alto è il contemplare le virtù.

P. Mi satisfa assai; ma che ci fa poi questa palla del mondo?

G. Questa è fatta per l'universo, che tutti nelli anni più giovani ci voltiamo alle virtù e scienze di queste nove donne, ma pochi son quelli che seguitino e che possino esser perfetti, come quelli gli strumenti della musica seguitano e così li altri libri che vi sono per il restto delle scienze appartenenti a queste Muse.

P. Tutto mi piace, ma quella tromba sotto la palla del mondo, che cosa è?

G. Quella è la tromba della fama, la quale risuona per tutto il mondo per l'opere di coloro che seguitano il coro delle nove donne.

P. Mi piace; ma questa impresa del duca nostro sopra questa finestra senza motto alcuno, dove è quella donna che ha quel morso di cavallo in mano, e nell'altra ha una palla di vetro come uno specchio, nella quale dà drento la spera del sole, ed abbraccia quelle cose oscure, e le chiare non le tocca, diffinitemela un poco.

G. Questa è la prudenza e temperanza del duca nostro, il quale, vedendo nello specchio della vita di coloro che egli giudica, il sole della giustizia percuote nella palla dello specchio e le cose maligne incende e consuma, ed alle chiare e pure non fa nocumento, dimostrando che la temperanza e prudenza non tocca, né offende mai i buoni, ma arde e consuma tutti li rei di continuo.

P. Mi piace: ma, poiché siamo al fine, ditemi che cosa è in questa finestra di vetro più eccellente che l'altre? Che fanno quelle tre donne intorno a quella Venere?

G. Signore, quelle sono le tre Grazie, che la fanno bella: una gli acconcia il capo con gioie, perle e fiori; l'altra gli tiene lo specchio, porgendo l'altre cose da conciarli non solo la testa, ma tutto il resto; l'altra mette acque odorifere nella conca per lavarla e farla più bella; significando che senza le grazie e doni di Dio le cose che escono dalle mani nostre non possono mai essere accette alli uomini, né alla Maestà Sua, se la Carità, che è la prima, non li acconcia il capo, con l'amore riscaldandolo, e col buono giudizio; e la Speranza non ci fa vedere la chiarezza nello specchio della prudenza, il torto della vita nostra nelle male operazioni, e che la Fede, che maneggia l'acqua del battesimo sacrosanto, non ci tenga fermi a camminare per le obbligazioni, che promettiamo alla santa Chiesa, di renunziare Satanasso e le sue pompe, e fermamente credere nel magno e giusto Dio: questo è il significato suo, e quanto contiene la proprietà di questa Venere.

P. Quei due tondi di sotto, in quei portelli, che in uno è quella femmina che vola con quello scudo imbracciato e quello stimolo in mano, e quell'altra dovizia?

G. Questa è la Sollecitudine, e la Dovizia, come ha detto Vostra Eccellenza; che è madre la sollecitudine dell'abbondanza in chi spedisce le faccende, che denota che questo scrittoio è fabbricato per attender a quelle; or passiamo alla quarta camera, ove sono le cose di Giove.

P. Passiamo, che oggi è un giorno, che, essendo caldo, è da comperarlo a denari contanti a fare un'opera simile a questa; ma non ci è se non un male, che so che ragionando tanto vi fo affaticare la lingua e la memoria.

G. Non si affatica la memoria, poiché io ho innanzi le cose, di che io ragiono, che viene a essere un poco meglio che la locale; m'incresce bene di Vostra Eccellenza, che potresti sedere in parte ch'io ragiono, che Quella non si straccasse.

P. Io non posso straccarmi, perché sono tante le cose, che ora mi volto ad una, ed ora ad un'altra; e la varietà delle storie, ed i suoi significati, e la vaghezza de' colori, mi fanno passare il tempo, che io non me ne accorgo.

G. Orsù passiamo oltre, che noi veggiamo quel che segue in quest'altra camera, che so che qui ci è da dire assai più che nell'altre.


<< prec succ >>

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