Introduzione alle tre arti del disegno. Architettura. Cap. III * teoriche *

Cap. III
De' cinque ordini d'architettura: rustico, dorico, ionico, corinto, composto, e del lavoro tedesco.

Il lavoro chiamato rustico è più nano di tutti gli altri e di più grossezza che tutti gli altri, per essere il principio e fondamento di tutti gli altri ordini; e si fa nelle modanature delle cornici più semplici, così ne' capitelli o base et in ogni suo membro. I suoi zoccoli, o piedistalli che gli vogliam chiamare, dove posano le colonne, sono quadri di proporzione, con l'avere da piè la sua fascia soda e così un'altra di sopra che lo ricinga in cambio di cornice. L'altezza della sua colonna si fa di sei teste, a imitazione di persone nane e atte a regger peso; e di questa sorte se ne vede in Toscana molte logge pulite et alla rustica, con bozze e nicchie fra le colonne e senza, e così molti portichi che gli costumarono gli antichi nelle lor ville, et in campagna se ne vede ancora molte sepolture, come a Tigoli et a Pozzuolo. Servironsi di questo ordine gli antichi per porte, finestre, ponti, acquidotti, erarii da conservar tesori, castelli, torri e rocche da conservar munizion[e] e artiglieria, e porti di mare, prigioni e fortezze, dove si fa cantonate a punte di diamanti et a più facce bellissime. E di questa opera n'è molto per le ville de' fiorentini, portoni, entrate, e case e palazzi dove e' villeggiono, che non solo recano bellezza et ornamento infinito a quel contado, ma utilità e comodo grandissimo ai cittadini. Ma molto più è dotata la città di fabriche stupendissime fatte di bozze, come quella di casa Medici, la facciata del palazzo de' Pitti, quello degli Strozzi et altri infiniti. Questa sorte di edificii tanto quanto più sodi e semplici si fanno e con buon disegno, tanto più maestria e bellezza vi si conosce dentro; et è necessario che questa sorte di fabrica sia più eterna e durabile di tutte l'altre, avvengaché sono i pezzi delle pietre maggiori e molto miglior' commettiture dove si va collegando tutta la fabrica con una pietra che lega l'altra pietra. E perché elle son pulite e sode di membri, non hanno possanza i casi di fortuna o del tempo nuocergli tanto rigidamente quanto fanno alle altre pietre intagliate e traforate o, come dicono i nostri, campate in aria dalla diligenza degli intagliatori. L'ordine dorico fu il più massiccio che avessero i Greci e più robusto di fortezza e di corpo, e molto più degli altri loro ordini collegato insieme; e non solo i Greci ma i Romani ancora dedicarono questa sorte di edificii a quelle persone ch'erano armigeri, come imperatori degli esserciti, consoli e pretori, ma agli Dei loro molto maggiormente, come a Giove, Marte, Ercole et altri, avendo sempre avvertenza di distinguere, secondo il lor genere, la differenza della fabrica o pulita o intagliata o più semplice o più ricca, acciò che si potesse conoscere dagli altri il grado e la differenza fra gl'imperatori o di chi faceva fabricare. Diremo adunque che questa sorte di lavoro si può usare solo da sé et ancora metterlo nel secondo ordine da basso sopra il rustico, et alzando mettervi sopra uno altro ordine variato, come ionico o corinto o composto, nella maniera che mostrarono gli antichi nel Culiseo di Roma, nel quale ordinatamente usarono arte e giudicio. Perché, avendo i Romani trionfato non solo de' Greci ma di tutto il mondo, misero l'opra composta in cima, per averla i Toscani composta di più maniere, e la misero sopra tutte come superiore e di forza e di bellezza e come più apparente de le altre avendo a far corona allo edificio, ché, per essere ornata di be' membri, fa nell'opra un finimento onoratissimo e da non desiderarlo altrimenti. E per tornare al lavoro dorico, dico che la colonna si fa di sette teste di altezza, et il suo zoccolo ha da essere poco manco d'un quadro e me[z]zo d'altezza e larghezza un quadro, facendoli poi sopra le sue cornici e di sotto la sua fascia col bastone e duo piani, secondo che tratta Vitruvio; e la sua base e capitello tanto d'altezza una quanto l'altra, computando del capitello dal collarino in su; la cornice sua col fregio et architrave