VITA DI BACCIO DA MONTELUPO scultore e di RAFFAELLO suo figliuolo
Quanto manco pensano i popoli che gli straccurati delle stesse arti che e' voglion fare, possino quelle già mai condurre ad alcuna perfezzione, tanto più, contra il giudizio di molti, imparò Baccio da Montelupo l'arte della scultura. E questo gli avvenne perché nella sua giovanezza, sviato da' piaceri, quasi mai non istudiava, et ancora che da molti fusse sgridato e sollecitato, nulla o poco stimava l'arte. Ma venuti gli anni della discrezione, i quali arrecano il senno seco, gli fecero subitamente conoscere quanto egli era lontano da la buona via; per il che vergognatosi dagli altri che in tale arte gli passavono innanzi, con bonissimo animo si propose seguitare et osservare con ogni studio quello che con la infingardaggine sino allora aveva fuggito. Questo pensiero fu cagione ch'egli fece nella scultura que' frutti che la credenza di molti da lui più non aspettava. Datosi dunque alla arte con tutte le forze, et esercitandosi molto in quella, divenne eccellente e raro. E ne mostrò saggio in una opera di pietra forte, lavorata di scarpello in Fiorenza sul cantone del giardino appiccato col palazzo de' Pucci, che fu l'arme di papa Leone X, dove son due fanciulli che la reggono, con bella maniera e pratica condotti. Fece uno Ercole per Pier Francesco de' Medici; e fugli allogato dall'Arte di Porta Santa Maria una statua di S. Giovanni Evangelista per farla di bronzo; la quale prima che avesse, ebbe assai contrarii, perché molti maestri fecero modelli a concorrenza: la quale figura fu posta poi sul canto di S. Michele in Orto, dirimpetto all'Ufficio. Fu questa opera finita da lui con somma diligenzia. Dicesi che quando egli ebbe fatto la figura di terra, chi vide l'ordine delle armadure e le forme fattele addosso, l'ebbe per cosa bellissima, considerando il bello ingegno di Baccio in tal cosa; e quegli che con tanta facilità la videro gettare, diedero a Baccio il titolo di avere con grandissima maestria saldissimamente fatto un bel getto. Le quali fatiche durate in quel mestiero, nome di buono, anzi di ottimo maestro gli diedero, e oggi più che mai da tutti gli artefici è tenuta bellissima questa figura. Mettendosi anco a lavorare di legno, intagliò Crocifissi grandi quanto il vivo; onde infinito numero per Italia ne fece, e fra gli altri uno a' frati di San Marco in Fiorenza sopra la porta del coro. Questi tutti sono ripieni di bonissima grazia: ma pure ve ne sono alcuni molto più perfetti degli altri, come quello delle Murate di Fiorenza, et uno che n'è in San Pietro Maggiore, non manco lodato di quello; et a' monaci di Santa Fiora e Lucilla ne fece un simile, che lo locarono sopra l'altar maggiore nella loro Badia in Arezzo, che è tenuto molto più bello degli altri. Nella venuta di papa Leone Decimo in Fiorenza fece Baccio, fra il palagio del Podestà e Badia, un arco trionfale bellissimo di legname e di terra, e molte cose piccole che si sono smarrite e sono per le case de' cittadini. Ma venutogli a noia lo stare a Fiorenza, se n'andò a Lucca, dove lavorò alcune opere di scultura, ma molte più d'architettura, in servigio di quella città; e particolarmente il bello e ben composto tempio di San Paulino, avvocato de' Lucchesi, con buona e dotta intelligenza di dentro e di fuori, e con molti ornamenti. Dimorando dunque in quella città infino a l'88 anno della sua età, vi finì il corso della vita; et in San Paulino predetto ebbe onorata sepoltura da coloro che egli aveva in vita onorato. Fu coetaneo di costui Agostino Milanese, scultore et intagliatore molto stimato, il quale in Santa Marta di Milano cominciò la sepoltura de monsignor di Fois, oggi rimasa imperfetta; nella quale si veggiono ancora molte figure grandi e finite, et alcune mezze fatte et abbozzate, con assai storie di mezzo rilievo in pezzi e non murate, e con moltissimi fogliami e trofei. Fece anco un'altra sepoltura, che è finita e murata in San Francesco, fatta a' Biraghi, con sei figure grandi et il basamento storiato, con altri bellissimi ornamenti che fanno fede della pratica e maestria di quel valoroso artefice. Lasciò Baccio alla morte sua, fra gl'altri figliuoli, Raffaello, che attese alla scultura, e non pure paragonò suo padre, ma lo passò di gran lunga. Questo Raffaello cominciando nella sua giovanezza a lavorare di terra, di cera e di bronzo, s'acquistò nome d'eccellente scultore, e perciò, essendo condotto da Antonio da San Gallo a Loreto insieme con molti altri per dar fine all'ornamento di quella camera secondo l'ordine lasciato da Andrea Sansovino, finì del tutto Raffaello lo Sposalizio di Nostra Donna, stato cominciato dal detto Sansovino, conducendo molte cose a perfezzione con bella maniera, parte sopra le bozze d'Andrea, parte di sua fantasia; onde fu meritamente stimato de' migliori artefici che vi lavorassino al tempo suo. Finita quell'opera, Michelagnolo mise mano, per ordine di papa Clemente Settimo, a dar fine, secondo l'ordine cominciato, alla sagrestia nuova et alla libreria di