Ragionamento Terzo
Sala della Dea Opi
Principe e Giorgio
P. Eccoci in camera; come chiamate voi questa? Non gli date voi nome, come avete dato alla sala delli Elementi ed a quella di Saturno?
G. Signor sì, questa è detta della Dea Opi, o Berecinzia, o Tellure, o Pale, o Turrita, o Rea, o Cibele, che diversamente si chiami, basta che doppo la castrazione di Cielo, sendo questa stanza la terza, m'è parso che si debba trattare della moglie di Saturno, cioè di Opi, la quale s'è fatta in questo ovato del mezzo con questo ricco ordine di spadimento, acciò questi otto quadri faccino corona intorno a questo principale come vedete.
P. Io veggio ogni cosa, e tutto accomodato bene; e quello che mi piace è, che a una occhiata si vede ogni cosa senza muoversi; ma ditemi un poco, che femmina è quella che si vede in su quella carretta tirata da quelli quattro leoni?
G. Dirovvelo; questa è Opi che ha in capo, come vedete, quella corona di torre, che ha lo scettro in mano e la veste piena di rami d'alberi e di fiori; que' sacerdoti, che sono innanzi al carro sonando le nacchere e le cimbanelle, son quelli Coribanti armati che suonano i cembali. Vostra Eccellenza guardi che il carro, dove ell'è sopra, è tutto d'oro e intorno a quello pieno di sedie vuote.
P. Tutto veggio; ma il suo significato vorrei sapere.
G. Volentieri; la corona in capo di torri facevano gli antichi a questa Dea, perché, essendo ella tenuta madre delli Dei e per conseguenza padrona del tutto, volevano dimostrare che ella aveva in protezione tutta la terra, che in essa altro non sono che le città, castella, e ville, che sono per il mondo se non corona di questo mondo e di essa terra; la veste, piena di fiori e di rami, dimostra la infinita varietà delle selve, de' frutti e dell'erbe, che, per benefizio degli uomini, produce di continuo la terra; lo scettro in mano denota la copia de' regni, e le potestà terrene, e che a lei sta di dar le ricchezze a chi più de' mortali gli piace; il carro tirato da' leoni ha varie significazioni secondo i poeti, ma, per quello che mi pare, volevano dimostrare, che sì come il lione, che è il re sopra tutti li animali quadrupedi, e che viene legato al giogo di questa Dea, così tutti li re e principi degli uomini si ricordino che essi sono sottoposti al giogo delle leggi.
P. Certamente che chi governa è non meno ubligato a osservarle, che egli si sia considerato a farle; ma quelle sedie vote arò caro sapere a quello che le hanno a servire.
G. Per vari significati, ma principalmente per mostrare ai principi, che hanno cura de' populi, che si abbino a ricordare che non hanno a star sempre a sedere, né in ozio, ma lasciar le sedie vacue, stando ritti, sempre parati a' bisogni de' populi, e che in esse abbino a mettere giudici buoni, e non rei uomini, e che e' non esca lor di memoria che esse sedie hanno a rimaner vuote de' loro regni doppo loro, per mano della morte, e che ancora sopra la terra sono molti luoghi inculti, che non sono esercitati.
P. Bella dichiarazione; ditemi de' coribanti e de' sacerdoti.
G. I coribanti armati sono fatti per dimostrare che a ciascuno che sia buono, si appartiene di pigliar l'arme per difesa della patria e terra sua, ed anche in tempo di letizia, sonando e cantando, fare allegrezza del buon governo della città, e rallegrarsi di tutto quello che produce essa terra. I sacerdoti con le nacchere: per esse nacchere intendiamo i dua emisperj del mondo, che in tutt' a dua si vede consistere la macchina della terra; e per le cembanelle, gli instrumenti atti alla agricoltura, che erano di rame, ricordandosi che quelli primi antichi nostri padri, come sapete, non avendo ancora trovato il ferro, si servivano del rame.
P. Oh che bella invenzione! Ditemi, avete notizia per quello che se la chiamassino Opi, Berecinzia, Rea, Cibele, Pale, Torrita, che io l'ho vista nelle cose grece, ma io non so che senso gli date voi?
