Biografie di diversi artisti

Vive anco in Roma, e certo è molto eccellente nella sua professione, Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale, se bene si è detto alcuna cosa nella Vita di Perino del Vaga, di cui fu discepolo e l'aiutò nell'opere di Castel Sant'Agnolo e molte altre, non sia però se non bene dirne anco qui quanto la sua molta virtù merita veramente. Fra le prime opere adunque che costui fece da sé fu una tavola, alta dodici palmi, che egli fece a olio di venti anni, la quale è oggi nella Badia di Santo Stefano, vicino alla terra di Sermoneta, sua patria; nella quale sono, quanto il vivo, San Pietro, Santo Stefano e San Giovanni Batista, con certi putti. Dopo la quale tavola, che molto fu lodata, fece nella chiesa di Santo Apostolo di Roma, in una tavola a olio, Cristo morto, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena con altre figure condotte con diligenza. Nella Pace condusse poi, alla cappella di marmo che fece fare il cardinale Cesis, tutta la volta lavorata di stucchi in un partimento di quattro quadri, facendovi il Nascere di Gesù Cristo, l'Adorazione de' Magi, il Fuggire in Egitto e l'Uccisione de' fanciulli Innocenti: che tutto fu opera molto laudabile e fatta con invenzione, giudizio e diligenza. Nella medesima chiesa fece, non molto dopo, il medesimo Girolamo, in una tavola alta quindici palmi, appresso all'altare maggiore, la Natività di Gesù Cristo, che fu bellissima. E dopo, per la sagrestia della chiesa di Santo Spirito di Roma, in un'altra tavola a olio, la venuta dello Spirito Santo sopra gl'Apostoli, che è molto graziosa opera. Similmente nella chiesa Santa Maria de Anima, chiesa della nazione tedesca, dipinse a fresco tutta la cappella de' Fuccheri, dove Giulio Romano già fece la tavola con istorie grandi della vita di Nostra Donna. Et in San Iacopo degli Spagnuoli, all'altare maggiore, fece in una gran tavola un bellissimo Crucifisso, con alcuni Angeli attorno, la Nostra Donna, San Giovanni; et oltre ciò due gran quadri che la mettono in mezzo, con una figura per quadro alta nove palmi, cioè San Iacopo Apostolo e Santo Alfonso vescovo: nei quali quadri si vede che mise molto studio e diligenza. A piazza Giudea, nella chiesa di San Tommaso, ha dipinto tutta una cappella a fresco, che risponde nella corte di casa Cenci, facendovi la Natività della Madonna, l'essere annunziata dall'Angelo, et il partorire il Salvatore Gesù Cristo. Al cardinal Capodiferro ha dipinto nel suo palazzo un salotto molto bello de' fatti degl'antichi Romani. Et in Bologna fece già nella chiesa di San Martino la tavola dell'altare maggiore, che fu molto comendata. Al signor Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servì alcun tempo, fece molte opere, et in particolare un quadro che è in Piacenza, fatto per una cappella, dentro al quale è la Nostra Donna, San Giuseppo, San Michele, San Giovanni Batista et un Angelo di palmi otto. Dopo il suo ritorno di Lombardia fece nella Minerva, cioè nell'andito della sagrestia, un Crucifisso, e nella chiesa un altro; e dopo fece a olio una Santa Caterina et una Santa Agata; et in San Luigi fece una storia a fresco a concorrenza di Pellegrino Pellegrini bolognese e di Iacopo del Conte fiorentino. In una tavola a olio, alta palmi sedici, fatta nella chiesa di Santo Alò, dirimpetto alla Misericordia, Compagnia de' Fiorentini, dipinse, non ha molto, la Nostra Donna, San Iacopo Apostolo, Santo Alò e San Martino vescovi; et in San Lorenzo in Lucina, alla cappella della contessa di Carpi, fece a fresco un San Francesco che riceve le stìmate. E nella sala