Biografie di Iacopo Palma il Vecchio e Lorenzo Lotto * Jacopo veniziano *

VITA DI IACOPO PALMA e LORENZO LOTTO pittori viniziani

Può tanto l'artifizio e la bontà d'una sola o due opere che perfette si facciano in quell'arte che l'uomo esercita, che per piccole che elle siano, sono sforzati gl'artefici et intendenti a lodarle, e gli scrittori a celebrarle e dar lode all'artefice che l'ha fatte, nella maniera che facciamo or noi al Palma viniziano; il quale, se bene non fu eccellente né raro nella perfezzione della pittura, fu nondimeno sì pulito e diligente e sommesso alle fatiche dell'arte, che le cose sue, se non tutte, almeno una parte hanno del buono, perché contrafanno molto il vivo et il naturale degl'uomini. Fu il Palma molto più nei colori unito, sfumato e paziente che gagliardo nel disegno, e quegli maneggiò con grazia, pulitezza grandissima, come si vede in Venegia in molti quadri e ritratti che fece a diversi gentiluomini, de' quali non dirò altro, perché voglio che mi basti far menzione di alcune tavole e d'una testa che tenghiamo divina e maravigliosa; l'una delle quali tavole dipinse in Santo Antonio di Vinezia vicino a Castello, e l'altra in Santa Elena presso al Lio, dove i monaci di Monte Oliveto hanno il loro monasterio; et in questa, che è all'altar maggiore di detta chiesa, fece i Magi che offeriscono a Cristo con buon numero di figure, fra le quali sono alcune teste veramente degne di lode, come anco sono i panni che vestono le figure, condotti con bello andar di pieghe. Fece anco il Palma nella chiesa di Santa Maria Formosa, all'altare de' Bombardieri, una Santa Barbara grande quanto il naturale con due minori figure dalle bande, cioè San Sebastiano e Santo Antonio: ma la Santa Barbara è delle migliori figure che mai facesse questo pittore; il quale fece anco nella chiesa di San Moisè, appresso alla piazza di San Marco, un'altra tavola, nella quale è una Nostra Donna in aria e San Giovanni a' piedi. Fece oltre ciò il Palma per la stanza dove si ragunano gl'uomini della Scuola di San Marco, in sulla piazza di San Giovanni e Paulo, a concorrenza di quelle che già fecero Gian Bellino, Giovanni Mansueti et altri pittori, una bellissima storia, nella quale è dipinta una nave che conduce il corpo di San Marco a Vinezia; nella quale si vede finto dal Palma una orribile tempesta di mare et alcune barche combattute dalla furia de' venti, fatte con molto giudicio e con belle considerazioni, sì come è anco un gruppo di figure in aria e diverse forme di demoni che soffiano a guisa di venti nelle barche, che andando a remi e sforzandosi con varii modi di rompere l'inimiche et altissime onde, stanno per somergersi. Insomma quest'opera, per vero dire, è tale e sì bella per invenzione e per altro, che pare quasi impossibile che colore o pennello adoperati da mani anco eccellenti possino esprimere alcuna cosa più simile al vero o più naturale, attesoché in essa si vede la furia de' venti, la forza e destrezza degl'uomini, il moversi dell'onde, i lampi e' baleni del cielo, l'acqua rotta dai remi, e i remi piegati dall'onde e dalla forza de' vogadori. Che più? Io per me non mi ricordo aver mai veduto la più orrenda pittura di quella, essendo talmente condotta, e con tanta osservanza nel disegno, nell'invenzione e nel colorito, che pare che tremi la tavola, come tutto quello che vi è dipinto fusse vero. Per la quale opera merita Iacopo Palma grandissima lode e di esser annoverato fra quegli che posseggono l'arte et hanno in poter loro facultà d'esprimere nelle pitture le difficultà dei loro concetti, con ciò sia che in simili cose difficili a molti pittori vien fatto nel primo abbozzare l'opera, come guidati da un certo forore, qualche cosa di buono e qualche fierezza, che vien poi levata nel finire, e tolto via quel buono che vi aveva posto il furore; e questo avviene perché molte volte chi finisce considera le parti e non il tutto di quello che fa, e va, rafreddandosi gli spiriti, perdendo la vena della fierezza: là dove costui stette sempre saldo nel medesimo proposito e condusse a perfezzione il suo concetto, che gli fu allora e sarà sempre infinitamente lodato. Ma senza dubbio, comeché molte siano e molto stimate tutte l'opere di costui, quella di tutte l'altre è migliore e certo stupendissima dove ritrasse, guardandosi in una spera, se stesso di naturale con alcune pelli di camello intorno e certi ciuffi di capegli, tanto vivamente che non si può meglio immaginare; perciò che poté tanto lo spirito del Palma in questa cosa particolare, che egli la fece miracolosissima e fuor di modo bella, come afferma ognuno, vedendosi ella quasi ogni anno nella mostra dell'Ascensione. Et invero ella merita di essere celebrata per disegno, per artificio e per colorito, et insomma per essere di tutta perfezzione più che qualsivoglia altra