GUGLIELMO DA MARCILLA priore aretino pittore
Il beneficio che si cava da la virtù è veramente grandissimo, e non pure è partito in un paese solo, ma è comune egualmente a tutti; perché sia pure di che strana e lontana regione o barbara et incognita nazione quale uomo si voglia, pure che egli abbia lo animo ornato di virtù e con le mani faccia alcuno esercizio ingegnoso, nello apparir nuovo in ogni città dove e' camina, mostrando il valor suo, tanta forza ha l'opera virtuosa che di lingua in lingua in poco spazio gli fa nome, et il nome lo fa sempre vivo, perché diventa maraviglioso per la virtù di quello, e le qualità di lui diventano pregiatissime et onoratissime. E spesso avviene a infiniti che di lontano hanno lasciato le patrie loro, nel dare d'intoppo in nazioni che siano amiche delle virtù e de' forestieri per buono uso di costumi, trovarsi accarezzati e riconosciuti sì fattamente ch'e' si scordano il loro nido natio e un altro nuovo s'eleggono per ultimo riposo; come per ultimo suo nido elesse Arezzo Guglielmo da Marzilla, prete franzese, il quale nella sua giovanezza attese in Francia all'arte del disegno, et insieme con quello diede opera alle finestre di vetro, nelle quali faceva figure di colorito non meno unite che se elle fossero d'una vaghissima et unitissima pittura a olio. Costui ne' suoi paesi, persuaso da' prieghi d'alcuni amici suoi, si ritrovò alla morte d'un loro inimico; per la qual cosa fu sforzato nella Religione di San Domenico in Francia pigliare l'abito di frate per essere libero da la corte e da la giustizia. E se bene egli dimorò nella Religione, non però mai abbandonò gli studî dell'arte, anzi continuando gli condusse ad ottima perfezzione. Fu per ordine di papa Giulio II dato commissione a Bramante d'Urbino di far fare in palazzo molte finestre di vetro; per che nel domandare ch'egli fece de' più eccellenti fra gli altri che di tal mestiero lavoravano, gli fu dato notizia d'alcuni che facevano in Francia cose maravigliose; e ne vide il saggio per lo ambasciator francese che negoziava allora appresso Sua Santità, il quale aveva in un telaro per finestra dello studio una figura lavorata in un pezzo di vetro bianco, con infinito numero di colori sopra il vetro lavorati a fuoco. Onde per ordine di Bramante fu scritto in Francia che venissero a Roma, offerendogli buone provvisioni. Laonde maestro Claudio Franzese avuto tal nuova, sapendo l'eccellenza di Guglielmo, con buone promesse e danari fece sì che non gli fu difficile trarlo fuor de' frati, avendo egli, per le discortesie usategli e per le invidie che son di continuo fra loro, più voglia di partirsi che maestro Claudio bisogno di trarlo fuora. Vennero dunque a Roma, e lo abito di San Domenico si mutò in quello di San Piero. Aveva Bramante fatto fare allora due fenestre di trevertino nel palazzo del Papa, le quali erano nella sala dinanzi alla cappella, oggi abbellita di fabbrica in volta per Antonio da San Gallo, e di stucchi mirabili per le mani di Perino del Vaga fiorentino; le quali fenestre da maestro Claudio e da Guglielmo furono lavorate, ancora che poi per il sacco spezzate per trarne i piombi per le palle degli archibusi: le quali erano certamente maravigliose. Oltra queste ne fecero per le camere papali infinite, delle quali il medesimo avvenne che dell'altre due; et oggi ancora rimastone una nella camera del Fuoco di Rafaello sopra torre Borgia, nelle quali sono Angeli che tengono l'arme di Leon X. Fecero ancora in Santa Maria del Popolo due fenestre nella cappella di dietro alla Madonna, con le storie della vita di lei, le quali di quel mestiero furono lodatissime. E queste opere non meno gli acquistarono fama e nome che comodità alla vita. Ma maestro Claudio, disordinando molto nel mangiare e bere, come è costume di quella nazione, cosa pestifera all'aria di