de' Re fece al tempo di papa Pio Quarto, come s'è detto, una storia a fresco sopra la porta della cappella di Sisto: nella quale storia, che fu molto lodata, Pipino re de' Franchi dona Ravenna alla Chiesa Romana e mena prigione Astulfo re de' Longobardi; e di questa abbiamo il disegno di propria mano di Girolamo nel nostro Libro, con molti altri del medesimo. E finalmente ha oggi fra mano la cappella del cardinale Cesis in Santa Maria Maggiore, dove ha già fatto in una gran tavola il martirio di Santa Caterina fra le ruote, che è bellissima pittura, come sono l'altre che quivi et altrove va continuamente e con suo molto studio lavorando. Non farò menzione de' ritratti, quadri et altre opere piccole di Girolamo, perché, oltre che sono infiniti, queste possono bastare a farlo conoscere per eccellente e valoroso pittore. Avendo detto di sopra, nella Vita di Perino del Vaga, che Marcello pittore mantovano operò molti anni sotto di lui cose che gli dierono gran nome, dico al presente, venendo più al particolare, che egli già dipinse nella chiesa di Santo Spirito la tavola e tutta la cappella di San Giovanni Evangelista, col ritratto di un commendatore di detto Santo Spirito che murò quella chiesa e fece la detta cappella; il quale ritratto è molto simile e la tavola bellissima. Onde, veduta la bella maniera di costui, un frate del Piombo gli fece dipignere a fresco nella Pace, sopra la porta che di chiesa entra in convento, un Gesù Cristo fanciullo che nel tempio disputa con i Dottori, che è opera bellissima. Ma perché si è dilettato sempre costui di fare ritratti e cose piccole, lasciando l'opere maggiori, n'ha fatto infiniti: onde se ne veggiono alcuni di papa Paulo Terzo, belli e simili affatto. Similmente con disegni di Michelagnolo e di sue opere ha fatto una infinità di cose similmente piccole, e fra l'altre in una sua opera ha fatta tutta la facciata del Giudizio, che è cosa rara e condotta ottimamente: e nel vero, per cose piccole di pittura, non si può far meglio. Per lo che gli ha finalmente il gentilissimo messer Tommaso de' Cavalieri, che sempre l'ha favorito, fatto dipignere con disegni di Michelagnolo una tavola, per la chiesa di San Giovanni Laterano, d'una Vergine annunziata, bellissima. Il quale disegno di man propria del Buonarruoto, da costui imitato, donò al signor duca Cosimo Lionardo Buonarruoti, nipote di esso Michelagnolo, insieme con alcuni altri di fortificazioni, d'architettura et altre cose rarissime. E questo basti di Marcello, che per ultimo attende a lavorare cose piccole, conducendole con veramente estrema et incredibile pacienza. Di Iacopo del Conte fiorentino, il quale, sì come i sopradetti, abita in Roma, si sarà detto a bastanza fra in questo et in altri luoghi, se ancora se ne dirà alcun altro particolare. Costui dunque, essendo stato infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che questa sia stata sua principale professione, ancora che abbia, secondo l'occasioni, fatto tavole e lavori in fresco pure assai in Roma e fuori. Ma de' ritratti, per non dire di tutti, che sarebbe lunghissima storia, dirò solamente che egli ha ritratto, da papa Paulo Terzo in qua, tutti i Pontefici che sono stati, e tutti i signori et ambasciatori d'importanza che sono stati a quella corte; e similmente capitani d'eserciti e grand'uomini di casa Colonna e degli Orsini, il signor Piero Strozzi, et una infinità di vescovi, cardinali et altri gran prelati e signori, senza molti letterati et altri galantuomini, che gl'hanno fatto acquistare in Roma nome, onore et utile; onde si sta in quella città con sua