Biografia di Iacopo Torni detto l'Indaco

VITA DI IACOPO DETTO L'INDACO pittore

Iacopo detto l'Indaco, il quale fu discepolo di Domenico del Ghirlandaio et in Roma lavorò con Pinturicchio, fu ragionevole maestro ne' tempi suoi; e se bene non fece molte cose, quelle nondimeno che furono da lui fatte sono da esser comendate. Né è gran fatto che non uscissero se non pochissime opere delle sue mani, perciò che essendo persona faceta, piacevole e di buon tempo, alloggiava pochi pensieri e non voleva lavorare se non quando non poteva far altro; e perciò usava di dire che il non mai fare altro che affaticarsi senza pigliarsi un piacere al mondo non era cosa da cristiani. Praticava costui molto dimesticamente con Michelagnolo; perciò che quando voleva quell'artefice, eccellentissimo sopra quanti ne furono mai, ricrearsi dagli studii e dalle continue fatiche del corpo e della mente, niuno gli era per ciò più a grado né più secondo l'umor suo che costui. Lavorò Iacopo molti anni in Roma, o per meglio dire stette molti anni in Roma e vi lavorò pochissimo. È di sua mano in quella città nella chiesa di S. Agostino, entrando in chiesa per la porta della facciata dinanzi a man ritta, la prima cappella, nella volta della quale sono gl'Apostoli che ricevono lo Spirito Santo, e di sotto sono nel muro due storie di Cristo: nell'una quando toglie dalle reti Pietro et Andrea, e nell'altra la cena di Simone e di Maddalena, nella quale è un palco di legno e di travi molto ben contrafatto. Nella tavola della medesima cappella, la quale egli dipinse a olio, è un Cristo morto lavorato e condotto con molta pratica e diligenza. Parimente nella Trinità di Roma è di sua mano, in una tavoletta, la coronazione di Nostra Donna. Ma che bisogna o che si può di costui altro raccontare? Basta che quanto fu vago di cicalare, tanto fu sempre nimico di lavorare e del dipignere. E perché, come si è detto, si pigliava piacer Michelagnolo delle chiacchiere di costui e delle burle che spesso faceva, lo teneva quasi sempre a mangiar seco; ma essendogli un giorno venuto costui a fastidio, come il più delle volte vengono questi cotali agl'amici e padroni loro col troppo e bene spesso fuor di proposito e senza discrezione cicalare - perché ragionare non si può dire, non essendo in simili per lo più né ragione né giudizio -, lo mandò Michelagnolo per levarselo dinanzi, allora che aveva forse altra fantasia, a comperare de' fichi; et uscito che Iacopo fu di casa, gli serrò Michelagnolo l'uscio dietro, con animo, quando tornava, di non gl'aprire. Tornato dunque l'Indaco di piazza, s'avvide, dopo aver picchiato un pezzo la porta invano, che Michelagnolo non voleva aprirgli; per che venutogli collera, prese le foglie et i fichi, e fattone una bella distesa in sulla soglia della porta si partì e stette molti mesi che non volle favellare a Michelagnolo; pure finalmente rapattumatosi, gli fu più amico che mai. Finalmente essendo vecchio di 68 anni, si morì in Roma. Non dissimile a Iacopo fu un suo fratello minore, chiamato per proprio nome Francesco e poi per sopranome anch'egli l'Indaco, che fu similmente dipintore più che ragionevole: non gli fu dissimile, dico, nel lavorare più che malvolentieri e nel ragionare assai; ma in questo avanzava costui Iacopo, perché sempre diceva male d'ognuno e l'opere di tutti gl'artefici biasimava. Costui dopo avere alcune cose lavorate in Monte Pulciano, e di pittura e di terra, fece in Arezzo per la Compagnia della Nunziata, in una tavoletta per l'Udienza, una Nunziata et un Dio Padre in cielo circondato da molti Angeli in forma di putti. E nella medesima città fece, la prima volta che vi andò il duca Alessandro, alla porta del palazzo de' Signori un arco trionfale bellissimo con molte figure di rilievo; e parimente a concorrenza d'altri pittori che assai altre cose per la detta entrata del Duca lavorarono, la prospettiva d'una comedia che fu tenuta molto bella. Dopo andato a Roma quando vi si aspettava l'imperatore Carlo Quinto, vi fece alcune figure di terra, e per il popolo romano un'arme a fresco in Campidoglio che fu molto lodata. Ma la miglior opera che mai uscisse delle mani di costui, e la più lodata fu, nel palazzo de' Medici in Roma, per la duchessa Margherita d'Austria uno studiolo di stucco tanto bello e con tanti ornamenti che non è possibil veder meglio, né credo che sia in un certo modo possibile far d'argento quello che in questa opera l'Indaco fece di stucco. Dalle quali cose si fa giudizio che se costui si fusse dilettato di lavorare et avesse esercitato l'ingegno, che sarebbe riuscito eccellente. Disegnò Francesco assai bene, ma molto meglio Iacopo, come si può vedere nel nostro libro.

<< prec succ >>

ritorna all'indice