Biografia di Francesco Raibolini detto il Francia * bolognese *

FRANCESCO FRANCIA BOLOGNESE pittore

Di gran danno fu sempre in ogni scienza il presumere di sé e non pensare che l'altrui fatiche possino avanzar di gran lunga le sue, e per natura e per arte avere dal cielo non solamente le doti eccellenti e rare, ma ancora prerogative di grazia, di agilità e di destrezza nell'operare molto maggiori che altri non ha. Perché alle volte s'incontra e vedesi l'opere di tale che mai non si sarebbe creduto essere sì belle e sì bene condotte, che lo ingannato dalla folle credenza sua ne rimane tinto di gran vergogna e tutto confuso. E quanti si sono trovati, che nel vedere l'opere d'altri per il dolore del rimanere adietro hanno fatto la mala fine? come è opinione di molti che intervenisse al Francia bolognese, pittore ne' tempi suoi tenuto tanto famoso che e' non pensò che altri non solo lo pareggiasse, ma si acostasse a gran pezzo a la gloria sua; ma vedendo poi l'opere di Raffaello da Urbino, sgannatosi finalmente di quello errore, ne abbandonò e l'arte e la vita. Dicesi che in Bologna, città molto magnifica, nacque l'anno MCCCCL Francesco Francia di persone artigiane e molto dabene, e nella sua fanciullezza fu posto a l'orefice per lo ingegno che e' mostrava et acuto e buono nelle sue azzioni. Crebbe di persona e di aspetto talmente ben proporzionato, e con un modo di parlare sì dolce e piacevole, che aveva forza di tenere allegro e senza pensieri qualunche più maninconico mentre durava il ragionamento; e fu tanto umano nella conversazione, che fu amato non solamente da molti prìncipi italiani, ma da tutti coloro che di lui ebbero cognizione. Attese mentre che egli faceva l'arte dell'orefice talmente al disegno e tanto gli piacque, che svegliatosi lo ingegno suo, che era capace di molte cose, vi fece dentro profitto grandissimo, come apparisce in Bologna sua patria per molti argenti in più luoghi, lavorati di niello con istorie di figure piccole, le quali furono sì sottilmente lavorate da lui che spesse volte metteva, in uno spazio di due dita d'altezza e poco più lungo, XX figurine proporzionatissime e belle. Lavorò di smalti ancora molte cose di argenti, guaste per le rovine de' Bentivogli e trafuggate nella partita loro. Legò molte gioie perfettamente, e d'ogni cosa che difficilmente si potesse lavorare in quel mestiero lavorò egli meglio che qualsivoglia eccellente orefice. Ma quello che gli dilettò sopra modo fu il fare i conii per le medaglie, i quali da nessuno meglio che dal Francia furono fatti ne' tempi suoi, come apparisce ancora in alcune medaglie fatte da lui naturalissime della testa di papa Iulio II, che stettono a paragone di quelle di Caradosso; oltra ch'e' fece le medaglie del signor Giovanni Bentivogli, che par vivo, e d'infiniti prìncipi, i quali nel passaggio di Bologna si fermavano, et egli faceva le medaglie ritratte in cera, e poi finite le madri de' conii, le mandava loro: di che, oltra la immortalità della fama, trasse ancora presenti grandissimi. Tenne continuamente mentre che e' visse la Zecca di Bologna e fece le stampe di tutti i conii per quella nel tempo che i Bentivogli reggevano, e poi che se n'andorono ancora mentre che visse papa Iulio, come ne rendono chiarezza le monete che il Papa gittò nella entrata sua, dove era da una banda la sua testa [di] naturale e da l'altra queste lettere: BONONIA PER IULIUM A TYRANNO LIBERATA. E fu talmente tenuto eccellente in questo mestiero che durò a far le stampe delle monete fino al tempo di papa Leone; e tanto sono in pregio le ‘npronte de' conii suoi, che chi ne ha le stima assai, né per danari se ne possono avere. Avenne che il Francia, desideroso di maggior gloria, avendo conosciuto Andrea Mantegna e molti altri pittori che avevano cavato de la loro arte e facultà