appiccata, risaltando a ogni dirittura di colonna con que' canali che gli chiamano tigrifi ordinariamente, che vengono partiti fra un risalto e l'altro un quadro, dentrovi o teste di buoi secche o trofei o maschere o targhe o altre fantasie. Serra l'architrave risaltando con una lista i risalti, e da piè fa un pianetto sottile tanto quanto tiene il risalto, a piè del quale fanno sei campanelle per ciascuno chiamate gocce dagli antichi. E se si ha da vedere la colonna accanalata nel dorico, vogliono essere venti facce in cambio de' canali, e non rimanere fra canale e canale altro che il canto vivo. Di questa ragione opera n'è in Roma al Foro Boario ch'è ricchissima, e d'un'altra sorte le cornici egli altri membri al Teatro di Marcello, dove oggi è la piazza Montanara, nella quale opera non si vede base e quelle che si veggono son corinte. Et è openione che gli antichi non le facessero et in quello scambio vi mettessero un dado tanto grande quanto teneva la base; e di questo n'è il riscontro a Roma al Carcere Tulliano, dove son capitelli ricchi di membri più che gli altri che si sian visti nel dorico. Di questo ordine medesimo n'ha fatto Antonio da San Gallo il cortile di casa Farnese in Campo di Fiore a Roma, il quale è molto ornato e bello, benché continuamente si vede di questa maniera tempii antichi e moderni, così palazzi, i quali per la sodezza e collegazione delle pietre son durati e mantenuti più che non hanno fatto tutti gli altri edificii. L'ordine ionico, per essere più svelto del dorico, fu fatto dagli antichi a imitazione delle persone che sono fra il tenero e il robusto, e di questo rende testimonio lo averlo essi adoperato e messo in opera ad Apolline, a Diana et a Bacco e qualche volta a Venere. Il zoccolo che regge la sua colonna lo fanno alto un quadro e mezzo e largo un quadro, e le cornici sue di sopra e di sotto secondo questo ordine. La sua colonna è alta otto teste e la sua base è doppia con due bastoni, come la descrive Vitruvio al terzo libro al terzo capo, et il suo capitello sia ben girato con le sue volute o cartocci o viticci che ognun se gli chiami, come si vede al Teatro di Marcello in Roma sopra l'ordine dorico; così la sua cornice adorna di mensole e di dentelli, et il suo fregio con un poco di corpo tondo. E volendo accanalare le colonne, vogliono essere il numero d'i canali ventiquat[t]ro, ma spartiti talmente che ci resti fra l'un canale e l'altro la quarta parte del canale che serva per piano. Questo ordine ha in sé bellissima grazia e leggiadria, e se ne costuma molto fra gli architetti moderni. Il lavoro corinto piacque universalmente molto a' Romani, e se ne dilettarono tanto ch'e' fecero di questo ordine le più ornate et onorate fabriche per lasciar memoria di loro - come appare nel tempio di Tigoli in sul Teverone e le spoglie di Templum Pacis e l'arco di Pola e quel del porto d'Ancona, ma molto più è bello il Panteon, cioè la Ritonda di Roma -, il quale è il più ricco e ‘l più ornato di tutti gli ordini detti di sopra. Fassi il zoccolo che regge la colonna di questa maniera largo un quadro e due terzi, e la cornice di sopra e di sotto a proporzione, secondo Vitruvio; fassi l'altezza della colonna nove teste con la sua basa e capitello, il quale sarà d'altezza tutta la grossezza della colonna da piè, e la sua base sarà la metà di detta grossezza, la quale usaron gli antichi intagliare in diversi modi. E l'ornamento del capitello sia fatto co' suoi vilucchi e le sue foglie, secondo che scrive Vitruvio nel quarto libro, dove egli fa ricordo essere stato tolto questo capitello da la sepoltura d'una fanciulla corinta. Séguitisi il suo architrave, fregio e cornice con le misure descritte da lui, tutte intagliate con le mensole et uovoli et altre sorti d'intagli sotto il gocciolatoio. E i fregi di questa opera si possono fare intagliati tutti con fogliami et ancora farne de' puliti overo con lettere dentro, come erano quelle al portico della Ritonda, di bronzo commesse nel marmo. Sono i canali nelle colonne di questa sorte a numero ventisei, benché n'è di manco ancora; et è la quarta parte del canale fra l'uno e l'altro che resta piano, come benissimo