G. Chiamavonla Opi (come Vostra Eccellenza sa) che significa aiuto, o soccorso, quasi che, se non fusse aiutata e soccorsa dalli agricoltorj, e coltivata da essi, non renderia loro in abbondanza i migliori frutti partoriti da lei per comodità loro; Berecinzia, da quel monte di Frigia, dove è il castello detto Berecinzio, nel quale era molto riverita ed adorata; Rea, perché in greco significa quello che i Latini chiamano Opi, e noi aiuto e soccorso; Cibele, da uno chiamato così, perché da lui fu trovato ed esercitato primieramente i sua sacrifizi; Pale, perché da' pastori era così chiamata, perché ella, come Dea della terra, prestava a' greggi ed alli armenti i pascoli; Torrita, lo dissi innanzi, per la corona di torri.
P. Chi avrebbe mai creduto che questa storia avesse avuto sì lunga esposizione? Ma che l'applicate voi al nostro senso?
G. Eccomi a quella. Dico che essendo Saturno pianeta del duca Cosimo, come s'è di già detto, e padre di Giove, viene così come Opi è madre di Sua Eccellenza, così lui per il tempo padre, e essendo assunto al governo de' populi per generazione, osservando i vestigi saturnali, è nominato aiuto e soccorso de' populi, come Opi; tale che sono diventati dua in una medesima carne; e viene a trionfare in su la carretta d'oro tirata da' leoni, segno di Fiorenza, cioè da' suoi cittadini, i quali, così come il lione è re degli animali, così gli uomini toscani e gl'ingegni loro sono più sottili e più belli, che tutti li ingegni dell'altre nazioni, in ogni professione, così delle scienze come dell'arme, e poi di tutte l'arti manuali; avendo con quelli per tutto il mondo lasciato opere eccellenti de' loro fatti. Questi tirano il giogo e la carretta d'oro, ed obbediscono a questo principe nostro. Le sedie vote mostrano il suo essere sempre in piedi a' negozi con quella vigilanza e prudenza, e sollecitudine che Vostra Eccellenza sa, senza pensar mai a riposo alcuno il giorno e la notte, con quella diligenza maggiore che si può, per satisfazione de' populi suoi, e per mostrare a Vostra Eccellenza, che con questo suo esemplo che impariate quanto dovete seguire i vestigi suoi nelle amministrazioni di sì faticoso governo. De' coribanti s'è detto che amministrando giustizia, tenendo i populi in pace, possono da queste cagioni pigliar l'arme per difender lui e la patria e loro, e poi nel tempo della pace co' cembali, e con la comodità del ben vivere, cantar le lodi del gran Cosmo, rallegrandosi del buon governo della città, il quale per esser tale, li sacerdoti padri spirituali con le cembanelle e nacchere, cioè con li strumenti rusticali, avendo benefizio per le loro entrate, possono con laude ringraziare il fattore de' dua emisperi in memoria di quei primi padri antichi che lavoravano la terra e per questo principe.
P. Bonissima esposizione; or seguite il resto.
G. Or eccomi; questi quattro quadri, che mettono in mezzo questo ovato, sono le quattro Stagioni: quella giovane più rugiadosa e più gentile di tutte queste figure, con acconciatura di fiori, vestita di cangiante, questa è Proserpina, che si sta a sedere in quel prato fiorito di rose; e questi festoni, che ha di sopra pieni de' primi frutti, denota essere la Primavera. Quest'altra, che segue in quest'altro quadro, è Cerere vestita di giallo, femmina più matura d'aspetto, con quel corno di dovizia pieno di spighe, e con quei festoni pieni di frutte grosse, l'aviamo finta per la State. Così quest'altro giovane in quest'altro quadro, d'età virile, vestito di verde, giallo, co' festoni, e tante vite ed uve attorno, questo è Bacco, a modo nostro fatto per lo Autunno; e quest'altro, che segue in quest'altro quadro, vecchio e grinzuto, col capo coperto; che sta rannicchiato con le ginocchia, che ha il fuoco appresso, abbrividato di freddo, tutto tremante, è fatto per il Verno, cioè Vertunno, che anche a esso non manca li suoi festoni, sì come gli altri, pieni di foglie secche, suvvi pastinache, carote, cipolle, agli, radici, rape e maceroni.
P. Tutto ho considerato e veduto, ed è una ricca stanza, tanto più, quanto questi quattro quadri che avete dipinti ne' cartoni, con questi due putti per quadro che si abbracciano insieme, mi satisfanno assai. Ma veniamo di sotto a ragionare del fregio, con questo partimento di stucco, e questi dodici quadri tramezzati da queste grottesche: cominciate un poco a contarmi gli affetti loro.
