BRAMANTE DA URBINO architetore
Di grandissimo giovamento alla architettura fu veramente il moderno operare di Filippo Brunellesco, avendo egli contrafatto l'opere egregie de' più dotti e maravigliosi antichi, per esemplo tolti da lui a questa nuova imitazione del buono et a conservazione del bello, ch'egli poi, seguitando gli edifici, mise a luce nell'opere sue. Ma non fu manco necessario al secolo nostro il creare Giulio II, pontefice animoso e nel lasciar memorie di sé curiosissimo, perché, stante questa sua ardentissima voglia, era necessario che Bramante in questo tempo nascesse, acciò, seguitando le vestigie di Filippo, facesse agli altri dopo lui strada sicura nella professione della architettura, essendo egli di animo, valore, ingegno e scienza in quella arte non solamente teorico, ma pratico et esercitato sommamente: né poteva la natura formare uno ingegno più spedito, che esercitasse e mettesse in opera le cose della arte con maggiore invenzione e misura e con tanto fondamento quanto costui. Giovò ben molto alla virtù sua il trovare un principe - il che agli ingegni grandi avviene rare volte -, a le spese del quale e' potesse mostrare il valore dello ingegno suo e quelle artificiose difficultà che nella architettura mostrò Bramante; a virtù del quale si estese tanto negli edifici da lui fabricati, che le modanature delle cornici, i fusi delle colonne, la grazia de' capitegli, le base, le mensole, et i cantoni, le volte, le scale, i risalti, et ogni ordine d'architettura tirato per consiglio o modello di questo artefice riuscì sempre maraviglioso a chiunque lo vide: laonde quello obligo eterno che hanno gli ingegni che studiano sopra i sudori antichi, mi pare che ancora lo debbano avere alle fatiche di Bramante; perché, se pure i Greci furono inventori della architettura e i Romani imitatori, Bramante non solo imitandogli con invenzion nuova ci insegnò, ma ancora bellezza e difficultà accrebbe grandissima all'arte, la quale per lui imbellita oggi veggiamo. Costui nacque in Castello Durante, nello stato di Urbino, d'una povera persona, ma di buone qualità; e nella sua fanciullezza, oltra il leggere e lo scrivere, si esercitò grandemente nello abbaco. Ma il padre, che aveva bisogno che e' guadagnasse, vedendo che egli si dilettava molto del disegno, lo indirizzò ancora fanciulletto a l'arte della pittura; nella quale studiò egli molto le cose di fra' Bartolomeo, altrimenti fra' Carnovale da Urbino, che fece la tavola di Santa Maria della Bella in Urbino. Ma perché egli sempre si dilettò de l'architettura e de la prospettiva, si partì da Castel Durante; e condottosi in Lombardia, andava ora in questa ora in quella città lavorando il meglio che e' poteva, non però cose di grande spesa o di molto onore, non avendo ancora né nome né credito. Per il che deliberatosi di vedere almeno qualcosa notabile, si trasferì a Milano per vedere il Duomo, dove allora si trovava un Cesare Cesariano, reputato buono geometra e buono architettore, il quale comentò Vitruvio: e disperato di non averne avuto quella remunerazione che egli si aveva promessa, diventò sì strano che non volse più operare, e divenuto salvatico morì più da bestia che da persona. Eravi ancora un Bernardino da Triviglio, milanese, ingegnere et architettore del Duomo e disegnatore grandissimo, il quale da Lionardo da Vinci fu tenuto maestro raro, ancora che la sua maniera fusse crudetta et alquanto secca nelle pitture. Vedesi di costui in testa del chiostro delle Grazie una Resurressione di Cristo con alcuni scórti bellissimi, et in San Francesco una cappella a fresco, dentrovi la morte di San Piero e di San Paulo. Ma per tornare a Bramante, considerata che egli ebbe questa fabbrica e conosciuti questi ingegneri, si inanimì di sorte che egli si risolvé del tutto darsi a l'architettura. Laonde partitosi da Milano, se ne venne a Roma innanzi lo Anno Santo del MD, dove conosciuto da alcuni suoi amici e del paese e lombardi, gli fu dato da dipignere a San Giovanni Laterano sopra la Porta