VITA DI BENEDETTO DA ROVEZZANO scultore
Gran dispiacere mi penso io che sia quello di coloro che avendo fatto alcuna cosa ingegnosa, quando sperano goderla nella vecchiezza a vedere le prove e le bellezze degl'ingegni altrui in opere somiglianti alle loro, e potere conoscere quanto di perfezzione abbia quella parte che essi hanno esercitato, si trovano dalla fortuna contraria o dal tempo o cattiva complessione o altra causa privi del lume degl'occhi, onde non possono, come prima facevano, conoscere né il difetto né la perfezzione di coloro che sentono esser vivi et esercitarsi nel loro mestiero; e molto più credo gli attristi il sentire le lode de' nuovi, non per invidia, ma per non potere essi ancora esser giudici si quella fama viene a ragione o no. La qual cosa avvenne [a] Benedetto da Rovezzano scultore fiorentino, del quale al presente scriviamo la Vita, acciò sappia il mondo quanto egli fusse valente e pratico scultore, e con quanta diligenza campasse il marmo spiccato, facendo cose maravigliose. Fra le prime di molte opre che costui lavorò in Firenze, si può annoverare un camino di macigno ch'è in casa di Pierfrancesco Borgherini, dove sono di sua mano intagliati capitegli, fregi, et altri molti ornamenti straforati con diligenza. Parimente in casa di messer Bindo Altoviti e di mano del medesimo un camino et uno acquaio di macigno, con alcune altre cose molto sottilmente lavorate, ma, quanto appartiene all'architettura, col disegno di Iacopo Sansovino, allora giovane. L'anno poi 1512, essendo fatta allogazione a Benedetto d'una sepoltura di marmo con ricco ornamento nella cappella maggiore del Carmine di Firenze per Piero Soderini, stato gonfaloniere in Fiorenza, fu quella opera con incredibile diligenza da lui lavorata, perché, oltre ai fogliami et intagli di morte e figure, vi fece di basso rilievo un padiglione a uso di panno nero, di paragone, con tanta grazia e con tanto bel pulimento e lustro, che quella pietra pare più tosto un bellissimo raso nero che pietra di paragone: e per dirlo brevemente, tutto quello che e di mano di Benedetto in tutta questa opera non si può tanto lodare che non sia poco. E perché attese anco all'architettura, si rassettò col disegno di Benedetto a Santo Apostolo di Firenze la casa di messer Oddo Altoviti, patrone e priore di quella chiesa; e Benedetto vi fece di marmo la porta principale, e sopra la porta della casa l'arme degl'Altoviti di pietra di macigno, et in essa il lupo scorticato, secco e tanto spiccato a torno che par quasi disgiunto dal corpo dell'arme, con alcuni svolazzi trasforati e così sottili, che non di pietra, ma paiono di sottilissima carta. Nella medesima chiesa fece Benedetto sopra le due cappelle di messer Bindo Altoviti, dove Giorgio Vasari aretino dipinse a olio la tavola della Concezzione, la sepoltura di marmo del detto messer Oddo, con uno ornamento intorno pieno di lodatissimi fogliami, e la cassa parimente bellissima. Lavorò ancora Benedetto a concorrenza di Iacopo Sansovino e di Baccio Bandinelli, come si è detto, uno degli Apostoli di quattro braccia e mezzo per Santa Maria del Fiore, cioè un San Giovanni Evangelista, che è figura assai ragionevole e lavorata con buon disegno e pratica; la quale figura è nell'Opera in compagnia dell'altre. L'anno poi 1515 volendo i capi e ‘ maggiori dell'Ordine di Vallombrosa traslatar il corpo di San Giovanni Gualberto dalla badia di Passignano nella chiesa di Santa Trinita di Fiorenza, badia del medesimo Ordine, feciono fare a Benedetto il disegno, e metter mano a una cappella e sepoltura insieme, con grandissimo numero di figure tonde e grandi quanto il vivo, che accomodatamente venivano nel partimento di quell'opera in alcune