BENEDETTO DA ROVEZZANO scultor fiorentino
Gran dispiacere mi penso che sia a tutti coloro che lavorano cose ingegnose, quando sperando godersi le loro fatiche nella vecchiezza, e credendo poter veder le prove e le bellezze degli ingegni che fioriscono nelle sculture e nelle pitture per potere conoscere quanto di perfezzione abbia quella parte che hanno esercitata, la mala sorte del tempo e la cattiva complessione, overo il difetto dell'aria, toglie loro il lume degli occhi, di maniera ch'e' non possono come prima conoscere né la perfezzione né il difetto di quegli che vivendo oprano in tal mestiero; e molto più mi credo gli attristi il sentire le lode de' nuovi, non per invidia già, ma per non potere essi ancora essere giudici se quella fama viene a ragione. E di questo che io dico si può certo far conghiettura nel morto per l'arte, et ancor vivo per la vita, Benedetto da Rovezzano, il quale è stato tenuto molto pratico e valente scultore, come fanno fede l'opere che si veggono di lui in Fiorenza, nelle quali di diligenza e di campare il marmo spiccato ha fatto cose maravigliose. Dicono che lavorò tutti i fogliami che sono intorno alla sepoltura che nel Carmino fu fatta per Piero Soderini e messa alla cappella maggiore. Fece in Santo Apostolo di Fiorenza sopra le due cappelle di messer Bindo Altoviti, dove Giorgio Vasari aretino lavorò la tavola della Concezzione, la sepoltura di messer Oddo Altoviti, con una cassa piena di fogliami bellissima. Et ancora nell'Opera di Santa Maria del Fiore fece uno Apostolo a concorrenza di Iacopo Sansovino, Andrea da Fiesole, Baccio Bandinelli e gli altri, che e bellissimo e con pulitissima maniera lavorato; onde meritò lode e n'acquistò grandissima fama. Poi prese a fare per il corpo di San Giovan Gualberto la sua sepoltura, cosa bellissima, e la lavorò al Guarlone sopra San Salvi, et in quella fece infinite storie de le faccende di lui lavorate con molta pazienzia; e continuando abbozzò un numero di figure tonde grandi quanto il vivo, che per le ruine delle guerre, e da' frati per il loro generale, rimasero imperfette. Andò in Inghilterra, et infinito numero di cose di metallo fece a quel re, massimamente la sepoltura sua. Et a Fiorenza ritornato finì molte altre cose, avvegnaché piccole. Accadde poi che lavorando ancora di metallo, il fuoco gli tolse il lume degli occhi, di maniera che né bagni né altre medicine non l'hanno mai potuto guarire; onde vecchio e cieco, per lui l'opere finirono l'anno MDXL. Per il che di lui si legge questo epigramma: IUDICIO MIRO STATUAS HIC SCULPSIT ET ARTE TECUM ET COLLATUS IURE, LYSIPPE, FUIT. ASPERA SED FUMI NUBES QUAM FUSA DEDERUNT AERA DIEM MISERIS ORBIBUS ERIPUIT. Egli è venuto a proposito lo avere conservato il frutto delle sue fatiche nella arte, perché ciò lo mantiene al presente in tanta quiete, che e' sopporta pazientissimamente tutto lo insulto della fortuna. E chi conoscerà le fatiche da lui fatte nelle sculture, lo amore e ‘l tempo messo alle cose di marmo, vedrà che egli con ogni diligenza, più per piacere che per alcun prezzo, ha esercitato quest'arti, che e vivo e morto lo terranno appresso ai begli ingegni di continuo in perpetua venerazione. Si è medesimamente dilettato delle cose di poesia, et è stato non meno vago di poeteggiare cantando che di fare statue co' mazzuoli e con gli scarpelli lavorando: onde gli diamo lode egualmente in tutte due le virtù.