G. Questi sono figurati per i dodici mesi dell'anno, ma non sono nel modo ordinario, come sono stati dipinti dagli altri pittori moderni, che questa è invenzione che viene da' Greci, che anticamente gli figurorno così; e perché ciascuno li abbia da conoscere più facilmente, se li è fatto sotto ogni mese il segno dello Zodiaco.
P. Dichiaratemeli, che m'hanno acceso la voglia, per essere invenzione antica tolta da' Greci, che in queste finzioni non hanno avuto pari.
G. Eccomi; questo soldato tutto armato di arme bianche, con la spada al fianco, e nella sinistra lo scudo, e nella destra quell'asta, che sta in atto di muoverla, con l'arco e la faretra alli omeri, questo è il mese di Marzo, il quale fu sempre appresso alli antichi il primo mese dell'anno.
P. Lo conosco al segno dell'Ariete, che egli ha sotto il suo quadro.
G. Quest'altro di sotto, dov'è quel pastor giovane vestito alla pastorale col capo scoperto, co' capelli e con la barba rabbuffata, e le braccia ignude fino a gomiti, con quel tabarro infino al ginocchio, ed il resto scoperto, e col petto peloso, è il mese d'Aprile, avendo la veste di vari colori, con la cera più tosto delicata che no.
P. Mi piace quel gesto che fa, mentre quella capra partorisce, ha raccolto un capretto appresso, e cerca aiutare alla capra partorire l'altro; ma ditemi perché avete voi fattoli quella zampogna in bocca?
G. A cagione che suoni e canti, e ringrazi Pane di quel felice parto; e vedete che ha sotto, come li altri, il segno suo, che questo ha il Tauro.
P. Certamente che egli ha del buono; ma ditemi, questo gentiluomo così riccamente addobbato e grazioso in questo prato fiorito, con la chioma distesa, coronato di fiori e sparso di rose il capo, con quella veste ricca distesa fino a' piedi, che da una banda sventola, e che ha in quella mano tanti fiori, e nell'altra tante piante odorifere, m'immagino, per rinverberare la verdura intorno, che sia il mese di Maggio.
G. Signor sì, che si conosce al segno de' Gemini che egli ha sotto, così come si conosce Giugno, per questa figura che segue in mezzo di questo prato erboso, in abito di contadino scalzo dalle ginocchia in giù, con la falce in mano, intento a segar fieno, ed ha il segno del Cancro sotto.
P. Luglio debbe esser questo che segue, che lo cognosco chinato in questo campo di spighe, con la falce da mietere nella destra, e nella sinistra i manipoli; oh che pronto contadino! Mi piace con quel cappello di paglia in capo, chinato, e con la veste raccolta, poiché gli è quasi ignudo; la camicia aggruppata intorno alla vergogna, ed il segno del Lione che ha a' piedi, lo fa conoscere interamente per quello ch'egli è.
G. Guardate, Signore, colui ch'esce di quel bagno ignudo, ansando e quasi stemperato dal caldo, tenendo con quella mano uno sciugatoio per coprire le parti segrete, e con l'altra pon bocca a quel fiasco.
P. Veggiolo.
G. Questo è il mese d'Agosto, che ha sotto il segno dellaVergine.
P. Seguitiamo, ch'io veggio Settembre, oh questo sta bene con quella veste raccolta intorno ai lombi, scalzo da tutt'a dua le gambe.
G. Vogliono che se gli faccia i capelli rinvolti intorno al collo, e che stenda la mano sinistra ad una vite, come vedete, dalla quale penda un raspo d'uva, e che se gl'intrighi infra le dita, e con la destra cogga un altro racimolo, e che se lo metta in bocca, e macinandolo co' denti, si getti come un fonte di vino e semi e sotto ha il segno della Libra. Ma passiamo al quadro d'Ottobre, che lo fingono, come l'Eccellenza Vostra vede, giovanetto di prima lanuggine, col capo coperto di tela sottile, e con quella veste bianca, come di sacco, stretta in cintura, e che intorno alle mani e al resto sventola, calzato infino a' ginocchi, ed ha presso molte gabbie d'uccelli; vedete che uccella alle pareti, ed ha i suoi zimbelli attorno e la capannetta, e, mentre stiaccia il capo alli uccelli, par che si rida della simplicità loro.
