Biografie di Morto da Feltre * Feltro *

MORTO DA FELTRO pittore

Coloro che sono per natura di cervello capriccioso e fantastico sempre nuove cose ghiribizzano e cercano investigare, e coi pensieri strani e diversi dagli altri fanno l'opere loro piene e abondanti di novità, che spesso per il nuovo capriccio da loro trovato sono cagione agli altri di seguitargli; i quali di qualche novità più, se possono, cercano di passargli, di maniera che sono ammirati, e di grandissima lode nell'opre loro per ogni lingua vengono esaltati. Questo si vide nel Morto pittore da Feltro, il quale molto fu astratto nella vita come era nel cervello e nelle novità della maniera nelle grottesche ch'egli faceva, le quali furono cagione di farlo molto stimare. Condussesi Morto a Roma nella sua giovanezza in quel tempo che il Pinturicchio per Alessandro VI dipinse le camere papali, et in Castel Sant'Angelo molte altre logge e stanze da basso nel torrione, e sopra in altre camere. Per che egli, che era maninconica persona, di continuo alle anticaglie studiava, dove spartimenti di volte et ordini di facce alla grottesca vedendo e piacendogli, quelle sempre studiò; e sì i modi del girar le foglie anticamente prese, che di quella professione a nessuno era al suo tempo secondo. Per il che non restò di vedere sotto terra ciò che poté in Roma di grotte antiche et infinitissime volte. Stette a Tivoli molti mesi nella Villa Adriana, disegnando tutti i partimenti e grotte che sono in quella sotto e sopra terra; e sentendo egli che a Pozzuolo nel Regno, vicino a Napoli X miglia, erano infinite muraglie piene di grottesche fra di rilievo di stucchi e dipinte, antiche, tenute tutte bellissime, attese parecchi mesi in quel luogo a cotale studio; né restò che in Campana, strada antica in quel luogo piena di sepolture antiche, ogni minima cosa non disegnasse; et ancora al Trullo, vicino alla marina, molti di quei tempii e grotte sopra e sotto ritrasse. Andò a Baia et a Mercato di Sabato tutt'i luoghi pieni d'edificii guasti e storiati cercando, e con lunga et amorevole fatica di continuo in quella virtù crebbe infinitamente di valore e di sapere. Ritornò a Roma e quivi lavorò molti mesi, e attese alle figure, parendoli che di quella professione egli non fosse tale quale nel magisterio delle grottesche era tenuto. E poiché era venuto in questo desiderio sentendo i romori che in tale arte avevano Lionardo e Michele Agnolo per li loro cartoni fatti in Fiorenza, sùbito si mise per andare a Fiorenza; e vedute l'opere, non gli parve poter fare il medesimo miglioramento che nella prima professione aveva fatto. Laonde egli ritornò a lavorare alle sue grottesche. Era allora in Fiorenza Andrea di Cosmo pittor fiorentino, giovane diligente, il quale raccolse in casa il Morto e lo trattenne con molto amorevoli accoglienze; e piaciutoli i modi di tal professione, vòlto egli ancora l'animo a quello esercizio, e' riuscì molto valente, e più del Morto fu col tempo raro et in Fiorenza molto stimato. Per ch'egli fu cagione che il Morto dipignesse a Pier Soderini, allora gonfalonieri, la camera a quadri di grottesche, le quali bellissime furono tenute: ma oggi per racconciar le stanze del duca Cosimo state ruinate e rifatte. Fece a maestro Valerio frate de' Servi un vano d'una spalliera, che fu cosa bellissima; e similmente per Agnolo Doni, in una camera, molti quadri di variate e bizzarre grottesche. E perché si dilettava ancora di figure, lavorò alcuni tondi di Madonne, tentando se poteva in quelle divenir famoso come era tenuto. Per che venutogli a noia lo stare a Fiorenza, si transferì a Vinegia; e con Giorgione da Castelfranco, ch'allora lavorava il Fondaco de' Tedeschi, si mise ad aiutarlo, faccendo gli ornamenti di quella opera. Et in quella città dimorò molti mesi, tirato dai piaceri e dai diletti che per il corpo vi trovava. Poi se ne andò nel Friuli a fare opere; né molto vi stette, che faccendo i Signori viniziani soldati, egli prese danari, e senza avere molto esercitato quel mestiero fu fatto capitano di dugento soldati. Era allora lo essercito d'i Viniziani condottosi a Zara di Schiavonia, dove appiccandosi un giorno una grossa scaramuccia, il Morto, desideroso d'acquistar maggior nome in quella professione che nella pittura non aveva fatto, andando valorosamente innanzi e combattendo in quella baruffa, rimase morto, come nel nome era stato sempre, d'età d'anni XLV: ma non sarà già mai nella fama morto, perché coloro che l'opere della eternità nelle arti manovali esercitano e di loro lasciano memoria dopo la morte, non possono per alcun tempo già mai sentire la morte delle fatiche loro, perciò che gli scrittori grati fanno fede delle virtù di essi. Però molto deverebbono gli artefici nostri spronar se stessi con la frequenza degli studî per venire a quel fine che rimanesse ricordo di loro per opere e per scritti, perché ciò facendo darebbono anima e vita a loro et all'opere ch'essi lasciano dopo la morte. Ritrovò il Morto le grottesche più simili alla maniera antica ch'alcuno altro pittore; e per questo merita infinite lode, da che per il principio di lui sono oggi ridotte dalle mani di Giovanni da Udine e di altri artefici a tanta bellezza e bontà in questo mestiero. Per il che meritamente gli fu fatto questo epitaffio: MORTE HA MORTO NON ME, CHE IL MORTO SONO, MA IL CORPO, CHÉ MORIR FAMA PER MORTE NON PUÒ L'OPERE MIE VIVON PER SCORTE DE' VIVI, A CHI VIVENDO OR LE ABBANDONO.

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