opera che da pittore viniziano fusse stata insino a quel tempo lavorata; perché, oltre all'altre cose, vi si vede dentro un girar d'occhi sì fatto, che Lionardo da Vinci e Michelagnolo Buonarroti non averebbono altrimenti operato. Ma è meglio tacere la grazia, la gravità e l'altre parti che in questo ritratto si veggono, perché non si può tanto dire della sua perfezzione che più non meriti. E se la sorte avessi voluto che il Palma dopo quest'opera si fusse morto, egli solo portava il vanto d'aver passato tutti coloro che noi celebriamo per ingegni rari e divini: là dove la vita, che durando lo fece operare, fu cagione che non mantenendo il principio che avea preso, venne a diminuire tutto quello che infiniti pensarono che dovesse accrescere. Finalmente, bastandogli che una o due opere perfette gli levassero il biasimo in parte che gli averebbono l'altre acquistato, si morì d'anni quarantotto in Vinezia. Fu compagno et amico del Palma Lorenzo Lotto pittor veniziano, il quale avendo imitato un tempo la maniera de' Bellini, s'appiccò poi a quella di Giorgione, come ne dimostrano molti quadri e ritratti che in Vinezia sono per le case de' gentiluomini. In casa d'Andrea Odoni è il suo ritratto di mano di Lorenzo, che è molto bello; et in casa Tommaso da Empoli fiorentino è un quadro d'una Natività di Cristo finta in una notte, che è bellissimo, massimamente perché vi si vede che lo splendore di Cristo con bella maniera illumina quella pittura, dove è la Madonna ginocchioni, et in una figura intera che adora Cristo ritratto messer Marco Loredano. Ne' Frati Carmelitani fece il medesimo in una tavola San Niccolò sospeso in aria et in abito pontificale, con tre Angeli, et a' piedi Santa Lucia e San Giovanni: in alto certe nuvole, et abbasso un paese bellissimo con molte figurette et animali in varii luoghi; da un lato è San Giorgio a cavallo che amazza il serpente, e poco lontana la donzella, con una città appresso et un pezzo di mare. In San Giovanni e Paulo, alla capella di Santo Antonio arcivescovo di Firenze, fece Lorenzo in una tavola esso Santo a sedere con due ministri preti, e da basso molta gente. Essendo anco questo pittore giovane et imitando parte la maniera de' Bellini e parte quella di Giorgione, fece in San Domenico di Ricanati la tavola dell'altar maggiore partita in sei quadri. In quello del mezzo è la Nostra Donna col Figliuolo in braccio che mette per le mani d'un Angelo l'abito a San Domenico, il quale sta ginocchioni dinanzi alla Vergine; et in questo sono anche due putti che suonano, uno un liuto e l'altro un ribechino. In un altro quadro è San Gregorio e Santo Urbano papi, e nel terzo San Tommaso d'Aquino et un altro Santo che fu vescovo di Ricanati. Sopra questi sono gl'altri tre quadri: nel mezzo, sopra la Madonna, è Cristo morto sostenuto da un Angelo, e la Madre che gli bacia un braccio e Santa Madalena; sopra quello di San Gregorio è Santa Maria Madalena e San Vincenzio; e nell'altro, cioè sopra San Tommaso d'Aquino, è San Gismondo e Santa Caterina da Siena. Nella predella, che è di figure piccole e cosa rara, è nel mezzo quando Santa Maria di Loreto fu portata dagl'Angeli dalle parti di Schiavonia là dove ora è posta; delle due storie che la mettono in mezzo, in una è San Domenico che predica, con le più graziose figurine del mondo, e nell'altra papa Onorio che conferma a San Domenico la Regola. È di mano del medesimo in mezzo a questa chiesa un San Vincenzio frate lavorato a fresco; et una tavola a olio è nella chiesa di Santa Maria di Castelnuovo con una Trasfigurazione di Cristo, e con tre storie di figure piccole nella predella: quando Cristo mena gl'Apostoli al Monte Tabor, quando òra nell'orto, e quando ascende in cielo. Dopo queste opere, andando Lorenzo in Ancona quando apunto Mariano da Perugia avea fatto in Santo Agostino la tavola dell'altar maggiore con un ornamento grande, la quale non sodisfece molto, gli fu fatto fare per la medesima chiesa, in una tavola che è posta a mezzo, la Nostra Donna col Figliuolo in grembo e due Angeli in aria, che scortando le figure incoronano la Vergine. Finalmente essendo Lorenzo vecchio et avendo quasi perduta la voce, dopo aver fatto alcune altre opere di non molta importanza in Ancona, se n'andò alla Madonna di Loreto, dove già avea fatto una tavola a olio, che è in una capella a man ritta entrando in chiesa; e quivi risoluto di voler finire la vita in servigio della Madonna et abitare quella santa Casa, mise mano a fare istorie di figure alte un braccio e minori intorno al coro, sopra le siede de' sacerdoti. Fecevi il nascere di Gesù Cristo in una storia, e quando i Magi l'adorano in un'altra; il presentarlo a Simeone seguitava; e dopo questa, quando è batezzato da Giovanni nel Giordano; eravi la adultera condotta inanzi a Cristo, condotte con grazia. Così vi