Roma, ammalò d'una febbre sì grave che in sei giorni passò a l'altra vita. Per che Guglielmo rimanendo solo e quasi perduto senza il compagno, da sé dipinse una fenestra in Santa Maria de Anima, chiesa de' Tedeschi in Roma, pur di vetro, la quale fu cagione che Silvio cardinale di Cortona gli fece offerte, e convenne seco perché in Cortona sua patria alcune fenestre et altre opere gli facesse; onde seco in Cortona lo condusse a abitare. E la prima opera che facesse fu la facciata di casa sua, che è vòlta su la piazza, la quale dipinse di chiaro oscuro, e dentrovi fece Crotone e gli altri primi fondatori di quella città. Laonde il cardinale, conoscendo Guglielmo non meno buona persona che ottimo maestro di quella arte, gli fece fare nella Pieve di Cortona la fenestra della cappella maggiore, e molte altre finestrette ancora per quella città. Morì allora in Arezzo Fabiano di Stagio Sassoli aretino, bonissimo maestro di far finestre, et avevano gli Operai del Vescovado allogato tre fenestre grandi che sono nella cappella principale, di XX braccia d'altezza l'una, a Stagio figliuolo di Fabiano et a Domenico Pecori pittore; le quali finite, al luogo suo le posero: ma non molto sodisfecero agli Aretini, quantunque fosse onesto lavoro e più tosto certo lodevole. Avvenne in quel tempo che maestro Lodovico Bellichini, medico peritissimo allora e de' primi che governassero quella città e persona ingeniosa, fu con molti preghi chiamato a medicare la madre del cardinale; per che egli con gran fretta andato a Cortona, quivi dimorò alcune settimane, e nel tempo che gli avanzava si domesticò molto con Guglielmo, il quale si domandava allora il Priore, avendo avuto in que' giorni un benefizio d'un priorato. Per il che dimandato se in Arezzo sarebbe venuto, con buona grazia del cardinale, a farvi alcune finestre, egli gliene promise; et avuto buona licenza dal cardinale, vi si condusse. E Stagio, che aveva divisa la amicizia con Domenico, prese in casa il Priore, et egli fece la finestra di Santa Lucia nella capella degli Albergotti nel Vescovado di Arezzo, dentrovi essa Santa e San Salvestro. La quale opera può veramente dirsi non essere vetri colorati e trasparenti, ma vivissime figure, o pittura almanco veramente lodata e maravigliosa, perché, oltra al magisterio delle carni, sono squagliati i vetri, cioè levata in alcun luogo la prima pelle e colorita d'altro colore, come sarebbe a dire sul rosso una opera gialla, e sullo az[z]urro bianca e verde lavorata: cosa di quel mestiero difficile e miracolosa, perché il tignerle poco o niente, e che sia diafano o trasparente, non è cosa di gran momento; ma essere poi cotti al fuoco e rimanere alle percosse dell'acqua e del tempo per non si consumar già mai, questo è fatica degna di lode e che ognun se ne maravigli. Certamente questo egregio spirito merita lode grandissima, per non essere chi in questa professione di disegno, d'invenzione, di colore e di bontà abbia mai fatto tanto. Fece poi l'occhio grande di detta chiesa, dentrovi la venuta dello Spirito Santo, e così il Battesimo di Cristo per San Giovanni, dove egli fece Cristo nel Giordano che aspetta San Giovanni, il quale ha preso una tazza d'acqua per battez[z]arlo, mentre che un vecchio nudo si scalza e certi Angeli preparano la veste per Cristo, e sopra è il Padre che manda lo Spirito Santo al Figliuolo, sopra il battesimo in detto Duomo. E lavorò la finestra della Resurressione di Lazaro quattriduano, dove è impossibile mettere in sì poco spazio tante figure, nelle quali si conosce lo spavento e lo stupire di quel popolo, et il fetore del corpo di Lazaro, il quale fa piangere et insieme rallegrare le due sorelle de la sua resurressione; et in questa opera sono XV guagliamenti infiniti di colore sopra colore nel vetro, e vivissima certo pare ogni minima cosa nel