San Lorenzo di Firenze; onde Michelagnolo, conosciuta la virtù di Raffaello, si servì di lui in quell'opera, e fra l'altre cose gli fece fare, secondo il modello che n'aveva egli fatto, il San Damiano di marmo che è oggi in detta sagrestia, statua bellissima e sommamente lodata da ognuno. Dopo la morte di Clemente, trattenendosi Raffaello appresso al duca Alessandro de' Medici, che allora faceva edificare la fortezza del Prato, gli fece di pietra bigia in una punta del baluardo principale di detta fortezza, cioè dalla parte di fuori, l'arme di Carlo Quinto imperatore, tenuta da due Vittorie ignude e grandi quante il vivo, che furono e sono molto lodate; e nella punta d'un altro, cioè verso la città dalla parte di mezzogiorno, fece l'arme del detto duca Alessandro della medesima pietra con due figure. E non molto dopo lavorò un Crucifisso grande di legno per le monache di Santa Apollonia; e per Alessandro Antinori, allora nobilissimo e ricchissimo mercante fiorentino, nelle nozze d'una sua figliuola, un apparato ricchissimo con statue, storie e molti altri ornamenti bellissimi. Andato poi a Roma, dal Buonarroto gli furono fatte fare due figure di marmo, grandi braccia cinque, per la sepoltura di Giulio Secondo a San Pietro in Vincula, murata e finita allora da Michelagnolo. Ma amalandosi Raffaello mentre faceva questa opera, non poté mettervi quello studio e diligenza che era solito; onde ne perdé di grado, e sodisfece poco a Michelagnolo. Nella venuta di Carlo Quinto imperatore a Roma, facendo fare papa Paulo Terzo un apparato degno di quell'invittissimo principe, fece Raffaello in sul Ponte Santo Agnolo, di terra e stucchi, quattordici statue tanto belle ch'elle furono giudicate le migliori che fussero state fatte in quell'apparato; e che è più, le fece con tanta prestezza, che fu a tempo a venir a Firenze, dove si aspettava similmente l'imperatore, a fare nello spazio di cinque giorni e non più, in sulla coscia del Ponte a Santa Trinita, due Fiumi di terra di nove braccia l'uno, cioè il Reno per la Germania et il Danubio per l'Ungheria. Dopo, essendo condotto a Orvieto, fece di marmo in una capella, dove aveva prima fatto il Mosca, scultore eccellente, molti ornamenti bellissimi di mezzo rilievo, la storia de' Magi, che riuscì opera molto bella per la varietà di molte figure che egli vi fece con assai buona maniera. Tornato poi a Roma, da Tiberio Crispo, castellano allora di Castel Sant'Agnolo, fu fatto architetto di quella gran mole; onde egli vi acconciò et ornò molte stanze con intagli di molte pietre e mischî di diverse sorti ne' camini, finestre e porte. Fecegli oltre ciò una statua di marmo alta cinque braccia, cioè l'Angelo di Castello, che è in cima del torrion quadro di mezzo, dove sta lo stendardo, a similitudine di quello che apparve a San Gregorio, quando avendo pregato per il popolo oppresso da crudelissima pestilenza, lo vide rimettere la spada nella guaina. Appresso, essendo il detto Crispo fatto cardinale, mandò più volte Raffaello a Bolsena, dove fabricava un palazzo. Né passò molto che il reverendissimo cardinale Salviati e messer Baldassarri Turrini da Pescia diedero a fare a Raffaello, già toltosi da quella servitù del Castello e del cardinale Crispo, la statua di papa Leone, che è oggi sopra la sua sepoltura nella Minerva di Roma; e quella finita, fece Raffaello al detto messer Baldassarri per la chiesa di Pescia, dove aveva murato una capella di marmo, una sepoltura. E alla Consolazione di Roma fece tre figure di marmo di mezzo rilievo in una capella. Ma datosi poi a una certa vita più da filosofo che da scultore, si ridusse, amando di vivere quietamente, a Orvieto, dove presa la cura della fabrica di Santa Maria, vi fece molti acconcimi, trattenendovisi molti anni et invecchiando inanzi tempo. Credo che se Raffaello avesse preso a fare opere grandi, come arebbe potuto, arebbe fatto molto più cose e migliori che non fece nell'arte; ma l'esser egli troppo buono e rispettoso, fuggendo le noie e contentandosi di quel tanto che gli aveva la sorte proveduto, lasciò molte occasioni di fare opere segnalate. Disegnò Raffaello molto praticamente, et intese molto meglio le cose dell'arte che non aveva fatto Baccio suo padre; e di mano così dell'uno come dell'altro sono alcuni disegni del nostro libro, ma molto migliori sono e più graziosi e fatti con miglior arte quelli di Raffaello, il quale negl'ornamenti d'architettura seguitò assai la maniera di Michelagnolo, come ne fanno fede i camini e le porte e le finestre che egli fece in detto Castello Sant'Agnolo, et alcune capelle fatte di suo ordine a Orvieto di bella e rara maniera. Ma tornando a Baccio, dolse assai la sua morte ai Lucchesi, avendolo essi conosciuto giusto e buono uomo, e verso ognuno cortese et amorevole molto. Furono l'opere di Baccio circa gl'anni del Signore 1533. Fu suo grandissimo amico, e da lui imparò molte cose, Zaccaria da Volterra, che in Bologna ha molte cose lavorato di terracotta, delle quali alcune ne sono nella chiesa di San Giuseppo.