et onori, deliberò provare se la pittura gli riuscisse nel colorito, avendo egli sì fatto disegno che e' poteva comparire largamente con quegli. E dato ordine a farne pruova, fece alcuni ritratti et altre cose piccole, tenendo in casa molti mesi persone del mestiero che gli insegnassino i modi e l'ordine del colorire, di maniera che egli, che aveva giudizio molto buono, vi fe' la pratica prestamente; e la prima opera che egli facesse fu una tavola non molto grande a messer Bartolomeo Felisini, che la pose nella Misericordia, chiesa fuor di Bologna; nella quale tavola è una Nostra Donna a sedere sopra una sedia con due figure per ogni lato, con il detto messer Bartolomeo ritratto di naturale, et è lavorata a olio con grandissima diligenzia; la quale opera cominciata fu da lui l'anno MCCCCXC. Piacque talmente questo lavoro in Bologna che messer Giovanni Bentivogli, desideroso di onorare con l'opere di questo nuovo pittore la cappella sua in San Iacopo di quella città, gli fece fare una tavola e dentro una Nostra Donna in aria e due figure per lato con due Angioli da basso che suonano; la quale opera fu tanto ben condotta dal Francia, ch'e' meritò da messer Giovanni, oltra le lode, un presente onoratissimo. Laonde incitato da questa opera, monsignore de' Bentivogli gli fece fare una tavola per mettersi a lo altar maggiore della Misericordia, che fu molto lodata, dentrovi la Natività di Cristo, dove oltre al disegno - che non è se non bello -, l'invenzione et il colorito molto diligente e migliore assai che li altri, vi fece monsignore ritratto di naturale molto simile, per quanto dice chi lo conobbe, et in quello abito stesso che egli, vestito da pellegrino, tornò di Ierusalemme. Fece similmente una tavola nelle chiesa della Nunziata fuor della Porta di San Mammolo, dentrovi quando la Nostra Donna è anunziata dall'Angelo, insieme con due figure per lato, tenuta cosa molto ben lavorata. Mentre dunque per l'opere del Francia era cresciuta la fama sua, deliberò egli, sì come il lavorare in olio li aveva dato fama et utile, di vedere se il medesimo gli riusciva nel lavoro in fresco. Aveva fatto messer Giovanni dipignere il suo palazzo a diversi maestri e ferraresi e di Bologna et alcuni altri modonesi, ma vedute le pruove del Francia a fresco deliberò che egli vi facessi una storia in una facciata d'una camera dove egli abitava per suo uso; nella quale fece il Francia il campo di Oloferne armato in diverse guardie aùppiedi et a cavallo che guardavano i padiglioni, e mentre che erano attenti ad altro, si vedeva il sonnolento Oloferne preso da una femmina soccinta in abito vedovile, la quale con la sinistra teneva i capegli sudati per il calore del vino e del sonno e con la destra vibrava il colpo per uccidere il nemico, mentreché una serva vecchia con crespe et aria veramente da serva fidatissima, intenta negli occhi della sua Iudit per inanimirla, chinata giù con la persona teneva bassa una sporta per ricevere in essa il capo del sonnacchioso amante Oloferne: storia che fu delle più belle e meglio condotte che il Francia facesse mai, la quale andò per terra nelle rovine di quello edifizio nella uscita de' Bentivogli, insieme con un'altra storia, sopra questa medesima camera contraffatta di colore di bronzo, d'una disputa di filosofi, molto eccellentemente lavorata et espressovi il suo concetto. Le quali opere furono cagione che messer Giovanni e quanti eran di quella casa lo amassino et onorassino, e dopo loro tutta quella città. Fece nella cappella di Santa Cecilia, attaccata con la chiesa di San Iacopo, due storie lavorate in fresco, in una delle quali dipinse quando la Nostra Donna è sposata da Giuseppo, e nell'altra fece la morte di Santa Cecilia, tenute cosa molto lodata da' Bolognesi. E nel vero il Francia prese tanta pratica e