famiglia molto agiata et onoratamente. Costui, da giovanetto, disegnava tanto bene che diede speranza, se avesse seguitato, di farsi eccellentissimo: e saria stato veramente, ma, come ho detto, si voltò a quello a che si sentiva da natura inclinato. Nondimeno non si possono le cose sue se non lodare. È di sua mano, in una tavola che è nella chiesa del Popolo, un Cristo morto; et in un'altra che ha fatta in San Luigi, alla cappella di San Dionigi, con storie, è quel Santo. Ma la più bell'opera che mai facesse si fu dua storie a fresco che già fece, come s'è detto in altro luogo, nella Compagnia della Misericordia de' Fiorentini - con una tavola d'un Deposto di croce, con i ladroni confitti e lo svenimento di Nostra Donna, colorita a olio -, molto belle e condotte con diligenzia e con suo molto onore. Ha fatto per Roma molti quadri e figure in varie maniere, e fatto assai ritratti interi, vestiti e nudi, d'uomini e di donne, che sono stati bellissimi, però che così erano i naturali. Ha ritratto anco, secondo l'occasioni, molte teste di signore, gentildonne e principesse che sono state a Roma; e fra l'altre so che già ritrasse la signora Livia Colonna, nobilissima donna per chiarezza di sangue, virtù e bellezza incomparabile. E questo basti di Iacopo del Conte, il quale vive e va continuamente operando. Arei potuto ancora di molti nostri Toscani e d'altri luoghi d'Italia fare noto il nome e l'opere loro, che me la son passata di leggieri, perché molti hanno finito, per esser vecchi, di operare, et altri che son giovani che si vanno sperimentando, i quali faranno conoscersi più con le opere che con gli scritti. E perché ancor vive et opera Adoni Doni d'Ascesi, del quale, se bene feci memoria di lui nella Vita di Cristofano Gherardi, dirò alcune particolarità dell'opere sue, quali et in Perugia e per tutta l'Umbria, e particolarmente in Fuligno, sono in molte tavole; ma l'opere sue migliori sono in Ascesi a Santa Maria degl'Angeli, nella cappelletta dove morì San Francesco, dove sono alcune storie de' fatti di quel Santo lavorate a olio nel muro, le quali son lodate assai; oltre che ha nella testa del refettorio di quel convento lavorato a fresco la Passione di Cristo, oltre a molte opere che gli han fatto onore; e lo fanno tenere e cortese e liberale la gentilezza e cortesia sua. In Orvieto sono ancora di quella cura dua giovani: uno pittore, chiamato Cesare del Nebbia, e l'altro scultore[...]; ambidua per una gran via da far che la loro città, che fino a oggi ha chiamato del continuo a ornarla maestri forestieri, che, seguitando i principî che hanno presi, non aranno a cercar più d'altri maestri. Lavora in Orvieto in Santa Maria, Duomo di quella città, Niccolò dalle Pomarance, pittore giovane, il quale, avendo condotto una tavola dove Cristo resuscita Lazzaro, ha mostro, insieme con altre cose a fresco, di racconciar nome apresso agli altri sudetti. E perché de' nostri maestri italiani vivi siàno alla fine, dirò solo che, avendo sentito non minore un Lodovico scultore fiorentino, quale in Inghilterra et in Bari ha fatto, secondo che m'è detto, cose notabili, per non aver io trovato qua né parenti né cognome, né visto l'opere sue, non posso come vorrei farne altra memoria che questa del nominarlo. Ora, ancorché in molti luoghi, ma però confusamente, si sia ragionato dell'opere d'alcuni eccellenti pittori Fiamminghi e dei loro intagli, non tacerò i nomi d'alcun'altri, poi che non ho potuto avere intera notizia dell'opere, i quali sono stati in Italia - et io gl'ho conosciuti la maggior parte - per apprendere la maniera italiana, parendomi