P. Sta molto bene, e a proposito veggioli il segno dello Scorpio, e cognosco anche che questo che segue è Novembre, che è quel bifolco che ara, mal vestito e mal calzato, con quel cappellaccio in capo incotto dal sole; è barbuto; oh! E' mi piace il maneggiar di quello aratro, ed il pungere che fa quei buoi; eccoli sotto il segno del Sagittario.
G. Non si può mancare; guardi Vostra Eccellenza nel medesimo abito Dicembre, se bene egli è più nero di viso, co' capelli morati fino alle spalle e la barba raccolta, con quel cestello nella mano sinistra pieno di grano, che con la destra sparge fra' solchi, che e' non si può difendere che li uccelli non li becchino il grano, ed ha sotto il segno del Capricorno.
P. Sono appropriati benissimo; ma ditemi, questo giovanetto, robusto di corpo ed audace d'aspetto, che cosa è?
G. Signore, questo è Gennaio; vedete come sta intento alla caccia con le mani insanguinate, in gesto di gridare a' cani, con i capelli tutti a un nodo, la veste stretta al dosso e larga fino al ginocchio, e quasi che ignudo, vedete che ha teso un laccio fra quelle ellere, e che gli pende dalla sinistra quella lepre, e con la destra accarezza que' cani, che per ciò gli scherzano attorno ai piedi, ed ha sotto il collo il segno d'Aquario.
P. Questo vecchio, che parte si vede e parte no, con tante veste addosso, canuto e grinzo, coperto con quella pelle il capo infino a' lombi, e canuto, i piedi e le mani, e più del ventre stendendo le mani in alto?
G. Questo è Febraio, che va in verso quella bocca di fuoco, che non si scerne se viene di cielo, o di terra; ed il segno suo, che ha sotto, sono i Pesci.
P. Tutto bene; ma io vorrei sapere queste quattro stagioni, e questi dodici mesi, che denotino sotto questa Dea?
G. Denotano che essendo ella madre di tutta la terra, come s'è detto, ha l'anno partito in quattro tempi, e quelli poi hanno generato i dodici mesi secondo le stagioni loro, perché senza questi che sono l'azione degli uomini terrestri guidati da segni celesti, cioè dalle stelle, che possono altrui torre, dare, crescere e sminuire, secondo il temperamento loro e secondo la malignità e benignità d'essi pianeti guidati da chi governa il tutto; questi lo fanno essere per il suo felice augurio un grandissimo duca.
P. Ne sono capacissimo; ma alla proprietà del duca che ci dite?
G. Dico che il principe nostro d'ogni tempo partisce i negozi e faccende sue, secondo i mesi e secondo la qualità delli uomini, facendo le cacce de' capri, porci, ai luoghi appropriati a quelle, scaldandosi il verno nelle temperie delle arie buone, e fuggenlo il verno l'arie tristi e fredde, e a Pisa ed a Livorno per lo miglior temperamento e per la sanità, col provvedere al Marzo gli ordini delle guerre, quando n'ha di bisogno, e li armenti per le grasce, facendo venirli di lontano, e levare le greggi per il vivere de' sua populi di dove sono nella sua stagione, pigliando Sua Eccellenza il riposo della pace nel tempo tranquillo, e godendo con piacere le ville, i prati e l'erbe con il far murare gran palazzi, e veder fare alle cascine sue segare i fieni, e di quelli far fare le provisioni comuni per sé e per li populi suoi, non restando per il calore del caldo i luoghi freschi ed usare l'acque del fiume d'Arno, bagnandosi, ed ancora preparare nelle vendemmie la delicatura de' vini per il verno e per la state e con usare fino alle vinaccie per la sanità del corpo. Poi uccellando con diletto le frasconaie, i paretai e le ragnaie con ogni sorte di pescagioni. Di poi con quanto studio i sua ministri faccino rompere la terra e fare tante cultivazioni utili con le grandissime semente in tanti luoghi cultivati nello acquisto de' paduli pisani. Viene adunque in questi dodici mesi dell'anno, esercitando sé e' suoi popoli, a fare ricca la terra di tanti beni, ed essa vivendo e esercitandosi, viene a passar l'ozio, ed a mantenersi e farsi ogn'ora maggiore.