suo genere. E chi vuol vedere quanto abbia in questa arte potuto la mano del Priore nella finestra di San Matteo sopra la cappella di esso Apostolo, guardi la mirabile invenzione di questa istoria, e vedrà vivo Cristo chiamare Matteo dal banco che lo séguiti, il quale, aprendo le braccia per riceverlo in sé, abbandona le acquistate ricchezze e ‘ tesori; et in questo mentre uno Apostolo addormentato appiè di certe scale essere svegliato da un altro con prontezza grandissima, e nel medesimo modo che vi si vede ancora un San Piero favellare con San Giovanni, sì belli l'uno e l'altro che veramente paiono divini. In questa finestra medesima sono i tempii di prospettiva, le scale e le figure talmente composte, et i paesi sì proprî fatti, che mai non si penserà che sien vetri, ma cosa piovuta da cielo a consolazione degli uomini. Fece in detto luogo la finestra di Santo Antonio e di S. Niccolò, bellissime, e due altre, dentrovi nella una la storia quando Cristo caccia i vendenti del tempio, e nell'altra l'adultera: opere veramente tutte tenute egregie e maravigliose. E talmente furono di lode, di carezze e di premii le fatiche e le virtù del Priore dagli Aretini riconosciute, et egli di tal cosa tanto contento e sodisfatto, che si risolse eleggere quella città per patria, e di franzese che era diventare aretino. Appresso, considerando seco medesimo l'arte de' vetri essere poco eterna per le rovine che nascono ognora in tali opre, gli venne desiderio di darsi alla pittura; e così dagli Operai di quel Vescovado prese a fare tre grandissime volte a fresco, pensando lasciar di sé memoria; e gli Aretini in ricompensa gli fecero dare un podere, ch'era della Fraternita di Santa Maria della Misericordia, vicino alla terra, con bonissime case a godimento della vita sua, e volsero che, finita tale opera, fosse stimato per uno egregio artefice il valor di quella, e che gli Operai di ciò gli facessino buono il tutto. Per che egli si mise in animo di farsi in ciò valere, et alla similitudine delle cose della cappella di Michele Agnolo fece le figure per la altezza grandissime. E poté in lui talmente la voglia di farsi eccellente in tale arte, che ancora che e' fosse di età di L anni, migliorò di cosa in cosa, di modo che mostrò non meno conoscere et intendere il bello che in opera dilettarsi di contrafare il buono, come ne fa fede una ultima volta piccola da basso, lavorata da lui con pratica, con disegno e con intelligenza, nella quale figurò i principî del Testamento Nuovo, come nelle tre grandi il principio del Vecchio aveva fatto: onde per questa cagione voglio credere che ogni ingegno che abbia volontà di pervenire a la perfezzione, possa passare, volendo affaticarsi, il termine d'ogni scienza. Egli si spaurì bene nel principio di quelle per la grandezza e per non aver più fatto: il che fu cagione ch'egli mandò a Roma per maestro Giovanni Franzese miniatore, il quale venendo in Arezzo fece in fresco sopra Santo Antonio uno arco con un Cristo, e nella Compagnia il segno che portano quegli in processione, che gli furono fatti lavorare dal Priore, et egli molto diligentemente gli condusse. In questo medesimo tempo fece alla chiesa di San Francesco l'occhio della chiesa nella facciata dinanzi, opera grande, nel quale finse il Papa nel consistorio e la residenza de' cardinali, dove San Francesco porta le rose di gennaio e per la confermazione della Regola va a Roma; nella quale opera mostrò quanto egli de componimenti s'intendesse, che veramente si può dire lui esser nato per quello essercizio: quivi non pensi artefice alcuno, di bellezza, di copia di figure né di grazia già mai paragonarlo. Sono infinite opere di finestre per quella città, tutte bellissime; e nella Madonna delle Lagrime l'occhio grande con l'Assunzione della Madonna et Apostoli, et una d'una Annunziata