ANTONELLO DA MESSINA pittore
Considerando meco medesimo le diverse qualità de' benifizii et utili fatti alla arte della pittura per quelli eccellenti ingegni che seguitano questa seconda maniera, giudico per le loro operazioni che e' si possino chiamare veramente industriosi e valenti, cercando eglino del continuo acrescere in maggiore grado l'arte, senza pensare a' disagii di se medesimi o ad altra spesa ancora che gagliarda, tanto ardeva in essi la voglia di investigare da potere aggiugnere nella pittura qualche altra cosa, oltra la perfezzione del disegno, migliorato tanto da loro. E perché e' non adoperavano allora in su le tavole et in su le tele altro colorito che a tempera, preso nel MCCL da Cimabue nello stare con que' Greci e seguitato da Giotto e dagli altri maestri sino a quel tempo, desideravano di trovar meglio, parendo loro che e' mancassi a quello una certa morbidezza et una vivacità che avessi ad areccare, trovandolo, più forza al disegno e più vaghezza al colorito et ancora maggiore facilità nello unire i colori insieme, avendo eglino infino a qui usato il tratteggiare l'opere loro per punta solamente di pennello. Ma benché molti avessino sofisticamente cerco di tal cosa, non però avevano trovato modi, né con vernice liquida né con altra sorte di olii mescolati nella tempera, come provò Alesso Baldovinetti e Pesello e molti altri, né cosa che tornasse l'opera di quella bellezza e bontà ch'[e'] s'erano immaginati; oltra che vi mancava un modo che e' volevano che le pitture in tavola si possino, come quelle che e' facevano in muro, lavare senza andarsene il colore, e che elle reggessino ad ogni percossa nel maneggiarle, come più volte nel ragunarsi gli artefici insieme avevano disputato di questa cosa. Era questo medesimo desiderio non solamente in Italia fra tutti i più elevati ingegni che esercitassino la pittura, ma ancora in Francia, in Ispagna, in Alemagna et in altre provincie dovunque l'arte viveva in pregio. Avvenne in questi tempi che esercitandosi in essa in Fiandra Giovanni da Bruggia, pittore molto stimato in que' paesi per la buona pratica che egli in quel mestiero aveva acquistata con le fatiche de' suoi studii e con la frequente imaginazione che del continuo aveva di arricchire l'arte del dipignere, avvenne, dico, mentre che e' cercava di trovare diverse sorti di colori, dilettandosi forte della archimia e stillando continovamente olii per far vernice e varie sorte di cose come suole accadere alle persone sofistiche, che avendo egli un giorno infra gli altri dipinto una tavola, durato in quella molte fatiche e condottala con una diligenza a la fine che gli piaceva, le volse dare la vernice al sole, come si costuma alle tavole; e così vernicata e lassatola che il sole la sec[c]asse, fu tanto violente quel caldo - o che il legname fusse mal commesso o pur che non fusse stagionato - che ella si aperse in su le commettiture di mala sorte. Laonde, visto Giovanni il nocumento che gli aveva fatto il caldo del sole, deliberò che mai più li facesse tal danno; e recatosi non meno a noia la vernice che il lavorare a tempera, cominciò a pensare di trovare un modo di fare una sorte di vernice che seccasse a l'ombra, senza mettere al sole le sue pitture. E così sperimentato diverse cose, e pure e mescolate, alla fine trovò che l'olio di seme di lino e quello delle noci, fra tanti che ne provò, erano più seccativi di tutti gli altri. Questi dunque, bolliti con altre sue misture, gli fecero la vernice che egli stesso desiderava. E così fatto sperimento, oltre a quella, di molte cose, vide che il mescolare i colori con queste sorti d'olî gli dava una tempera molto forte, che secca non temeva l'acqua altrimenti, et inoltre accendeva il colore tanto forte che gli recava lustro da per sé senza vernice; e quello che più gli parve mirabile, era che si univa meglio che la tempera infinitamente. Rallegrossene dunque Giovanni, come era giusto, e dato principio a mettere in opera i suoi lavori, ne venne a condurre oggi una cosa e domani un'altra, di maniera