che così meriti la loro industria e fatica usata nelle nostre arti. Lasciando adunque da parte Martino d'Olanda, Giovanni Eick da Bruggia et Huberto suo fratello, che nel 1410 mise in luce l'invenzione e modo di colorire a olio, come altrove s'è detto, e lasciò molte opere di sua mano in Guanto, in Ipri et in Bruggia, dove visse e morì onoratamente, dico che dopo costoro seguitò Ruggieri Vander Vveiden di Bruselles, il quale fece molte opere in più luoghi, ma principalmente nella sua patria, e nel palazzo de' Signori quattro tavole a olio bellissime di cose pertinenti alla Iustizia. Di costui fu discepolo Hausse, del quale abbiàn, come si disse, in Fiorenza, in un quadretto piccolo che è in man del Duca, la Passione di Cristo. A costui successero Lodovico da Lovano, Luven Fiammingo, Pietro Christa, Giusto da Guanto, Ugo d'Anversa, et altri molti, i quali, perché mai non uscirono di loro paese, tennero sempre la maniera fiamminga. E se bene venne già in Italia Alberto Durero, del quale si è parlato lungamente, egli tenne nondimeno sempre la sua medesima maniera, se bene fu nelle teste massimamente pronto e vivace, come è notissimo a tutta Europa. Ma lasciando costoro et insieme con essi Luca d'Olanda et altri, conobbi nel 1532 in Roma un Michele Cockisien, il quale attese assai alla maniera italiana e condusse in quella città molte opere a fresco, e particolarmente in Santa Maria de Anima due cappelle. Tornato poi al paese e fattosi conoscere per valent'uomo, odo che fra l'altre opere ritrasse al re Filippo di Spagna una tavola da una di Giovanni Eick sudetto, che è in Guanto; nella quale ritratta, che fu portata in Ispagna, è il trionfo dell'Agnus Dei. Studiò poco dopo in Roma Martino Emskerck, buon maestro di figure e paesi, il quale ha fatto in Fiandra molte pitture e molti disegni di stampe di rame, che sono state, come s'è detto altrove, intagliate da Ieronimo Cocca, il quale conobbi in Roma mentre io serviva il cardinale Ipolito de' Medici. E questi tutti sono stati bellissimi inventori di storie e molto osservatori della maniera italiana. Conobbi ancora in Napoli, e fu mio amicissimo, l'anno 1545, Giovanni di Calker, pittore fiammingo, molto raro, e tanto pratico nella maniera d'Italia che le sue opere non erano conosciute per mano di fiammingo. Ma costui morì giovane in Napoli, mentre si sperava gran cose di lui, il quale disegnò la sua notomia al Vessalio. Ma innanzi a questi fu molto in pregio Divik da Lovano, in quella maniera buon maestro, e Quintino della medesima terra, il quale nelle sue figure osservò sempre più che poté il naturale, come anche fece un suo figliuolo chiamato Giovanni. Similmente Gios di Cleves fu gran coloritore e raro in far ritratti di naturale; nel che servì assai il re Francesco di Francia in far molti ritratti di diversi signori e dame. Sono anco stati famosi pittori, e parte sono, della medesima provincia, Giovanni d'Hemsen, Mattias Cook d'Anversa, Bernardo di Burselles, Giovanni Cornelis d'Amsterdam, Lamberto della medesima terra, Enrico da Binat, Giovachino di Patenier di Bovines, e Giovanni Scorle canonico di Utrecht, il quale portò in Fiandra molti nuovi modi di pitture cavati d'Italia. Oltre questi, Giovanni Bella Gamba di Douai, Dirik d'Harlem della medesima, e Francesco Mostaret, che valse assai in fare paesi a olio, fantasticherie, bizzarrie, sogni et imaginazioni. Girolamo Hertoglien Bos e Pietro Bruveghel di Breda furono imitatori di costui, e Lancilotto è stato eccellente in far fuochi, notti, splendori, diavoli e cose somiglianti. Piero Coveck ha avuto molta invenzione