Cap. XXI. Del dipingere a olio in tavola e su le tele.
Fu una bellissima invenzione et una gran commodità all'arte della pittura il trovare il colorito a olio, di che fu primo inventore in Fiandra Giovanni da Bruggia, il quale mandò la tavola a Napoli al re Alfonso et al duca d'Urbino Federigo II la stufa sua, e fece un San Gironimo che Lorenzo de' Medici aveva, e molte altre cose lodate. Lo seguitò poi Rugieri da Bruggia suo discipolo, et Ausse creato di Rugieri, che fece a' Portinari in S. Maria Nuova di Firenza un quadro picciolo, il qual è oggi apresso al duca Cosimo; et è di sua mano la tavola di Careggi, villa fuora di Firenze della illustrissima casa de' Medici. Furono similmente de' primi Lodovico da Luano e Pietro Crista e maestro Martino e Giusto da Guanto, che fece la tavola della Comunione del duca d'Urbino et altre pitture, et Ugo d'Anversa, che fe' la tavola di S. Maria Nuova di Fiorenza. Questa arte condusse poi in Italia Antonello da Messina che molti anni consumò in Fiandra, e, nel tornarsi di qua da' monti fermatosi ad abitare in Venezia, la insegnò ad alcuni amici, uno de' quali fu Domenico Veniziano che la condusse poi in Firenze quando dipinse a olio la capella de' Portinari in S. Maria Nuova, dove la imparò Andrea dal Castagno che la insegnò agli altri maestri, con i quali si andò ampliando l'arte et acquistando - sino a Pietro Perugino, a Lionardo da Vinci et a Rafaello da Urbino - talmente, che ella s'è ridotta a quella bellezza che gli artefici nostri, mercé loro, l'hanno acquistata. Questa maniera di colorire accende più i colori né altro bisogna che diligenza et amore, perché l'olio in sé si reca il colorito più morbido, più dolce e dilicato e di unione e sfumata maniera più facile che li altri, e mentre che fresco si lavora, i colori si mescolano e si uniscono l'uno con l'altro più facilmente; et insomma li artefici dànno in questo modo bellissima grazia e vivacità e gagliardezza alle figure loro, talmente che spesso ci fanno parere di rilievo le loro figure e che ell'eschino della tavola, e massimamente quando elle sono continovate di buono disegno con invenzione e bella maniera. Ma per mettere in opera questo lavoro si fa così: quando vogliono cominciare, cioè ingessato che hanno le tavole o quadri, gli radono, e datovi di dolcissima colla quattro o cinque mani con una spugna, vanno poi macinando i colori con olio di noce o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla meno), e così macinati con questi olii, che è la tempera loro, non bisogna altro, quanto a essi, che distenderli col pennello. Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallolino, terre da campane, mescolati tutti in un corpo e d'un color solo, e quando la colla è secca impiastrarla su per la tavola e poi batterla con la palma della mano tanto ch'ella venga egualmente unita e distesa per tutto: il che molti chiamano l'imprimatura. Dopo, distesa detta mestica o colore per tutta la tavola, si metta sopra essa il cartone che averai fatto con le figure e invenzioni a tuo modo, e sotto questo cartone se ne metta un altro tinto da un lato di nero, cioè da quella parte che va sopra la mestica. Apuntati poi con chiodi piccoli l'uno e l'altro, piglia una punta di ferro overo d'avorio o legno duro e va' sopra i proffili del cartone segnando sicuramente, perché così facendo non si guasta il cartone, e nella tavola o quadro vengono benissimo proffilate tutte le figure e quello che è nel cartone sopra la tavola. E chi non volesse far cartone, disegni con gesso da sarti bianco sopra la mestica overo con carbone di salcio, perché l'uno e l'altro facilmente si cancella. E così si vede che, seccata questa mestica, lo artefice, o calcando il cartone o con gesso bianco da sarti disegnando, l'abozza: il che alcuni chiamano imporre. E finita di coprire tutta, ritorna con somma politezza lo artefice da capo a finirla, e qui usa l'arte e la diligenza per condurla a perfezione; e così fanno i maestri in tavola a olio le loro pitture.