Biografia di Margaritone d'Arezzo * aretino *

VITA DI MARGARITONE pittore, scultore et architetto aretino

Fra gl'altri vecchi pittori ne' quali misero molto spavento le lodi che dagl'uomini meritamente si davano a Cimabue et a Giotto suo discepolo, de' quali il buono operare nella pittura faceva chiaro il grido per tutta Italia, fu uno Margaritone aretino pittore, il quale, con gl'altri che in quell'infelice secolo tenevano il supremo grado nella pittura, conobbe che l'opere di coloro oscuravano poco meno che del tutto la fama sua. Essendo dunque Margaritone fra gl'altri pittori di que' tempi che lavoravano alla greca tenuto eccellente, lavorò a tempera in Arezzo molte tavole, et a fresco, ma in molto tempo e con molta fatica, in più quadri, quasi tutta la chiesa di S. Clemente, badia dell'Ordine di Camaldoli, oggi rovinata e spianata tutta insieme con molti altri edifizii e con una roccaforte chiamata S. Chimenti, per avere il duca Cosimo de' Medici non solo in quel luogo, ma intorno intorno a quella città, disfatto con molti edifizii le mura vecchie che da Guido Pietramalesco, già vescovo e padrone di quella città, furono rifatte, per rifarle con fianchi e baluardi intorno intorno molto più gagliarde e minori di quello che erano, e per conseguente più atte a guardarsi e da poca gente. Erano ne' detti quadri molte figure piccole e grandi, e comeché fussero lavorate alla greca, si conosceva nondimeno ch'ell'erano state fatte con buon giudizio e con amore, come possono far fede l'opere che di mano del medesimo sono rimase in quella città e massimamente una tavola che è ora in S. Francesco, con uno ornamento moderno, nella capella della Concezzione, dove è una Madonna tenuta da' que' frati in gran venerazione. Fece nella medesima chiesa, pure alla greca, un Crucifisso grande (oggi posto in quella capella dove è la stanza degl'Operai) il quale à in su l'asse dintornata la croce; e di questa sorte ne fece molti in quella città. Lavorò nelle Monache di S. Margherita un'opera che oggi è appoggiata al tramezzo della chiesa, cioè una tela confitta sopra una tavola, dove sono storie di figure piccole della vita di Nostra Donna e di S. Giovanni Battista, d'assai migliore maniera che le grandi e con più diligenza e grazia condotte; della quale opera è da tener conto, non solo perché le dette figure piccole sono tanto ben fatte che paiono di minio, ma ancora per essere una maraviglia vedere un lavoro in tela lina essersi trecento anni conservato. Fece per tutta la città pitture infinite, et a Sargiano, convento de' Frati de' Zoccoli, in una tavola, un S. Francesco ritratto di naturale, ponendovi il nome suo come in opera, a giudizio suo, da lui più del solito ben lavorata. Avendo poi fatto in legno un Crucifisso grande dipinto alla greca, lo mandò in Firenze a messer Farinata degl'Uberti, famosissimo cittadino per avere, fra molte altre opere egregie, da soprastante rovina e pericolo la sua patria liberato. Questo Crucifisso è oggi in S. Croce tra la capella de' Peruzzi e quella de' Giugni. In S. Domenico d'Arezzo, chiesa e convento fabricato dai signori di Pietramala l'anno 1275 come dimostrano ancora l'insegne loro, lavorò molte cose prima ch'e' tornasse a Roma, dove già era stato molto grato a papa Urbano Quarto, per fare alcune cose a fresco di commessione Sua nel portico di S. Piero, che di maniera greca, secondo que' tempi, furono ragionevoli. Avendo poi fatto a Ganghereto, luogo sopra Terranuova di Valdarno, una tavola di S. Francesco, si diede, avendo lo spirito elevato, alla scultura, e ciò con tanto studio che riuscì molto meglio che non aveva fatto nella pittura; perché se bene furono le sue prime sculture alla greca, come ne mostrano quattro figure di legno che sono nella Pieve in un Deposto di croce et alcune altre figure tonde poste nella capella di S. Francesco sopra il battesimo, egli prese nondimeno miglior maniera poi che ebbe in Firenze veduto l'opere d'Arnolfo e degl'altri allora più famosi scultori. Onde, tornato in Arezzo l'anno 1275 dietro alla corte di papa Gregorio che tornando d'Avignone a Roma passò per Firenze, se gli porse occasione di farsi maggiormente conoscere: perché essendo quel Papa morto in Arezzo, dopo l'aver donato al Comune trentamila scudi perché finisse la fabrica del Vescovado (già stata cominciata da maestro Lapo e poco tirata inanzi), ordinarono gl'Aretini, oltre all'avere fatto