fece due altre storie copiose di figure: una era Davit quando faceva sagrificare, et in l'altra San Michele Arcangelo che combatte con Lucifero, avendolo cacciato di cielo. E quelle finite, non passò molto che, come era vivuto costumatamente e buon cristiano, così morì, rendendo l'anima al Signore Dio. I quali ultimi anni della sua vita provò egli felicissimi e pieni di tranquillità d'animo, e che è più, gli fecero, per quello che si crede, far acquisto dei beni di vita eterna: il che non gli sarebbe forse avenuto se fusse stato nel fine della sua vita oltre modo inviluppato nelle cose del mondo, le quali, come troppo gravi a chi pone in loro il suo fine, non lasciano mai levar la mente ai veri beni dell'altra vita et alla somma beatitudine e felicità. Fiorì in questo tempo ancora in Romagna il Rondinello pittore eccellente, del quale nella Vita di Giovan Bellino, per essere stato suo discepolo e servitosene assai nell'opere sue, ne facemmo un poco di memoria. Costui, dopo che si partì da Giovan Bellino, si affaticò nell'arte di maniera che, per esser diligentissimo, fe' molte opere degne di lode, come in Furlì nel Duomo fa fede la tavola dello altar maggiore che egli vi dipinse di suo mano, dove Cristo comunica gli Apostoli, che è molto ben condotta. Fecevi sopra, nel mezzo tondo di quella, un Cristo morto, e nella predella alcune storie di figure piccole coi fatti di Santa Elena, madre di Gostantino imperadore, quando ella ritruova la Croce, condotte con gran diligenza. Fecevi ancora un San Bastiano che è molto bella figura sola, in un quadro, nella chiesa medesima. Nel Duomo di Ravenna allo altar di Santa Maria Madalena dipinse una tavola a olio, dentrovi la figura sola di quella Santa, e sotto vi fece di figure piccole in una predella, molto graziose, tre storie: Cristo che appare a Maria Madalena in forma d'ortolano; e in un'altra quando San Pietro uscendo di nave camina sopra l'acque verso Cristo; e nel mezz'a queste el Battesimo di Gesù Cristo, molte belle. Fece in San Giovanni Evangelista nella medesima città due tavole: in una è San Giovanni quando consacra la Chiesa, nell'altra è tre martiri dentro, San Cancio e San Conciano e Santa Cancionila, bellissime figure. In Santo Appollinare nella medesima città duo quadri con due figure, in ciascuno la sua: San Giovanni Batista e San Bastiano, molto lodate. Nella chiesa dello Spirito Santo è una tavola pur di sua mano, dentrovi la Nostra Donna in mezzo con Santa Caterina vergine e martire e San Ieronimo. Dipinse parimente in San Francesco due tavole: in una è Santa Caterina e San Francesco, e nell'altra dipinse la Nostra Donna con molte figure, e San Iacopo apostolo e S. Francesco. Du' altre tavole fe' medesimamente in San Domenico, che n'è una a man manca dello altar maggiore, dentrovi la Nostra Donna con molte figure, e l'altra è in una facciata della chiesa, assai bella. Nella chiesa di San Niccolò, convento de' frati di Santo Agostino, dipinse un'altra tavola con San Lorenzo e San Francesco; che ne fu commendato tanto di quest'opere, che mentre che visse fu tenuto non solo in Ravenna, ma per tutta la Romagna in gran conto. Visse Rondinello fino alla età di 60 anni, e fu sepolto in San Francesco di Ravenna. Costui dopo di lui lassò Francesco da Cotignuola, pittore anch'egli stimato in quella città, il quale dipinse molte opere, e particolarmente nella chiesa della Badia di Classi dentro in Ravenna una tavola allo altar maggiore assai grande, dentrovi la Resurrezzione di Lazzaro, con molte figure; dove l'anno 1548 Giorgio Vasari dirimpetto a questa fece per don Romualdo da Verona, abate di quel luogo, un'altra tavola con Cristo deposto di croce, dentrovi gran numero di figure. Fece Francesco ancora una tavola in San Niccolò con la Natività di Cristo, che è una gran tavola; in San Sebastiano parimente due tavole con varie figure. Nello Spedale di Santa Caterina dipinse una tavola con la Nostra Donna e Santa Caterina con molte altre figure; et in Santa Agata dipinse una tavola con Cristo in croce e la Nostra Donna a' piedi, con altre figure assai, che ne fu lodato. Dipinse in Santo Apollinari di quella città tre tavole: una allo altar maggiore, dentrovi la Nostra Donna, San Giovanni Batista e Santo Apollinari con San Ieronimo et altri Santi; nell'altra fe' pur la Madonna con San Piero e Santa Caterina; nella terza et ultima Gesù Cristo quando e' porta la croce, la quale egli non poté finire intervenendo la morte. Colorì assai vagamente, ma non ebbe tanto disegno quanto aveva Rondinello, ma ne fu tenuto da' Ravennati conto assai. Costui volse essere, doppo la morte sua, sepolto in Santo Apollinari, dove egli aveva fatto queste figure, contentandosi dove egli avea faticato e vissuto essere in riposo con l'ossa dopo la morte.

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