nicchie tramezzate di pilastri, pieni di fregiature e di grottesche intagliate sottilmente; e sotto a tutta questa opera aveva ad essere un basamento alto un braccio e mezzo, dove andavano storie della vita di detto San Giovan Gualberto, et altri infiniti ornamenti avevano a essere intorno alla cassa e per finimento dell'opera. In questa sepoltura dunque lavorò Benedetto, aiutato da molti intagliatori, dieci anni continui, con grandissima spesa di quella Congregazione, e condusse a fine quel lavoro nelle case del Guarlone, luogo vicino a San Salvi fuor della Porta alla Croce, dove abitava quasi di continuo il generale di quell'Ordine che faceva far l'opera. Benedetto, dunque, condusse di maniera questa cappella e sepoltura che fece stupire Fiorenza. Ma come volle la sorte (essendo anco i marmi e l'opere egregie degl'uomini eccellenti sottoposte alla fortuna), essendosi fra que' monaci dopo molte discordie mutato governo, si rimase nel medesimo luogo quell'opera imperfetta insino al 1530; nel qual tempo essendo la guerra intorno a Fiorenza, furono da e' soldati guaste tante fatiche, e quelle teste, lavorate con tanta diligenza, spiccate empiamente da quelle figurine, et in modo rovinato e spezzato ogni cosa, che que' monaci hanno poi venduto il rimanente per piccolissimo prezzo: e chi ne vuole veder una parte, vada nell'Opera di Santa Maria del Fiore, dove ne sono alcuni pezzi, stati cómperi per marmi rotti, non sono molti anni, dai ministri di quel luogo. E nel vero, sì come si conduce ogni cosa a buon fine in que' monasteri e luoghi dove è la concordia e la pace, così per lo contrario dove non è se non ambizione e discordia, niuna cosa si conduce mai a perfezzione né a lodato fine, perché quanto acconcia un buono e savio in cento anni, tanto rovina un ignorante villano e pazzo in un giorno. E pare che la sorte voglia che bene spesso coloro che manco sanno e di niuna cosa virtuosa si dilettano, siano sempre quelli che comandino e governino, anzi rovinino ogni cosa; sì come anco disse de' principi secolari non meno dottamente che con verità l'Ariosto nel principio del XVII canto. Ma tornando a Benedetto, fu peccato grandissimo che tante sue fatiche e spese di quella Religione siano così sgraziatamente capitate male. Fu ordine et architettura del medesimo la porta e vestibulo della Badia di Firenze, e parimente alcune cappelle, e infra l'altre quella di Santo Stefano, fatta dalla famiglia de' Pandolfini. Fu ultimamente Benedetto condotto in Inghilterra a' servigi del re, al quale fece molti lavori di marmo e di bronzo, e particolarmente la sua sepoltura: delle quali opere, per la liberalità di quel re, cavò da poter vivere il rimanente della vita acconciamente; per che tornato a Firenze, dopo aver finito alcune piccole cose, le vertigini, che insino in Inghilterra gl'avevano cominciato a dar noia agl'occhi, et altri impedimenti causati, come si disse, dallo star troppo intorno al fuoco a fondere i metalli, o pure d[a] altre cagioni, gli levarono in poco tempo del tutto il lume degl'occhi; onde restò di lavorare intorno all'anno 1550, e di vivere pochi anni dopo. Portò Benedetto con buona e cristiana pacienza quella cecità negl'ultimi anni della sua vita, ringraziando Dio che prima gl'aveva proveduto, mediante le sue fatiche, da poter vivere onestamente. Fu Benedetto cortese e galantuomo e si dilettò sempre di praticare con uomini virtuosi. Il suo ritratto si è cavato da uno che fu fatto, quando egli era giovane, da Agnolo di Donino, il quale proprio è in sul nostro libro de' disegni, dove sono anco alcune carte di mano di Benedetto molto ben disegnate: il quale per queste opere merita di essere fra questi eccellenti artefici annoverato.