che, assicuratosi de la esperienza, venne a far opere maggiori, le quali vedutesi e dagli artefici del suo paese e dai forestieri furono molto lodate. E ne sparse per Fiandra e per Italia e per le altre parti del mondo che e' gli reccarono utile e fama immortale, e massimamente da chi intendeva la nuova invenzione del colorito di Giovanni, perché vedendo le opere sue e non sapendo quello che egli si adoperasse, era costretto non solamente a lodarlo, ma a celebrarlo quanto e' poteva, e tanto più quanto egli per un tempo non volse mai esser veduto lavorare né insegnare a nessuno artefice quel segreto. Ma poi che egli, già divenuto vec[c]hio, ne fece grazia a Ruggieri da Bruggia suo creato che la insegnò ad Ausse suo discepolo et agli altri che io dissi già nel capitolo XXI dove si ragionò del colorire a olio nelle cose della pittura, ancora che Giovanni la tenesse in pregio, molti che facevano mercanzie in Fiandra di diverse nazioni mandavan de l'opere sue per incetta a diversi prìncipi; i quali le stimoron molto sì per le lode che gli davano gli artefici nel vederle e molto più per la bellezza di quella invenzione che Giovanni aveva trovato. Né per questo in Italia si poté investigar ma' fra i pittori che vivevano allora che olio o mistura si fusse quella, ancora che ella avesse in sé uno odore acuto che facevano i colori e quelli olii mescolati, che pareva possibile d'averla a rinvenire; ma né per questo si ritrovò o rinvenne mai fino a che e' fu mandato da certi mercanti fiorentini che facevano faccende in Napoli, e stavano in Fiandra, al re Alfonso Primo una tavola con molte figure lavorata a olio di mano di Giovanni; che vedutola il re, fu daùllui sommamente lodata e tenuta cara e per la bellezza delle figure e per la novità di quella invenzione di colorito. A la quale opera concorse tutto il regno per vedere questa maraviglia. Era stato a Roma molti anni a disegnare nella sua fanciullezza Antonello da Messina, il quale essendo di buono ingegno, desto e molto accorto in quel mestiero, aveva fatto bonissimo profitto nel disegno; e così dimorando molti anni in quella città, aveva aquistato nome. Ritiratosi dipoi in Palermo vi lavorò molti anni; e così fece in Messina sua patria, dove confermò con l'opre che e' vi fece la buona openione che teneva il suo paese della virtù che e' sapeva così ben dipignere. Costui capitando un giorno per suoi bisogni da Palermo a Napoli, sentì che al re Alfonso era venuta di Fiandra la sopradetta tavola di mano di Giovanni da Bruggia dipinta con olii che si poteva lavare e che reggeva ad ogni percossa, cosa che nel disegno per la maniera di quel paese era buona e per la vaghezza del colorito bellissima, e che il re ne teneva gran conto per la maniera di quel lavorar[e]: e desiderò sommamente potere vederla. Per il che messo mez[z]i, si condusse finalmente a questa opera; e poté tanto in lui la vivacità de' colori e la bellezza e unione di quello dipinto che, lasciato da parte ogni altro negozio e pensiero, se ne andò fino in Fiandra. Et in Bruggia pervenuto, prese dimestichezza grandissima col detto Giovanni, al qual fece presente di molti disegni alla maniera italiana et altre sue cose, talmente che per questo, e per esser Giovanni già vecchio, non si curò che Antonello vedesse l'ordine del suo colorire a olio; e così non si partì egli di quel luogo sino a che ebbe appreso eccellentemente quel colorire come egli medesimo desiderava. Ora, mentre che egli stava fra el sì et il no di partirsi, Giovanni si morì, et Antonello desideroso di tornare in Italia per rivedere la sua patria e per fare il paese partecipe di sì comodo et utile segreto, se ne ritornò in quella. E capitato in Venezia, per essere persona molto dedita a' piaceri e tutta venerea, piacendoli quel modo di vivere, si risolvé abitare in quella; e vi fece molti quadri coloriti nella maniera a olio che egli di Fiandra aveva portata, che sono sparsi in molte case di que' gentiluomini, i quali per la novità di quel lavoro furono stimati assai. Similmente fece altra sorte di lavori