Biografia di Alfonso Lombardi

ALFONSO LOMBARDI FERRARESE scultore

Egli non è dubbio alcuno nelle persone sapute che la eccellenza del far loro non sia tenuta qualche tempo ascosa e dalla fortuna abbat[t]uta: ma il tempo fa talora venire a luce la verità insieme con la virtù, che delle fatiche passate e di quelle che vengono gli remunera con onore, e son quegli che valenti e maravigliosi fra gli artefici nostri teniamo. Perciò che è necessario in ogni professione che la povertà negli animi nobili combatta di continuo, e massimamente negli anni che il fiore della giovanezza di coloro che studiano fa deviare, o per cagione d'amore o per altri piaceri che lo animo dilettano e la dolcezza della figura pascono; le quali dolcezze, passato la prima scorza, più oltre al buono non penetrano, ma in amaritudine si convertono. Non fanno già così le virtù che si imparano, le quali di continuo, in quelle operando, ti pongono in cielo, e per l'ambizione della fama e della gloria in sublime et onorato grado vivo e morto ti mantengono. Questo lo provò Alfonso Ferrarese nella sua giovanezza, che di stucchi di cera fece ritratti di naturale infinitissimi in medagliette piccole, et in tai cose sì raro et eccellente fu tenuto, che continuando in quello, a luce fuor di Ferrara sua patria in Bologna pervenne; nella quale fece in San Michele in Bosco la sepoltura di Ramazzotto, onde acquistò grandissimo nome. Fece similmente in quella città alcune storiette di marmo di mezzo rilievo all'arca di San Domenico nella predella dello altare, le quali grandissima riputazione gli diedero. Per che continuando, fece alcune altre storiette per la porta di San Petronio, a man sinistra all'entrare di chiesa, con una Resuressione di Cristo lavorata di marmo. Ma quello ch'a' Bolognesi fu grato e gli donò nome d'eccellente, fu una opera di mistura d'uno stucco molto forte, nel quale fece la morte di Nostra Donna, con gli Apostoli in figure tonde, e col Giudeo che lascia appiccate le mani al cataletto della Madonna: la quale opera si vede nello Spedal della Morte, su la piazza di San Petronio, nella stanza di sopra. Certamente in questa opera Alfonso talmente lavorò con amore e con diligenza, che non manco fama e nome per questa s'acquistò che per le medaglie s'avesse procacciato. Di questo medesimo stucco si veggono ancora di suo alcune cose a Castel Bolognese, et alcune a Cesena nella Compagnia di San Giovanni. Sono in Bologna molte altre cose sue, smarrite in più persone, per essersi egli dilettato far cose di cera, di stucco e di terra più che di marmo, attesoché Alfonso, uscito fuora d'una certa sua età, sendo assai bello di persona e d'aspetto gioviale, esercitò l'arte più per delicatezza che per iscarpellar sassi; e soleva sì adornare la persona sua d'ornamenti d'oro e d'altre frascherie, che più tosto aveva l'animo inchinato alla corte ch'alle fatiche della scultura. Con ciò sia che invaghito di se medesimo, usò termini poco convenienti a virtuoso et artefice; sì come a certe nozze che faceva un conte una sera trovandosi Alfonso, et avendo fatto all'amore con una grandissima gentildonna, fu per aventura da lei levato al ballo della torcia; per il che aggirandosi egli e vinto da smania d'amore, guardò con occhi pieni di dolcezza verso la sua donna sospirando, e disse in voce tutto tremante: "S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento?" Laonde volendoli quella donna, che accortissima era, mostrar l'error suo, gli rispose: "E' sarà qualche pidocchio". Onde di questo motto s'empié tutta Bologna et egli sempre ne rimase scornato. E veramente se Alfonso alle fatiche dell'arte e non alle vanità del mondo avesse dato opera, averebbe senza dubbio fatto cose di infinita maraviglia, perché, se ciò faceva non esercitando, molto