nelle storie e fatto bellissimi cartoni per tapezzerie e panni d'arazzo, e buona maniera e pratica nelle cose d'architettura; onde ha tradotto in lingua teutonica l'opere d'architettura di Sebastiano Serlio bolognese. E Giovanni di Malengt fu quasi il primo che portasse d'Italia in Fiandra il vero modo di fare storie piene di figure ignude e di poesie, e di sua mano in Silanda è una gran tribuna nella badia di Midelborgo. De' quali tutti si è avuto notizia da maestro Giovanni della Strada di Brucies, pittore, e da Giovanni Bologna de Douai, scultore, ambi fiaminghi et eccellenti, come diremo nel trattato degl'Accademici. Ora, quanto a quelli della medesima provincia che sono vivi et in pregio, il primo è fra loro, per opere di pittura e per molte carte intagliate in rame, Francesco Froris d'Anversa, discepolo del già detto Lamberto Lombardo. Costui dunque, il quale è tenuto eccellentissimo, ha operato di maniera in tutte le cose della sua professione che niuno ha meglio (dicono essi) espressi gl'affetti dell'animo, il dolore, la letizia e l'altre passioni, con bellissime e bizzarre invenzioni di lui, intantoché lo chiamano, agguagliandolo all'Urbino, Raffaello fiammingo; vero è che ciò a noi non dimostrano interamente le carte stampate, perciò che chi intaglia, sia quanto vuole valent'uomo, non mai arriva a gran pezza all'opere et al disegno e maniera di chi ha disegnato. È stato condiscepolo di costui, e sotto la disciplina d'un medesimo maestro ha imparato, Guglielmo Cay di Breda pur d'Anversa, uomo moderato, grave, di giudizio, e molto imitatore del vivo e delle cose della natura, et oltre ciò assai accomodato inventore, e quegli che più d'ogni altro conduce le sue pitture sfumate e tutte piene di dolcezza e di grazia: e se bene non ha la fierezza e facilità e terribilità del suo condiscepolo Froro, ad ogni modo è tenuto eccellentissimo. Michel Cockisien, del quale ho favellato di sopra e detto che portò in Fiandra la maniera italiana, è molto fra gl'artefici fiaminghi celebrato per essere tutto grave e fare le sue figure che hanno del virile e del severo. Onde messer Domenico Lansonio fiamingo, del quale si parlerà a suo luogo, ragionando dei due sopradetti e di costui, gl'agguaglia a una bella musica di tre, nella quale faccia ciascun la sua parte con eccellenza. Fra i medesimi è anco stimato assai Antonio Moro di Utrech in Olanda, pittore del re Catolico, i colori del quale, nel ritrarre ciò che vuole di naturale, dicono contendere con la natura et ingannare gl'occhi benissimo. Scrivemi il detto Lampsonio che il Moro, il quale è di gentilissimi costumi e molto amato, ha fatto una tavola bellissima d'un Cristo che risuscita, con due Angeli e San Piero e San Paulo, che è cosa maravigliosa. E anco è tenuto buono inventore e coloritore Martino di Vos, il quale ritrae ottimamente di naturale. Ma quanto al fare bellissimi paesi, non ha pari Iacopo Gimer, Hanz Bolz, et altri tutti d'Anversa e valent'uomini, de' quali non ho così potuto sapere ogni particolare. Pietro Arsen, detto Pietro Lungo, fece una tavola con le sue ale nella sua patria Asterdam, dentrovi la Nostra Donna et altri Santi; la quale tutta opera costò 2000 scudi. Celebrano ancora per buon pittore Lamberto d'Asterdam, che abitò in Vinezia molti anni et aveva benissimo la maniera italiana: questo fu padre di Federigo, del quale, per essere nostro Accademico, se ne farà memoria a suo luogo; e parimente Pietro Broghel d'Anversa, maestro eccellente, Lamberto Van Hort d'Amersfert d'Olanda; e per buono architetto Gilis Mostaret, fratello di Francesco sudetto; e Pietro