Santa, che s'apre per il Giubbileo, una arme di papa Alessandro VI lavorata in fresco, con Angeli e figure che la sostengono. Aveva Bramante recato di Lombardia, e guadagnati in Roma a fare alcune cose, certi danari, i quali con una masserizia grandissima spendeva, desideroso poter viver del suo et insieme, senza avere a lavorare, potere agiatamente misurare tutte le fabriche antiche di Roma. E messovi mano, solitario e cogitativo se n'andava, e fra non molto spazio di tempo misurò quanti edifizii erono in quella città e fuori per la campagna. E scoperto in questo modo l'animo di Bramante, il cardinale di Napoli, datoli d'occhio, prese a favorirlo. Donde Bramante seguitando lo studio, essendo venuto voglia al cardinal detto di far rifare a' frati della Pace il chiostro di trevertino, ebbe il carico di questo chiostro. Per il che desiderando di acquistare e di gratuirsi molto quel cardinale, si messe a l'opera con ogni industria e diligenzia, e prestamente e perfettamente la condusse al fine; et ancora che egli non fusse di tutta bellezza, gli diede grandissimo nome, per non essere in Roma molti che attendessino alla architettura con tanto amore, studio e prestezza quanto Bramante. Pervenne la fama di questa prestezza agli orecchi di Giulio Secondo, il quale per ciò gli messe in mano l'opera dei corridori di Belvedere, i quali furono da lui con grandissima prestezza condotti. Et era tanta la furia di lui che faceva e del Papa che aveva voglia che tali fabriche non si murassero ma nascessero, che i fondatori portavano di notte la sabbia e il pancone fermo della terra, e la cavavano di giorno in presenza a Bramante, perch'egli senza altro vedere faceva fondare. La quale inavvertenza fu cagione che le sue fatiche sono tutte crepate e stanno a pericolo di ruinare, come fece questo medesimo corridore, del quale un pezzo di braccia ottanta ruinò a terra al tempo di Clemente VII, e fu rifatto poi da papa Paulo III, et egli ancora lo fece rifondare e ringrossare. Sono di suo in Belvedere molte salite di scale, variate secondo i luoghi suoi alti e bassi, cosa bellissima, con ordine dorico, ionico e corintio: opera condotta con somma grazia; et aveva di tutto fatto un modello che dicono essere stato cosa maravigliosa, come ancora si vede il principio di tale opera così imperfetta. Fece oltra questo una scala a chiocciola su le colonne che salgono, sì che a cavallo vi si camina, nella quale il dorico entra nello ionico e così nel corintio, e de l'uno salgono ne l'altro: cosa condotta con somma grazia e con artifizio certo eccellente, la quale non gli fa manco onore che cosa che sia quivi di man sua. Per il che meritò dal Papa, che sommamente lo amava per le sue virtù, di essere fatto degno dell'ufficio del Piombo, nel quale fece uno edificio da improntar le bolle con una vite molto bella. Si risolvé il Papa di mettere in strada Giulia, da Bramante indrizzata, tutti gli uffici e le ragioni di Roma in un luogo, per la comodità ch'ai negoziatori averia recato nelle faccende, essendo continuamente fino allora state molto scomode. Onde Bramante diede principio al palazzo ch'a San Biagio sul Tevere si vede, nel quale è ancora un tempio corintio non finito, cosa molto rara, et il resto del principio di opera rustica bellissimo. Fece ancora a San Pietro a Montorio di trevertino, nel primo chiostro, un tempio tondo, del quale non può di proporzione, ordine e varietà imaginarsi e di grazia il più garbato né meglio inteso; e molto più bello sarebbe se fusse tutta la fabbrica del chiostro, che non è finita, condotta come si vede in un suo disegno. Fece fare in Borgo il palazzo che fu di Raffaello da Urbino, lavorato di mattoni e di getto con casse, le colonne e le bozze di opera dorica e rustica, cosa molto bella et invenzion nuova del fare le cose gettate. Fece ancora il disegno et ordine dell'ornamento di Santa Maria da Loreto, che da Andrea Sansovino fu poi continuato; et infiniti modelli di palazzi e tempii, i quali sono in Roma e per lo stato della Chiesa. Era