ANTONIO VENIZIANO
Quanti si starebbono nelle patrie dove nascono, che per gli stimoli dell'invidia morsi dagli artefici et oppressi dalla tirannia de' suoi cittadini si partono di quelle! e l'altrui nido nuova et ultima patria si eleggono e quivi fanno l'opre loro, mostrando lo sforzo di quel che sanno e parendoli nel far così d'ingiuriar coloro da chi sono stati ingiuriati, de' quali non si curano sentir memoria né nome, obliandoli tanto per la loro invidia e maledicenza che e' non vorrebbono mai ricordarsi del paese che gli produsse; il quale, se bene in questo non ha colpa, non può nientedimeno ammortare con la sua dolcezza quello sdegno giustissimo che negli animi di costoro causò la emulazione e la ingratitudine de' maligni lor cittadini. Il che manifestamente si vide in Antonio Veniziano, il quale venne in Fiorenza con Agnol Gaddi ad imparare la pittura, et appresela di maniera che non solamente era stimato et ammirato da' Fiorentini, ma carezzato ancora grandemente per questa virtù e per l'altre buone qualità sue. Laonde, venutoli voglia di farsi vedere nella sua città per ricogliere in essa il frutto delle lunghe fatiche da lui durate, si tornò a la sua Vinegia, e faccendo quivi a fresco et a tempera molte pitture meritò che da la Signoria gli fusse dato a dipignere una facciata della sala del Consiglio. La quale opera condusse egli sì eccellentemente e con tanta maestà, che ogni gran premio se li veniva, se la emulazione degli artefici et il favore che ad altri pittori forestieri facevano alcuni gentiluomini non avesse accecati gli occhi di chi doveva vedere il vero. Ma tanta fu la invidia e sì potente la ambizione, che il poverello Antonio si trovò sì percosso e tanto abbattuto che per miglior partito a Fiorenza se ne ritornò con proposito di non volere a Vinegia mai più tornare, e quella per sua nuova patria deliberò d'eleggersi. Dove nel chiostro di Santo Spirito in uno archetto fece Cristo che chiama Pietro et Andrea da le reti, e Zebedeo e i figliuoli. E sotto i tre archetti di Stefano dipinse la storia del miracolo di Cristo ne' pani e ne' pesci, nella quale infinita diligenza et amore dimostrò, come apertamente si vede nella figura stessa di Cristo, che a l'aria del viso mostra la compassione che egli ha alla turba e lo ardore della carità con la quale fa dispensare il pane; vedesi medesimamente in gesto bellissimo la affezzione d'uno Apostolo, che dispensando con una cesta grandemente si affatica: et imparasi da chi è della arte a dipignere sempre le sue figure in una maniera che elle favellino, perché altrimenti non sono pregiate. Dimostrò questo medesimo Antonio, nel frontispizio di sopra, in una storietta piccola della manna, con tanta diligenza lavorata e con sì buona grazia finita che vanto dar si gli può di veramente eccellente. A Santo Antonio al Ponte alla Carraia dipinse l'arco sopra la porta; et a Pisa dall'Opera del Duomo fu condotto dove in Camposanto fece gran parte delle storie di San Rinieri, et in quelle figurò la nascita, la vita e la morte sua. Ritornò a Fiorenza et a Nuovoli nel contado dipinse un tabernacolo. E perché molto studiava le cose di Dioscoride nelle erbe, piacendogli intendere le proprietà e virtù di esse, abbandonò la pittura e diedesi a stillar semplici e cercar quegli con ogni studio. Così di pittore medico divenuto, molto tempo seguitò questa arte, finché infermo di mal di stomaco in breve tempo finì il corso della sua vita, dolendo agli amici suoi la morte di lui, per essere egli stato non meno medico esperto che diligente pittore, avendo infinite esperienze fatto nella medicina a quegli che di lui ne' suoi bisogni s'erano serviti. Per il che lasciò al mondo di sé bonissima fama nell'una e nell'altra virtù. Furono l'opre sue nel MCCCLXXX. Fu suo discepolo Gherardo Starnini fiorentino, il quale molto lo imitò e gli fe' continovamente onore eccessivo. Né mancò alla morte di Antonio chi lo onorasse con questo epitaffio: ANNIS QUI FUERAM PICTOR IUVENILIBUS ARTIS ME MEDICAE RELIQUO TEMPORE COEPIT AMOR. NATURA INVIDIT DUM CERTO COLORIBUS ILLI ATQUE HOMINUM MULTIS FATA RETARDO MEDENS. ID PICTUS PARIES PISIS TESTATUR ET ILLI SAEPE QUIBUS VITAE TEMPORA RESTITUI.