Pourbs, giovinetto, ha dato saggio di dover riuscire eccellente pittore. Ora, acciò sappiamo alcuna cosa de' miniatori di que' paesi, dico che questi vi sono stati eccellenti: Marino di Siressa, Luca Hurenbout di Guanto, Simone Benich da Bruggia e Gherardo. E parimente alcune donne: Susanna, sorella del detto Luca, che fu chiamata per ciò ai servigii d'Enrico Ottavo re d'Inghilterra e vi stette onoratamente tutto il tempo di sua vita; Clara Skeysers di Guanto, che d'ottanta anni morì, come dicono, vergine; Anna figliuola di maestro Segher, medico; Levina figlia di maestro Simone da Bruggia su detto, che dal detto Enrico d'Inghilterra fu maritata nobilmente, et avuta in pregio dalla reina Maria, sì come ancora è dalla reina Lisabetta. Similmente Caterina, figliuola di maestro Giovanni da Hemsen, andò già in Ispagna al servigio della reina d'Ungheria con buona provisione. Et insomma molt'altre sono state in quelle parti ecc[ellenti] miniatrici. Nelle cose de' vetri e far finestre sono nella medesima provincia stati molti valent'uomini: Art Van Hort di Nimega, Borghese d'Anversa, Iacobs Felart, Divick Stas di Campen, Giovanni Ack d'Anversa, di mano del quale sono nella chiesa di Santa Gudula di Bruselles le finestre della cappella del Sacramento; e qua in Toscana hanno fatto al Duca di Fiorenza molte finestre di vetri a fuoco bellissime Gualtieri e Giorgio fiaminghi e valent'uomini, con i disegni del Vasari. Nell'architettura e scultura i più celebrati fiaminghi sono Sebastiano d'Oia d'Utrech, il quale servì Carlo V in alcune fortificazioni e poi il re Filippo, Guglielmo d'Anversa, Guglielmo Cucur d'Olanda, buono architetto e scultore, Giovanni di Dale scultore, poeta et architetto, Iacopo Bruca scultore et architetto, che fece molte opere alla reina d'Ungheria reggente, et il quale fu maestro di Giovanni Bologna da Douai, nostro Accademico, di cui poco appresso parleremo. E anco tenuto buono architetto Giovanni di Minescheren da Guanto, et eccellente scultore Matteo Manemacken d'Anversa, il quale sta col re de' Romani; e Cornelio Flores, fratello del sopradetto Francesco, è altresì scultore et architetto ecc[ellente] et è quelli che prima ha condotto in Fiandra il modo di fare le grottesche. Attendono anco alla scultura con loro molto onore Guglielmo Palidamo, fratello d'Enrico predetto, scultore studiosissimo e diligente, Giovanni di Sart di Nimegha, Simone di Delfr e Gios Iason d'Amsterdam; e Lamberto Suave da Liege è bonissimo architetto et intagliatore di stampe col bulino; in che l'ha seguitato Giorgio Robin d'Ipri, Divick Volcaerts e Filippo Galle, amendue d'Arlem, e Luca Leidem con molti altri, che tutti sono stati in Italia a imparare e disegnare le cose antiche per tornarsene, sì come hanno fatto la più parte, a casa eccellenti. Ma di tutti i sopradetti è stato maggiore Lamberto Lombardo da Liege, gran letterato, giudizioso pittore et architetto eccellentissimo, maestro di Francesco Floris e di Guglielmo Cai; delle virtù del quale Lamberto e d'altri mi ha dato molta notizia per sue lettere messer Domenico Lampsonio da Legie, uomo di bellissime lettere e molto giudizio in tutte le cose, il quale fu famigliare del cardinale Polo d'Inghilterra, mentre visse, et ora è segretario di monsignor vescovo e prencipe di Lege. Costui, dico, mi mandò già scritta latinamente la Vita di detto Lamberto, e più volte mi ha salutato a nome di molti de' nostri artefici di quella provincia. E una lettera che tengo di suo, data a dì trenta d'ottobre 1564, è di questo tenore: Quattro anni sono ho avuto continuamente animo di ringraziare