bellissima; un occhio con lo Sponsalizio, et un altro dentrovi un San Girolamo per gli Spadari; similmente giù per la chiesa tre altre finestre; e nella chiesa di San Girolamo un occhio con la Natività di Cristo, bellissimo, et ancora un altro in San Rocco. Mandonne eziandio in diversi luoghi, come a Castilion del Lago, et a Fiorenza a Lodovico Caponi una per in Santa Felicita, dove è la tavola di Iacopo da Puntormo pittore eccellentissimo, e la cappella lavorata da lui a olio in muro et in fresco et in tavola; la quale finestra venne nelle mani de' frati Gesuati, che in Fiorenza lavorano di tal mestiero, et essi la scommessero tutta per vedere i modi di quello, e molti pezzi per saggi ne levarono e di nuovo vi rimessero, e finalmente la mutarono di quel ch'ella era. Volse ancora colorire a olio, e fece in San Francesco d'Arezzo, alla cappella della Concezzione, una tavola, nella quale sono alcune vestimenta molto bene condotte, e molte teste vivissime e tanto belle, che egli ne restò onorato per sempre, essendo questa la prima opera che egli avesse mai fatta ad olio. Era il Priore persona molto onorevole, e si dilettava cultivare et acconciare. Comperò un bellissimo casamento, e fece in quello infiniti bonificamenti. E come uomo religioso, tenne di continuo costumi bonissimi; et il rimorso della conscienza, per la partita che fece da' frati, lo teneva molto aggravato. Per il che a San Domenico d'Arezzo, convento della sua Religione, fece una finestra alla cappella dello altar maggiore, bellissima, nella quale fece una vite ch'esce di corpo a San Domenico e fa infiniti Santi frati, i quali fanno lo albero della Religione, et a sommo è la Nostra Donna e Cristo che sposa Santa Caterina sanese: cosa molto lodata e di gran maestria, della quale non volse premio, parendoli avere molto obligo a quella Religione. Mandò a Perugia in San Lorenzo una bellissima finestra, et altre infinite in molti luoghi intorno ad Arezzo. E perché era molto vago delle cose d'architettura, fece per quella terra a' cittadini assai disegni di fabbriche e di ornamenti per la città, le due porte di San Rocco di pietra, e lo ornamento di macigno che si mise alla tavola di maestro Luca in San Girolamo. Nella Badia a Cipriano d'Anghiari ne fece uno, e nella Compagnia della Trinità alla cappella del Crocifisso uno altro ornamento, et un lavamani ricchissimo nella sagrestia, i quali Santi scarpellino condusse in opera perfettamente. Laonde egli, che di lavorare sempre aveva diletto, continuando il verno e la state il lavoro del muro, il quale chi è sano fa divenire infermo, prese tanta umidità, che la borsa de' granelli si gli riempiè d'acqua talmente, che foratagli da' medici, in pochi giorni rese l'anima a chi gliene aveva donata; e come buon cristiano prese i sacramenti della chiesa e fece testamento. Appresso, avendo speziale divozione nei romiti camaldolesi, i quali vicino ad Arezzo XX miglia sul giogo d'Apennino fanno congregazione, lasciò loro l'avere et il corpo suo; et a Pastorino da Siena suo garzone, ch'era stato seco molti anni, lasciò i vetri e le masserizie da lavorare, ancora che costui abbia fatto poi poche cose di quella professione. Lo seguitò molto un Maso Porro cortonese, che valse più nel commetterle e nel cuocere i vetri che nel dipignerle. Furono suoi creati Batista Borro aretino, il quale delle fenestre molto lo va imitando, et insegnò i primi principii a Benedetto Spadari et a Giorgio Vasari aretino. Visse il Priore anni LXII, e morì l'anno MDXXXVII. Merita infinite lodi il Priore, da che per lui in Toscana è condotta l'arte del lavorare i vetri con quella maestria e sottigliezza che desiderare si puote. E perciò, sendoci stato di tanto beneficio sì largo, ancora saremo a lui d'onore e d'eterne lode abondevoli, esaltandolo nella vita e nell'opere del continovo.