per memoria di detto Pontefice in Vescovado la capella di S. Gregorio dove col tempo Margaritone fece una tavola, che dal medesimo gli fusse fatta di marmo una sepultura nel detto Vescovado; alla quale messo mano, la condusse in modo a fine, col farvi il ritratto del Papa di naturale - di marmo e di pittura -, ch'ella fu tenuta la migliore opera che avesse ancora fatto mai. Dopo, rimettendosi mano alla fabrica del Vescovado, la condusse Margaritone molto inanzi seguitando il disegno di Lapo, ma non però se le diede fine, perché rinovandosi pochi anni poi la guerra tra i Fiorentini e gl'Aretini, il che fu l'anno 1289, per colpa di Guglielmino Ubertini vescovo e signore d'Arezzo aiutato dai Tarlati da Pietramala e da' Pazzi di Valdarno, comeché male glien'avvenisse essendo stati rotti e morti a Campaldino, furono spesi in quella guerra tutti i danari lasciati dal Papa alla fabrica del Vescovado. E perciò fu ordinato poi dagl'Aretini che in quel cambio servisse il danno dato del contado (così chiamano un dazio) per entrata particolar di quell'opera, il che è durato sino a oggi e dura ancora. Ora, tornando a Margaritone, per quello che si vede nelle sue opere, quanto alla pittura, egli fu il primo che considerasse quello che bisogna fare quando si lavora in tavole di legno perché stiano ferme nelle commettiture e non mostrino, aprendosi poi che sono dipinte, fessure e squarti, avendo egli usato di mettere sempre sopra le tavole per tutto una tela di panno lino, apiccata con forte colla fatta con ritagli di cartapecora e bollita al fuoco, e poi sopra detta tela dato di gesso, come in molte sue tavole e d'altri si vede. Lavorò ancora sopra il gesso, stemperato con la medesima colla, fregi e diademe di rilievo et altri ornamenti tondi, e fu egli inventore del modo di dare di bolo e mettervi sopra l'oro in foglie e brunirlo. Le quali tutte cose, non essendo mai prima state vedute, si veggiono in molte opere sue e particolarmente nella Pieve d'Arezzo, in un dossale dove sono storie di S. Donato, et in S. Agnesa et in S. Niccolò della medesima città. Lavorò finalmente molte opere nella sua patria che andarono fuori, parte delle quali sono a Roma in S. Ianni et in S. Piero e parte in Pisa in S. Catarina, dove, nel tramezzo della chiesa, è appoggiata sopra un altare una tavola dentrovi S. Caterina e molte storie in figure piccole della sua vita, et in una tavoletta un S. Francesco con molte storie in campo d'oro; e nella chiesa di sopra di San Francesco d'Ascesi è un Crucifisso di sua mano dipinto alla greca, sopra un legno, che attraversa la chiesa. Le quali tutte opere furono in gran pregio appresso i popoli di quell'età, se bene oggi da noi non sono stimate se non come cose vecchie e buone quando l'arte non era, come è oggi, nel suo colmo. E perché attese Margaritone anco all'architettura, se bene non ho fatto menzione d'alcune cose fatte col suo disegno perché non sono d'importanza, non tacerò già che egli, secondo ch'io truovo, fece il disegno e modello del palazzo de' Governatori della città d'Ancona alla maniera greca l'anno 1270, e, che è più, fece di scultura nella facciata principale otto finestre, delle quali ha ciascuna nel vano del mezzo due colonne che a mezzo sostengono due archi, sopra i quali ha ciascuna fenestra una storia di mezzo rilievo che tiene dai detti piccioli archi insino al sommo della finestra: una storia, dico, del Testamento Vecchio intagliata in una sorte di pietra ch'è in quel paese. Sotto le dette finestre sono nella facciata alcune lettere che s'intendono più per discrezione che perché siano o in buona forma o rettamente scritte, nelle quali si legge il millesimo et al tempo di chi fu fatta questa opera. Fu anco di mano del medesimo il disegno della chiesa di S. C[i]riaco d'Ancona. Morì Margaritone d'anni LXXVII, infastidito, per quel che si disse, d'esser tanto vivuto, vedendo variata l'età e gl'onori negl'artefici nuovi. Fu sepolto nel Duomo Vecchio fuor d'Arezzo in una cassa di trevertino, oggi andat'a male nelle rovine di quel tempio. E gli fu fatto questo epitaffio: HIC IACET ILLE BONUS PICTURA MARGARITONUS CUI REQUIEM DOMINUS TRADAT UBIQUE PIUS. Il ritratto di Margaritone era nel detto Duomo Vecchio di mano di Spinello nell'istoria de' Magi, e fu da me ricavato prima che fusse quel tempio rovinato. Fine della Vita di Margaritone.

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