LAZARO VASARI aretino pittore
Quanto diletti eccessivamente qualunche de' nostri artefici il trovare che nella arte da lui seguita sia già stato qualcuno de' suoi che n'abbia riportato e gloria et onore, chiaramente me lo dimostra la contentezza che io sento in me di aver trovato tra ‘ miei passati Lazaro Vasari, pittor famoso ne' tempi suoi, e non solamente nella sua patria, ma in tutta Toscana ancora; e non certo senza cagione, come bene crederrei mostrarlo, se io potesse liberamente, come ho fatto di tutti gli altri, così scrivere ancora di lui. Ma perché respetto a lo essere io nato del sangue suo si crederebbono forse alcuni che io lo lodasse più del dovere, lasciando a parte i meriti suoi e della famiglia, dirò semplice e nudamente quello che io non posso tacere in maniera alcuna, non volendo mancare al vero donde tutta pende la storia. Fu adunque Lazaro Vasari, pittore aretino, amicissimo e fido compagno di Pietro della Francesca del Borgo a San Sepolcro, e valse molto nelle cose piccole di figure. E perché molto s'usava nel suo tempo dipignere le barde de' cavagli, infinitissimi lavori fece a Niccolò Piccinino; onde fu cagione, per il guadagno che ne trasse, di ritirare in Arezzo una parte de' suoi fratelli, che alle misture de' vasi di terra attendendo abitavano allora in Cortona. Et egli, essendosi innamorato della pittura e del disegno, giorno e notte non restava di seguitare gli studî di quella. Prese sì la maniera di Pietro borghese che poco da quella si conosceva differente. Era persona che teneva sempre ferma la imaginazione a certe cose naturali, come si vede in San Gimignano in Arezzo nel tramez[z]o di essa chiesa una cappellina, dove in fresco dipinse un Crocifisso, la Nostra Donna, San Giovanni e la Maddalena, le quali fece piangenti appiè della Croce con una maniera sì disposta e intenta al pianto che, oltra che elle paiono e vive e vere, elle gli acquistarono e credito e nome tra ‘ suoi cittadini. Lavorò ancora in Monte Pulciano una predella di figure piccole posta nella Pieve; et in Castiglione Aretino una tavola a tempera in S. Francesco, e molti altri lavori i quali sono in corpi di cassoni di figure piccole per la città sua in varie casa de' cittadini. Et in Firenze nella Parte Guelfa si veggono ancora de le barde di suo lavoro. Era Lazaro persona piacevole e motteggera molto, et argutissima nel modo del parlar suo; et ancora che per diletto e comodo suo e' si desse molto a' piaceri, non si partì però mai da la vita onesta. Visse anni LXXIII, e lasciò Giorgio suo figliuolo, il quale attese continovamente alla antiquità de' vasi di terra aretini. Egli nel tempo che era in Arezzo messer Gentile Urbinate, vescovo aretino, ritrovò i modi del colore e rosso e nero de' vasi di terra che fino al tempo del re Porsenna i vecchi Aretini lavorarono. Et egli, che industriosa persona era, fece vasi grandi al torno d'altezza di un braccio e mez[z]o, i quali in casa di esso si veggono ancora, da quella antiquità per conservazione ritenuti. Dicono che cercando in un luogo de vasi dove pensavano che gli antiqui lavorassero, Giorgio trovò in un campo di terra al Ponte alla Calciarella, luogo così chiamato, sotto la terra tre braccia, tre archi delle fornaci antiche, et attorno cercando vi trovorono di quella mistura vasi rotti infiniti, e degli interi quattro, i quali, venendo in Arezzo il magnifico Lorenzo de' Medici, da Giorgio per introduzzione del vescovo gli ebbe in dono: i quali prese, e furono cagione del principio della servitù che con quella felicissima casa poi sempre tenne. Egli lavorò benissimo di rilievo, come ne fanno fede in casa sua alcune teste di suo. Ebbe cinque figliuoli maschi, i quali tutti fecero lo esercizio medesimo; e tra gli altri artefici buoni furono Lazzaro e Bernardo, che giovinetto morì a Roma, disegnatore e pittore di vasi con le figure e tenuto maestro molto buono. E certo che se la morte non lo rapiva così tosto alla casa nostra, per lo ingegno che destro e pronto si vide in lui, egli averebbe cresciuto grado et onore alla patria sua. Morì Lazzaro vecchio nel MCCCCLII e Giorgio l'anno LXVIII della sua età se ne passò ad un'altra vita nel MCCCCLV, e furono sepolti amendue nella Pieve di Arezzo, appiè della cappella loro di San Giorgio; dove in laude di Lazzero furono da chi lo amava appiccati col tempo questi versi: ARETII EXULTET TELLUS CLARISSIMA. NAMQUE EST REBUS IN ANGUSTIS IN TENUIQUE LABOR. VIX OPERUM ISTIUS PARTES COGNOSCERE POSSIS: MYRMECIDES TACEAT CALLICRATES SILEAT.