che furon mandati in diversi luoghi. Alla fine, avendo egli quivi aquistato fama, gli fu fatto allogazione d'una tavola che andava in San Cassano, parrochia di quella città; la quale tavola fu da Antonello con ogni sua industria et arte senza rispiarmo di tempo lavorata, e per la novità di quel colorire e per la bellezza delle figure, ché e' si portò assai bene nel dissegno, commendata molto e tenuta in pregio grandissimo, e molto più per avervi egli condotto sì bel segreto. E così gli fu fatto abilità e carezze grandissime dal Senato mentre che egli vi dimorò. Era in quella città allora de' più eccellenti pittori uno chiamato m[aestro] Domenico da Venezia, il quale fece ad Antonello innella sua giunta quelle carezze e cortesie che maggiori si posson fare ad amico che si ami; per il che Antonello, che non si volse lassar vincere dalle cortesie da m[aestro] Domenico, dopo non molti mesi gli insegnò il secreto del colorire a olio, del quale egli fu molto contento et in Venezia per quello onorato. Né vi andò troppo tempo che egli fu condotto a Fiorenza da quegli che facevano in Venezia le faccende mercantili de' Portinari, per lavorare la cappella di Santa Maria Nuova, edificata da loro, come si dirà nella Vita di Andrea del Castagno; per che poi m[aestro] Domenico la insegnò ad Andrea predetto, et egli a tutti discepoli suoi, tanto che ella si sparse per tutta Italia. Ma per tornare ad Antonello che rimase in Venezia, e' seguitò, dopo l'opera di San Cassano, il far molti ritratti di naturale a più persone. E digià gli era stato allogato dalla Signoria per il palazzo alcune storie da lavorarsi nella sala del loro Consiglio, le quali non volson mai dare, per pri[e]ghi che ne facessi un marchese vecchio di Mantova, a Francesco di Monsignore veronese che fu provisionato da lui, e gli fece molte opere in Mantova, e lavorò ancora in Verona sua patria. Bene è vero che Antonello non potette mettere in opera queste istorie, ancora che e' ne avesse fatto i cartoni, perché ammalandosi di un mal di punta, di età di anni XXXXIX se ne passò a vita migliore. E sommamente fu onorato nelle esequie dagli artefici del mestiero per il dono che aveva fatto loro de la nuova maniera del colorire, come testifica questo epitaffio: D. O. M. ANTONIUS PICTOR PRAECIPUUM MESSANAE SUAE ET SICILIAE TOTIUS ORNAMENTUM HAC HUMO CONTEGITUR. NON SOLUM SUIS PICTURIS IN QUIBUS SINGULARE ARTIFICIUM ET VENUSTAS FUIT SED ET QUOD COLORIBUS OLEO MISCENDIS SPLENDOREM ET PERPETUITATEM PRIMUS ITALICAE PICTURAE CONTULIT SUMMO SEMPER ARTIFICUM STUDIO CELEBRATUS. Rincrebbe questa morte di Antonello a molti suoi amici, e particularmente ad Andrea Riccio scultore che in Venezia nella corte del palazzo della Signoria aveva lavorato di marmo le due statue che si veggono ignude di Adamo et Eva, che son tenute belle. Costui non mancò di portarli afezzione e di lodarlo dopo la morte, come non aveva mancato in vita di lodarlo e di celebrarlo quanto e' poteva. Tale fu la fine di Antonello, al quale debbono certamente gli artefici nostri tenere non meno obligazione dell'avere portato in Italia il modo del colorire a olio che si abbia avere a Giovanni da Bruggia che ne fu inventore in Fiandra, avendo l'uno e l'altro beneficato et arric[c]hito questa arte; perché mediante questa invenzione sono venuti dipoi sì eccellenti gli artefici, che hanno potuto far quasi vive le loro figure, dar nome alle patrie, et onorare et ornare qualunche luogo egli hanno voluto. La qual cosa tanto più debbe essere in pregio, quanto manco si truova scrittore alcuno che questa maniera di colorire assegni agli antichi. E se e' si potesse sapere che ella non fusse stata veramente appresso di loro, avanzerebbe pure questo secolo le eccellenzie dello antico in questa perfezzione. Ma perché, sì come e' non si dice cosa che non sia stata detta, così forse non ci è cosa che non sia stata, me la passerò senza altro discorso: e lodando sommamente coloro che oltra la eccellenzia del disegno aggiungono sempre alla arte qualcosa, attenderò a scrivere degli altri.