Introduzione alle tre arti del disegno. Pittura. Cap. XXXIII * teoriche *

Cap. XXXIII
Del niello e come per quello abiamo le stampe di rame; e come si intaglino gl'argenti per fare gli smalti di basso rilievo e similmente si ceselino le grosserie.

Il niello, il quale non è altro che un disegno tratteggiato e dipinto su lo argento come si dipigne e tratteggia sottilmente con la penna, fu trovato dagli orefici fino al tempo degli antichi, essendosi veduti cavi co' ferri ripieni di mistura negli ori et argenti loro. Questo si disegna con lo stile su lo argento che sia piano e si intaglia col bulino, ch'è un ferro quadro tagliato a unghia da l'uno degli angoli a l'altro per isbieco, che così calando verso uno de' canti lo fa più acuto e tagliente da' due lati e la punta di esso scorre e sottilissimamente intaglia. Con questo si fanno tutte le cose che sono intagliate ne' metalli per riempierle o per lasciarle vòte, secondo la volontà dello artefice. Quando hanno dunque intagliato e finito col bulino, pigl[i]ano argento e piombo e fanno di esso al fuoco una cosa ch'incorporata insieme è nera di colore e frangibile molto e sottilissima a scorrere. Questa si pesta e si pone sopra la piastra dello argento dov'è l'intaglio, il qual è necessario che sia bene pulito, et accostatolo a fuoco di legne verdi, soffiando co' mantici si fa che i raggi di quello percuotino dove è il niello; il quale per la virtù del calore fondendosi e scorrendo, riempie tutti gli intagli che aveva fatti il bulino. Appresso, quando l'argento è raffreddo, si va diligentemente co' raschiatoi levando il superfluo e con la pomice appoco appoco si consuma, fregandolo e con le mani e con un cuoio tanto che e' si truovi il vero piano e che il tutto resti pulito. Di questo lavorò mirabilissimamente Maso Finiguerra fiorentino, il quale fu raro in questa professione, come ne fanno fede alcune paci di niello in San Giovanni di Fiorenza che sono tenute mirabili. Da questo intaglio di bulino son derivate le stampe di rame, onde tante carte e italiane e tedesche veggiamo oggi per tutta Italia; che sì come negli argenti s'improntava, anzi che fussero ripieni di niello, di terra e si buttava di zolfo, così gli stampatori trovarono il modo del fare le carte su le stampe di rame col torculo, come oggi abbiam veduto da essi imprimersi. Ècci un'altra sorte di lavori in argento o in oro, comunemente chiamata smalto, che è spezie di pittura mescolata con la scultura, e serve dove si mettono l'acque, sì che gli smalti restino in fondo. Questa, dovendosi lavorare in su l'oro, ha bisogno di oro finissimo, et in su lo argento, argento almeno a lega di giulii. Et è necessario questo modo perché lo smalto ci possa restare e non iscorrere altrove che nel suo luogo: bisogna lasciarli i proffili d'argento, che di sopra sian sottili e non si vegghino. Così si fa un rilievo piatto et in contrario a l'altro, acciò che, mettendovi gli smalti, pigli gli scuri e ‘ chiari di quello da l'altezza e da la bassezza dello intaglio. Pigl[i]asi poi smalti di vetri di varii colori, che diligentemente si fermino col martello, e si tengono negli scodellini con acqua chiarissima separati e distinti l'uno da l'altro. E nota che quegli che si adoperano a l'oro sono differenti da quegli che servono per l'argento, e si conducono in questa maniera: con una sottilissima palettina di argento si pigliano separatamente gli smalti e con pulita pulitezza si distendono a' luoghi loro, e vi se ne mette e rimette sopra, secondo ch'e' ragnano, tutta quella quantità che fa di mestiero. Fatto questo, si prepara una pignatta di terra fatta aposta, che per tutto sia piena di buchi et abbia una bocca dinanzi, e vi si mette dentro la mufola, cioè un coperchietto di terra bucato che non lasci cadere i carboni abasso, e da la mufola in su si empie di carboni di cerro e si accende ordinariamente. Nel vòto che è restato sotto il predetto coperchio, in una sottilissima piastra di ferro si mette la cosa smaltata a sentire il caldo a poco a poco, e vi si tiene tanto che, fondendosi, gli smalti scorrino per tutto quasi come acqua. Il che fatto si lascia rafreddare, e poi con una frassinella, ch'è una pietra da dare filo ai ferri, con rena da bicchieri si sfrega e con acqua chiara, finché si truovi il suo piano. E quando è finito di levare il tutto, si rimette nel fuoco medesimo, che il lustro, nello scorrere l'altra volta, gli dà per tutto. Fassene d'un'altra sorte a mano che si pulisce con gesso di Tripoli e con un pezzo di cuoio, del quale non accade fare menzione; ma di questo l'ho fatto, perché, essendo opra di pittura come le altre, m'è paruto a proposito.

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