P. Certamente che mi avete mostro tutta la vita nostra in breve tempo, e non verrò mai in questa stanza che non mi ricordi tempo per tempo quel che noi facciamo; ma ditemi, Giorgio, se vi piace, questi panni d'arazzo che avete fatti fare in queste stanze da questi giovani fiorentini, che hanno imparato così bene a lavorare e tessere e colorire queste lane, avendone voi fatto l'invenzioni e' disegni, hanno queste cose significato alcuno?
G. Signor sì, perché ogni stanza ha le sue storie di panni, appropriate a ciò, stanza per stanza; non vi pare che il duca abbi fatto una santa opera a questa città, che è stata sempre piena d'arte ingegnose, a condurci questa arte di tessere arazzi e più s'ha a fare, che questi ingegni sottili l'apparino?
P. Come, se e' mi pare? Anzi non poteva far meglio, perché questa di ricami d'ago, e di tessere cose d'oro con figure e fogliami, non ha avuto né ha pari, e solo a questa città mancava quest'arte, e non si poteva, secondo me, collocare in miglior luogo che in Fiorenza, sendo qui tanti pittori e disegnatori eccellenti, che fanno loro i cartoni per questo mestiero; ma ditemi un poco, Giorgio, che storie son queste?
G. Ecco che io comincio: in questo primo panno è il sacrifizio della Dea Pale, dove sono questi villani e pastori e altre femmine, che gli portano doni, i tributi degli armenti, perché essendo Dea de' pascoli e madre della terra, venga a far crescere l'erba per gli armenti piccoli e grandi.
P. Seguitate un poco; questo panno, dove è questa vendemmia, e che io veggo questi villani che colgono uve, e queste donne che la portano in capo, ed altri che nel tino la pestano, che cosa è ella?
G. Questa, Signore, è fatta per una baccanalia, e per mostrare la possanza della terra nello inebriare con esso le genti; ma guardi Vostra Eccellenza in quest'altro panno questi contadini, portano con quest'altre donne e gente i fiadoni del mele ed il latte allo Dio Pane, il quale facendo festa loro con lo strumento delle sei canne, sonandolo, mostra aver caro il tributo; e nel lontano è quando egli corre dietro alla ninfa Siringa, e che ella si converte in canne di palude. Ma non vi rincresca, Signor Principe, guardare in quest'altro panno i sacerdoti, che fanno sacrifizio alla Dea Tellure della porca pregna, secondo l'ordine antico, che hanno tutti gran significati.
P. Li abiti certamente son belli di questi sacerdoti, e così l'altare, dove ammazzano questa porca; ora seguite il restante.
G. Vostra Eccellenza guardi quest'altro panno che seguita, dove sono ritratti drento i misuratori de' campi, i quali allo Dio Termino fanno essi ancora sacrifizio delle pietre, con che terminano li confini de' luoghi fra terra e terra; e nel paese sono i villani, i quali con le canne e con le pertiche misurano le staiora de' campi, mettendo i confini, e i termini di sassi con piozzi con i numeri e con le inscrizioni.
P. Mi piace; e mi pare che questi giovani, per principianti, si portino molto bene, e meritino assai lode nell'averli saputi tessere e condurre; e voi che dite?
G. Benissimo, massime ora che si potrà far lavorare in Firenze di quest'arte senza avere a mandare in Fiandra. Ora vuole Vostra Eccellenza sapere il significato di queste storie in questi panni per conto del duca?
P. Di grazia, ch'io aspettavo ciò; incominciate.
G. Io comincio dicendo a Quella che il sacrifizio alla Dea Pale non è altro che tutto quello che si cava di frutto dai guardiani delle bestie, d'ogni sorte dazi che al duca nostro per sicurtà loro pagano i maremmani, dandoli il passo, che vadino sicuri alle maremme, e tenghi per loro sicuri i luoghi da' ladri, acconci loro i passi per poter guidare gli armenti senza pericolo; onde, stando sane le bestie loro, vanno multiplicando e facendo in più modi benefizio al suo stato; onde sono tenuti, sacrificando a questa Dea, ancora ringraziare Sua Eccellenza.