appare in molte opere antiche e moderne misurate da quelle. L'ordine composto, se ben Vitru[v]io non ne ha fatto menzione (non facendo egli conto d'altro che dell'opera dorica, ionica, corintia e toscana, tenendo troppo licenziosi coloro che, pigliando di tutt'e quattro quegli ordini, ne facessero corpi che gli rappresentassero più tosto mostri che uomini), per averlo costumato molto i Romani et a loro imitazione i moderni, non mancherò di questo ancora, acciò se n'abbia notizia, dichiarare e formare il corpo di questa proporzione di fabrica; credendo questo, che se i Greci e i Romani formarono que' primi quattro ordini e gli ridussero a misura e regola generale, che ci possino essere stati di quegli che abbino fin qui fatto nell'ordine composto, e componendo da sé, delle cose che apportino molto più grazia che non fanno le antiche. E per questo è scorso l'uso, che già è nominato questo ordine da alcuni composto, da altri latino e per alcuni altri italico. La misura dell'altezza di questa colonna vuole essere dieci teste, la base sia per la metà della grossezza della colonna e misurata simile alla corinta, come ne appare in Roma all'arco di Tito Vespasiano. E chi vorrà far canali in questa colonna, può fargli simili alla ionica o come la corinta o come sarà l'animo di chi farà l'architettura di questo corpo, ch'è misto con tutti gli ordini. I capitelli si posson fare simili ai corinti, salvo che vogliono essere più la cimasa del capitello e le volute o viticci alquanto più grandi, come si vede all'arco suddetto. L'architrave sia tre quarti della grossezza della colonna et il fregio abbia il resto pien di mensole, e la cornice quanto l'architrave, ché l'ag[g]etto la fa diventar maggiore, come si vede nell'ordine ultimo del Culiseo di Roma; et in dette mensole si posson far canali a uso di tigrifi et altri intagli secondo il parere dell'architetto; et il zoccolo, dove posa su la colonna, ha da essere alto due quadri, e così le sue cornici a sua fantasia o come gli verrà d'animo di farle. Usavano gli antichi o per porte o sepolture o altre specie d'ornamenti, in cambio di colonne, termini di varie sorti: chi una figura ch'abbia una cesta in capo per capitello, altri una figura fino a mezzo et il resto, verso la base, piramide overo bronconi d'alberi; e di questa sorte facevano vergini, satiri, putti et altre sorti di mostri o che biz[z]arrie gli veniva loro comodo: secondo che nasceva loro nella fantasia le mettevano in opera. Ècci un'altra specie di lavori che si chiamano tedeschi, i quali sono di ornamenti e di proporzione molto differenti dagli antichi e da' moderni; né oggi s'usano per gli eccellenti, ma son fuggiti da loro come mostruosi e barbari, dimenticando ogni lor cosa di ordine - che più tosto confusione o disordine si può chiamare -, avendo fatto nelle lor fabriche, che son tante ch'ànno ammorbato il mondo, le porte ornate di colonne sottili et attorte a uso di vite, le quali non possono aver forza a reggere il peso di che leggerezza si sia. E così per tutte le facce et altri loro ornamenti facevano una maledizzione di tabernacolini l'un sopra l'altro, con tante piramidi e punte e foglie, che, non ch'elle possano stare, pare impossibile ch'elle si possino reggere, et hanno più il modo da parer fatte di carta che di pietre o di marmi. Et in queste opere facevano tanti risalti, rotture, mensoline e viticci che sproporzionavano quelle opere che facevano, e spesso con mettere cosa sopra cosa andavano in tanta altezza che la fine d'una porta toccava loro il tetto. Questa maniera fu trovata dai Goti che, per aver ruinate le fabriche antiche e morti gli architetti per le guerre, fecero dopo, chi rimase, le fabriche di questa maniera a le quali girarono le volte con quarti acuti, e riempierono tutta Italia di questa maledizzione di fabriche, che, per non averne a far più, s'è dismesso ogni modo loro. E Iddio scampi ogni paese da venir tal pensiero et ordine di lavori, che, per essere eglino talmente difformi alla bellezza delle fabriche nostre, meritano che non se ne favelli più che questo. E però passiamo a dire delle volte.

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