meglio fatte l'avrebbe s'essercitato si fosse. Venne in questo tempo l'imperator Carlo V a Bologna; per che Tiziano da Cador, pittore eccellentissimo, venne a ritrarre Sua Maestà: onde ebbe Alfonso anch'egli via d'entrare per mez[z]o di Tiziano, e di rilievo cominciò un ritratto quanto il vivo di quegli stucchi. E tanto con grazia espresse la effigie di quello, che oltre il nome che in quella cosa acquistò, de' mille scudi che l'imperatore donò a Tiziano, esso n'ebbe in sua parte cinquecento. La quale riputazione et opera lo fece molto grato al cardinale Ippolito de' Medici, il quale con ogni instanza lo condusse a Roma; e quivi dimorando ebbe tutti i favori che e' volse da quel signore, il quale aveva allora in casa sua infinità di pittori e scultori e d'altri virtuosi. Laonde egli in grandissima aspettazione era tenuto. Fece di marmo e ritrasse da una testa antica Vitellio imperatore, e la condusse perfettamente; la qual cosa gli confermò il nome e gli accrebbe grado con quel signore et insieme con tutta Roma. Fece ancora una testa di marmo bellissima, nella quale di naturale ritrasse papa Clemente VII, e grandissimi doni per quella ricevette, et ancora un Giuliano de' Medici padre del cardinale, che non fu finita. Le quali furono vendute a Roma e da me comperate a requisizione del magnifico Ottaviano de' Medici con altre pitture, et oggi dal duca Cosimo de' Medici sono poste nella villa di Castello sopra certe porte. Venne in quel tempo la morte di papa Clemente, e fu necessario far la sepoltura di Leone e la sua; per il che Alfonso ebbe a far tal lavoro dal cardinale de' Medici. Onde furono fatti alcuni schizzi de l'ordine da Michele Agnolo Buonarroti, et Alfonso fece un modello sopra quelli con figure di cera, che fu tenuto cosa bellissima; e preso danari andò a Carrara per cavar marmi. Ma non andò molto che il cardinale, partito di Roma per andare in Africa, morì ad Itri; onde Alfonso rimaso in tale opra intricato, fu da que' cardinali che erano commissarii di tale opera ributtato, i quali furono Salviati, Ridolfi, Pucci, Cibo e Gaddi, talché per il favore di madonna Lucrezia de' Salviati fu ordinato che Baccio Bandinelli scultor fiorentino facesse tale opra, per averne egli fino in vita di Clemente fatto i modelli. Per la qual cosa Alfonso mezzo fuor di sé, posta giù l'alterezza, si dispose ritornarsene a Bologna. Onde da Roma partito et in Fiorenza arrivato, fece riverenza al duca Alessandro, e gli donò una bellissima testa di marmo che aveva fatto per il cardinale, la quale è oggi in guardarobba del duca Cosimo; e prese assunto di ritrarre il Duca, il quale era allora in uno umore che si fece ritrarre a orefici fiorentini e forestieri ancora: fra i quali lo ritrasse Domenico di Polo intagliator di ruote, Francesco di Girolamo da Prato in medaglie, e Benvenuto per le monete, così di pittura Giorgio Vasari aretino et Iacopo da Puntormo, che fece un ritratto certo bellissimo; di rilievo lo fece il Danese da Carrara, et altri infiniti. Ma quello che avanzò tutti fu Alfonso, perché gli fu dato comodità, poi che e' voleva andare a Bologna, che egli ne facesse uno di marmo come il modello. Perciò rimunerò il duca Alessandro Alfonso, et egli a Bologna se ne tornò; dove essendo già per la morte del cardinale poco contento, e per la perdita della sepoltura molto dolente, gli venne un male di rogna pestifera et incurabile, che a poco a poco l'andò consumando, finché egli, condottosi già a 49 anni di sua età, passò di questa vita, continuamente dolendosi con dire che la felicità di sì alto signore, con cui la fortuna l'aveva posto, averebbe potuto chiudergli gli occhi in quel tempo, inanzi che di sé vedesse sì miserabil fine. Morì Alfonso l'anno MDXXXVI.

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