P. La vendemmia ci resta.
G. Eccomi: Signor mio, questa è fatta per la comodità e l'utile che si cava del vino, onde nasce l'allegrezza da quello, avendo nel suo stato, come Quella sa, molti luoghi che gli fanno eccellenti; come so, che anche di Pane, Iddio de' villani, sapete la storia; qui sono i contadini, i quali con tutti gl'ingegni rozzi rusticalmente portano d'ogni stagione a Sua Eccellenza i frutti della terra ed i migliori, e così ecci ancora applicato a questa Pane, che fu musico ed inventore di quella, facendo sonorità con le sei canne che egli colse quando corse dietro a Siringa ninfa d'Arcadia, la quale si faceva beffe de' satiri; ché giunta al fiume, là dove impedita da quello si converse in canne di paludi, che cogliendone Pane ne fece poi la zampogna delle canne diseguali; così questo principe con ogni studio ed accuratezza ha corso dietro a ogni sorte musico, né ha mancato fermarli e convertire in canne, cioè nelle sei note della musica, ut, re, mi, fa, sol, la, col farli comporre cose musicali, e cantare e sonare di tutte le sorti strumenti; ha tenuto di continuo allegra sua città con questa dolcissima armonia; né ha poi d'ogni tempo mancato a tutti gl'ingegni, che di rozzi gli ha fatti ringentilire, dando a chi virtuosamente ha operato ed opera nel suo stato le dignità e li offizj della città, in quelle cose che nuovamente ha fatte di villane e rustiche diventare della sua patria cittadine; oltre che de' musichi è stato sempre fautore, con donare e ricognoscer sempre i più eccellenti, stipendiandoli e favorendoli, come sa meglio di me Vostra Eccellenza. Dicono ancora i poeti che Pane si chiama Liceo da' più giovani, atteso che le cose rinnovate assai piacciono, stimando per opera divina i lupi lassare stare le greggi; che questo si può dire del duca nostro, che allo apparir suo hanno tutti gli uomini conversi in lupi lassato le insidie, e tornati alle selve loro.
P. Ogni cosa è più a proposito; or seguitate il fine.
G. Segue poi il sacrifizio della porca pregna, cioè la terra piena di virtù, e grassa d'ingegni buoni, che di lei i sacerdoti ne fanno di continuo sacrifizio, che non sono altro che le lodi virtuose de' principi santi e buoni; onde i poeti e gli scrittori veri mai sono digiuni di far sacrifizio dell'opere loro, col dedicarle alla memoria de' gran principi, per farli immortali di vita, come ora è avvenuto al duca nostro, che nel suo tempo si vede sotto il suo nome tante intitulazioni di libri scritti, stampati e tradotti, oltre alle storie universali che sono venute fuori, che mercè sua leggiamo ed impariamo; ma quanto ha egli dato materia, e dà alli onorati scrittori, di scriver giornalmente le imprese maravigliose, e impossibili, fatte da lui nel tempo che è vissuto! Che, mantenendocelo Dio, non istò in dubbio che l'Accademia, che è tanto favorita da lui, abbi giornalmente a scrivere, ed io, s'io vivo, a dipingere tanti onorati gesti, che né in Cesare né in Alessandro non si dipinsono, né scrissono mai.
P. Tutto quello che voi dite è vero; che ci resta?
G. Ancora lo Iddio Termino, il quale, per esser quello che termina, e confina, e segna, e stabilisce i campi, le valli, i poggi, Signor mio, questo è quello che appresso al duca nostro fa finire ogni disputa per chi giornalmente piatisce de' confini de' luoghi, quali presentandosi le differenze nelle mani sue, o de' giudici ordinari, da lui son finite in giustizia ed equità ogni contenzione e discordia, le istorie e il ragionamento di questa camera.
P. Quelli che lontano sono nel paese, che misurano i campi, che cosa significano egli?
G. Signore, sono coloro che sono stati destinati per il dominio di Sua Eccellenza illustrissima a rimisurar le provincie, e che hanno rintavolati i luoghi mal misurati per lo passato, e rassettato le gravezze di coloro che hanno venduto, o promutato i loro beni, o cresciuti o diminuiti ne' propri padroni loro: che tutto, questo principe ha fatto per il dominio con assai spendio, che tutto per suo giudizio e ordine si è misurato e terminato, come anche termina e finisce qui.
P. In verità che a questa Dea non se li aspettava manco, sendo ella tanto abbondante, e vera madre della terra e de' principati. Vogliamo noi passare a quest'altra che segue? Ma io non mi sono mai avvisto di dimandarvi se siete stracco, e se vi volete riposare.