tanto animo nel veder comparirsi a perfezzione l'opere che egli voleva, che e' lavorò molte cose che io non ne farò memoria, bastandomi mostrare a chi vorrà veder l'opere sue solamente le più notabili e le migliori. Né per questo la pittura gl'impedì mai che egli non seguitasse e la zecca e l'altre cose delle medaglie, come e' faceva sino dal principio. Ebbe il Francia, secondo che si dice, grandissimo dispiacere de la partita di messer Giovanni Bentivogli, il quale avendogli fatti tanti benefizii, gli dolse infinitamente: ma pure, come savio e costumato che egli era, attese all'opere sue. Fece dopo la sua partita di quello tre tavole che andarono a Modena, in una delle quali era quando San Giovanni battezza Cristo, nell'altra una Nunziata bellissima, e nella ultima una Nostra Donna nell'aria con molte figure, la qual fu posta nella chiesa de' Frati de l'Osservanza. Spartasi dunque per cotante opere la fama di così eccellente maestro, facevano le città a gara per aver dell'opere sue. Laonde fece egli in Parma, ne' Frati di San Giovanni, una tavola con un Cristo morto in grembo alla Nostra Donna et intorno molte figure, tenuta universalmente cosa bellissima; e così trovandosi serviti, i medesimi frati operorono che egli facesse un'altra a Reggio di Lombardia in uno luogo loro, dove egli fece una Nostra Donna con molte figure. A Cesena fece un'altra tavola pure per la chiesa di questi frati, e vi dipinse la Circoncisione di Cristo colorito vagamente. Né volsono avere invidia i Ferraresi agli altri circonvicini, anzi diliberati ornare de le fatiche del Francia il lor Duomo, gli allogarono una tavola, che vi fece su un gran numero di figure, e la intitolorono la tavola di Ognisanti. Fecene in Bologna una in San Lorenzo con una Nostra Donna e due figure per banda e due putti sotto, molto lodata. Né ebbe appena finita questa, che gli convenne farne una altra in San Iobbe, con un Crocifisso e San Iobbe ginoc[c]hione appiè della croce e due figure da' lati. Era tanto sparsa la fama e l'opere di questo artefice per la Lombardia, che convenne mandare di Toscana ancora per qualcosa di suo, come fu in Lucca, dove andò una tavola dentrovi una Santa Anna e la Nostra Donna con molte altre figure, e sopra un Cristo morto in grembo alla Madre; la quale opera è posta nella chiesa di San Fidriano et è tenuta da que' Luc[c]hesi cosa molto degna. Fece in Bologna per la chiesa della Nunziata due altre tavole che furon molto diligentemente lavorate; e così, fuor della Porta a Stra' Castione, nella Misericordia ne fece una a requisizione d'una gentildonna de' Manzuoli; nella Compagnia di San Francesco nella medesima città ne fece un'altra; e similmente una ne la Compagnia di San Ieronimo. Aveva sua dimestichezza messer Polo Zambeccaro, e come amicissimo per ricordanza di lui gli fece fare un quadro assai grande, dentrovi una Natività di Cristo che è molto celebrata delle cose che egli fece; e per questa cagione messer Polo gli fece dipignere due figure in fresco alla sua villa, molto belle. Fece ancora in fresco una storia molto leggiadra in casa messer Ieronimo Bolognino con molte varie e bellissime figure. Le quali opere tutte insieme gli avevano recato una reverenzia in quella città, che v'era tenuto come uno Idio. E quello che gl[i]el'acrebbe infinito, fu che il duca d'Urbino gli fece dipignere un par di barde da cavallo, nelle quali fece una selva grandissima d'alberi che vi era appicciato il fuoco, e fuor di quella usciva quantità grande di tutti gli animali aerei e terrestri et alcune figure: cosa terribile, spaventosa e veramente bella, che fu stimata gran numero di danari per tempo consumatovi sopra nelle piume degli uc[c]elli e nelle altre razze degli animali terrestri, oltra le diversità delle frondi e rami diversi che nella varietà degli alberi