ALESSO BALDOVINETTI fiorentino pittore
Ha tanta forza la nobiltà dell'arte della pittura, che molti nobili si son visti partire da le arti dove arebbono potuto fare infinito numero di ricchezze negli aviamenti che hanno, se vi avessero voluto attendere; e dalla volontà tirati si sono sforzati, contra il voler de' padri loro, seguire l'appetito naturale, lasciando l'accidentale. Né di ricchezza si sono curati, dicendo la vera ricchezza essere i frutti còlti da l'albero della virtù, i rami della quale si spandono in ogni luogo, e facilmente dove si camina si portano, né possono incendii, ruine o ferro alla virtù far offesa, ché invero la fama avanza i termini della morte. Conoscendo questo Alesso Baldovinetti, da propria volontà tirato abbandonò la mercanzia, che per successione facevano i suoi per essere stati quegli conservatori delle facultà e del grado che dai nobili cittadini avevano, e si sforzò onorare quegli con l'ornamento della pittura, alla quale fu molto amorevole nel contraffare le cose della natura, come si può vedere nelle cose sue. Era Alesso nella sua fanciulezza molto inclinato alla pittura, di modo che contra la volontà del padre, il quale averebbe voluto ch'alla mercanzia avesse dato opera, continuar la volse, dicendo egli che questa arte era la più eccellente e la più onorata di tutte l'altre manuali, allegando Fabio nobilissimo romano e molti filosofi avervi dato opera. Laonde Alesso perseverando nel suo lodevole proponimento, incominciò in Santa Maria Nuova la cappella di San Gilio, cioè la faccia dinanzi, e similmente la tavola e la cappella maggiore a' Gianfigliazzi di Santa Trinita con istorie del Testamento Vecchio. Fu diligentissimo nelle cose sue, e d'ogni minuzia che la natura facesse era bonissimo imitatore. Ebbe la maniera un poco secca e crudetta, massimamente ne' panni. E dilettossi molto contraffar paesi, e ritraendoli dal vivo come stavano appunto imitava i ponti, i fiumi, i sassi, l'erbe, le frutte, le vie, i campi, le città, le castella, l'arena et ogni minima pietra, come si vede in una storia a fresco et a secco ritocca alla Nunziata di Fiorenza nel cortile, dietro il muro dov'è dipinta la Nunziata, nella quale fece una Natività di Cristo; e quivi mise tal fine, fatica e diligenza in una capanna, che numerar si potrebbono i fili e i nodi della paglia. Vi contrafece ancora una ruina d'una casa di pietre dal tempo muffate e dalla pioggia logore e consumate, con una radice di edera grossa che una parte di quel muro ricuopre, nella quale imitò [‘l] colore del ritto e del rovescio delle foglie con diligenza e con pazienza; vi sono ritratti pastori a la usanza del paese, e mise tempo infinito a contraffare una serpe che camina per il muro. E merita egli certamente infinita lode per lo amor che e' portò alla arte. Dicesi che egli andò lungamente sofisticando intorno al musaico, e che non essendone mai pervenuto a quello che e' desiderava, gli capitò a le mani un todesco che andava a Roma a le perdonanze; il quale alloggiato et intrattenuto da Alesso parecchi giorni, gli insegnò interamente il modo e la regola del condurre quella opera, di maniera che egli arditamente si mise a lavorare di musaico, et in San Giovanni sopra le tre porte di bronzo fece da la banda di dentro negli archi alcuni Angeli che tengono la testa di Cristo. Per il che li allogarono i Consoli della Arte de' Mercatanti tutta la volta di quel tempio, fatta da Andrea Taffi, che e' dovesse rinettarla e pulirla e racconciare e rassettare quanto avesse corrotto il tempo. Il che fece Alesso in su uno edifizio di legname fatto dal Cecca architetto, tenuto il migliore che avesse quel secolo. Insegnò il magisterio de' musaici a Domenico Ghirlandaio, che lo ritrasse poi accanto a se stesso nella cappella de' Tornabuoni dove è Giovacchino cacciato del tempio; et è un vecchio raso con un cappuccio rosso in testa. Visse anni LXXX; e si commise nello spedale di San Paulo con alcune sue facultà; et a cagione di esservi accettato più volentieri, fece portarvi un gran cassone dove finse di avere tesoro, dandone la chiave allo spedalingo, ma con patto che e' non dovesse aprirsi già mai, se non dopo la morte di esso Alesso. La quale quando fu venuta, si aperse il cassone e vi si trovò dentro solamente un libretto che insegnava fare le pietre del musaico e lo stucco et il modo del lavorare, volendo così inferire che la fama e la virtù di chi opera è un tesoro. Fu suo discepolo il Graffione fiorentino, che sopra la porta degli Innocenti fece a fresco il Dio Padre con quegli Angeli che vi si veggono ancora. Dicono che il magnifico Lorenzo de' Medici ragionando un dì col Graffione, che era uno stran cervello, gli disse: "Io voglio far fare di musaico e di stucchi tutti gli spigoli della cupola di dentro". Al che rispondendo il Graffione "Voi non ci avete maestri", replicò Lorenzo: "Noi abbiamo tanti danari che noi ne faremo"; il Graffione subitamente gli soggiunse: "Eh, Lorenzo, i danari non fanno i maestri, ma i maestri fanno i danari". Era costui una fantastica e bizzarra persona che non mangiò mai a tavola apparecchiata d'altro che de fogli de' cartoni che e' faceva, e non dormì in altro letto che in un cassone pieno di paglia senza lenzuola. Ma tornando ad Alesso, e' finì e l'arte e la vita nel MCCCCXLVIII. E se bene per allora non fu onorato molto, non è però mancato dipoi chi gli abbia fatto questo epitaffio: ALEXIO BALDOVINETTO GENERIS ET ARTIS NOBILITATE INSIGNI CUIUS NEQUE INGENIO NEQUE PICTURIS QUICQUAM POTEST ESSE ILLUSTRIUS PROPINQUI OPTIME MERITO PROPINQUO POS.