V. S. di due grandissimi benefizii che ho ricevuto da Lei (so che questo le parrà strano esordio d'uno che non l'abbia mai vista né conosciuta: certo sarebbe strano, se io non [l'] avessi conosciuta). Il che è stato insin d'allora che la mia buona ventura volse, anzi il Signor Dio, farmi grazia che mi venissero alle mani, non so in che modo, i vostri eccellentissimi scritti degl'architettori, pittori e scultori. Ma io allora non sapea pure una parola italiana, dove ora, con tutto che io non abbia mai veduto l'Italia, la Dio mercé, con leggere detti vostri scritti, n'ho imparato quel poco che mi ha fatto ardito a scrivervi questa. Et a questo disiderio d'imparare detta lingua mi hanno indotto essi vostri scritti: il che forse non averebbono mai fatto quei d'altro nessuno, tirandomi a volergli intendere uno incredibile e naturale amore che fin da piccolo ho portato a queste tre bellissime arti, ma più alla piacevolissima ad ogni sesso, età e grado, et a nessuno nociva arte vostra, la pittura. Della quale ancora era io allora del tutto ignorante e privo di giudizio, et ora, per il mez[z]o della spesso reiterata lettura de' vostri scritti, n'intendo tanto che, per poco che sia e quasi niente, è pur quanto basta a fare che io meno vita piacevole e lieta, e lo stimo più che tutti gl'onori, agi e ricchezze di questo mondo. È questo poco, dico, tanto, che io ritrarrei di colori a olio, come con qualsivoglia disegnatoio, le cose naturali, e massimamente ignudi et abili d'ogni sorte, non mi essendo bastato l'animo d'intromettermi più oltre, come dire a dipigner cose più incerte che ricercano la mano più esercitata e sicura, quali sono paesaggi, alberi, acque, nuvole, splendori, fuoc[h]i, ec.. Nelle quali cose ancora, sì come anco nell'invenzioni fino a un certo che, forse, e per un bisogno, potrei mostrare d'aver fatto qualche poco d'avanzo per mezzo di detta lettura. Pur mi sono contento nel sopradetto termine di far solamente ritratti, e tanto maggiormente che le molte occupazioni, le quali l'uffizio mio porta necessariamente seco, non me lo permettono. E per mostrarmi grato e conoscente in alcun modo di questi benefizii d'avere, per vostro mezzo, apparato una bellissima lingua et a dipignere, vi arei mandato con questa un ritrattino del mio volto, che ho cavato dallo specchio, se io non avessi dubitato, se questa mia vi troverà in Roma o no, che forse potreste stare ora in Fiorenza, overo in Arezzo vostra patria. Questa lettera contiene, oltre ciò, molti altri particolari che non fanno a proposito. In altre poi mi ha pregato a nome di molti galantuomini di que' paesi, i quali hanno inteso che queste Vite si ristampano, che io ci faccia tre trattati della scultura, pittura et architettura con disegni di figure, per dichiarare secondo l'occasioni et insegnare le cose dell'arti, come ha fatto Alberto Duro, il Serlio e Leonbatista Alberti, stato tradotto da messer Cosimo Bartoli, gentiluomo et Accademico fiorentino. La qual cosa arei fatto più che volentieri, ma la mia intenzione è stata di solamente voler scrivere le vite e l'opere degli artefici nostri e non d'insegnare l'arti, col modo di tirare le linee, della pittura, architettura e scultura: senzaché, essendomi l'opera cresciuta fra mano per molte cagioni, ella sarà per aventura, senza altri trattati, lunga davantaggio. Ma io non poteva e non doveva fare altrimenti di quello che ho fatto, né defraudare niuno delle debite lode et onori, né il mondo del piacere et utile che spero abbia a trarre di queste fatiche.

<< prec succ >>

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