si vedevano. La quale opera fu riconosciuta con doni di gran valuta per satisfare alle fatiche del Francia, oltra che il Duca sempre gli portò obligo per le lode che egli ne ricevé. Lavorò dopo queste una tavola in San Vitale et Agricola allo altare della Madonna, che vi è dentro due Angeli che suonano il liuto molto begli. Non conterò già i quadri che sono sparsi per Bologna in casa que' gentiluomini, e meno la infinità de' ritratti di naturale che egli fece, perché troppo sarei prolisso. Basti che mentre che egli era in cotanta gloria e godeva im pace le sue fatiche, era in Roma Raffaello da Urbino, e tutto il giorno gli venivano intorno molti forestieri, e fra gli altri molti gentiluomini bolognesi, per vedere l'opere di quello. E perché egli avviene il più delle volte che ognuno loda volentieri gli ingegni da casa sua, cominciarono questi Bolognesi con Raffaello a lodare l'opere, la vita e l'ec[c]ellenzia del Francia: e così feciono tra loro a parole tanta amicizia, che il Francia e Raffaello si salutaronno per lettere. Et udito il Francia tanta fama de le divine pitture di Raffaello, desiderava veder l'opere sue: ma già vecchio et agiato, si godeva la sua Bologna. Avvenne appresso che Raffaello fece in Roma per il cardinal Santi Quattro una tavola di Santa Cecilia che si aveva a mandare in Bologna per porsi in una cappella in San Giovanni in Monte, dove è la sepoltura della Beata Elena dall'Olio; et incassata la dirizzò al Francia, che come amico fatto già la dovesse porre in su lo altare di quella cappella con l'ornamento come l'aveva esso acconciato. Ebbelo molto caro il Francia per aver agio di poter veder l'opere di Raffaello, da lui anco bramate; et avendo aperta la lettera che gli scriveva Raffaello e dove e' lo pregava, se ci fusse nessun graffio, che e' l'acconciasse, e similmente, conoscendoci alcuno errore, come amico lo correggesse, fece con allegrezza grandissima ad un buon lume trarre de la cassa la detta tavola. Ma tanto fu lo stupore che e' ne ebbe e tanto grande la maraviglia, che conoscendo qui lo error suo e la stolta presunzione della folle credenza sua, si accorò di dolore e fra brevissimo tempo se ne morì. Era la tavola di Raffaello divina, e non dipinta ma viva, e talmente ben fatta e colorita da lui, che fra le belle che egli dipinse mentre visse, ancora che tutte siano miracolose, ben poteva chiamarsi rara. Laonde il Francia mezzo morto per il terrore e per la bellezza della pittura che era presente agli occhi et a paragone di quelle che intorno di sua mano si vedevano, tutto smarrito la fece con diligenzia porre in San Giovanni in Monte a quella cappella dove doveva stare; et entratosene fra pochi dì nel letto tutto fuori di se stesso, parendoli esser rimasto quasi nulla nell'arte appetto a quello che egli credeva e che egli era tenuto, di dolore e malinconia si morì, essendoli advenuto, nel troppo fisamente contemplare la vivissima pittura di Raffaello, quello che al Fivizano nel vagheggiare la sua bella Morte, de la quale è scritto questo epigramma: ME VERAM PICTOR DIVINUS MENTE RECEPIT. ADMOTA EST OPERI DEINDE PERITA MANUS. DUMQUE OPERE IN FACTO DEFIGIT LUMINA PICTOR INTENTUS NIMIUM PALLUIT ET MORITUR. VIVA IGITUR SUM MORS NON MORTUA MORTIS IMAGO SI FUNGOR QUO MORS FUNGITUR OFFICIO. Tuttavolta dicono alcuni altri che la morte sua fu sì sùbita, che a molti segni apparì più tosto veleno. Fu il Francia uomo savissimo in vita e regolatissimo del vivere e di buone forze; e fu sepolto onoratissimamente dai suoi figliuoli in Bologna l'anno MDXVIII. E per le sue virtù fu onorato dapoi con questo epitaffio: CHE PUÒ PIÙ FAR NATURA SE IL BEL DI LEI PIÙ BELLO HO MESSO IN ATTO? E QUEL CHE AVEA DISFATTO LA MORTE E IL TEMPO VIVE E PER ME DURA.

<< prec succ >>

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