tanto terribile l'ingegno di questo maraviglioso artefice, che e' rifece un disegno grandissimo per restaurare e dirizzare il palazzo del Papa. E tanto gli era cresciuto l'animo, vedendo le forze del Papa e la volontà sua corrispondere allo ingegno et alla voglia che esso aveva, che sentendolo avere volontà di buttare in terra la chiesa di Santo Pietro per rifalla di nuovo, gli fece infiniti disegni; ma fra gli altri ne fece uno che fu molto mirabile, dove egli mostrò quella intelligenzia che si poteva maggiore. E così resoluto il Papa di dar principio alla grandissima e terribilissima fabbrica di San Pietro, ne fece rovinare la metà; e postovi mano, con animo che di bellezza, arte, invenzione et ordine, così di grandezza come di ricchezza e d'ornamento avessi a passare tutte le fabbriche che erano state fatte in quella città dalla potenzia di quella Republica e dall'arte et ingegno di tanti valorosi maestri, con la solita prestezza la fondò, et in gran parte innanzi alla morte del Papa e sua la tirò alta fino a la cornice, dove sono gli archi a tutti i quattro pilastri, e voltò quegli con somma prestezza et arte. Fece ancora volgere la cappella principale, dov'è la nicchia, attendendo insieme a far tirare inanzi la cappella che si chiama del re di Francia. Egli trovò in tal lavoro il modo del buttar le volte con le casse di legno, che intagliate vengano co' suoi fregi e fogliami di mistura di calce; e mostrò negli archi che sono in tale edificio il modo del voltargli con i ponti impiccati, come abbiamo veduto seguitare poi da Anton da San Gallo. Vedesi in quella parte ch'è finita di suo, la cornice che rigira attorno di dentro correre in modo con grazia che il disegno di quella non può nessuna mano meglio in essa levare e sminuire. Si vede ne' suoi capitegli, che sono a foglie di ulivo di dentro, et in tutta l'opera, dorica di fuori, stranamente bellissima, di quanta terribilità fosse l'animo di Bramante, che invero, s'egli avesse avuto le forze eguali allo ingegno di che aveva adorno lo spirito, certissimamente avrebbe fatto cose inaudite più che non fece. Fu persona molto allegra e piacevole, e si dilettò sempre di giovare a' prossimi suoi; e dicesi che non fu molto inclinato a la religione, ma amicissimo delle persone ingegnose e favorevole a quelle in ciò che e' poteva, come si vede che egli fece al grazioso Raffaello Sanzio da Urbino, pittor celebratissimo, che da lui fu condotto a Roma. Sempre splendidissimamente si onorò e visse: et al grado dove i meriti della sua vita l'avevano posto, era niente quel che aveva a petto a quello che egli avrebbe speso. Dilettavasi de la poesia e volentieri udiva e diceva improviso in su la lira, e componeva qualche sonetto, se non così delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti. Fu grandemente stimato dai prelati, e presentato da infiniti signori che lo conobbero. Ebbe in vita grido grandissimo e maggiore ancora dopo morte, perché la fabbrica di San Piero restò adietro molti anni. Visse Bramante anni LXX, e in Roma con onoratissime esequie fu portato dalla corte del Papa e da tutti gli scultori, architettori e pittori. Fu sepolto in San Piero l'anno MDXIIII. Et è stato dipoi onorato con questo epitaffio: MAGNUS ALEXANDER MAGNAM CUM CONDERET URBEM NILIACIS ORIS DINOCRATEN HABUIT, SED SI BRAMANTEM TELLUS ANTIQUA TULISSET HIC MACEDUM REGI GRATIOR ESSET EO. Fu di grandissima perdita all'architettura la morte di Bramante, il quale fu investigatore di molte buone arti aggiunte a quella, come l'invenzione del buttar le volte di getto e lo stucco, l'uno e l'altro usato dagli antichi, ma stato perduto da le ruine loro fino al suo tempo: onde quegli che vanno misurando le cose antiche d'architettura trovano in quelle di Bramante non meno scienza e disegno che si faccino in tutte quelle. Onde può rendersi a quegli che conoscono tal perfessione, uno degli ingegni rari che hanno illustrato il secol nostro. Lasciò suo domestico amico Giulian Leno, che molto valse nelle fabbriche de' tempi suoi.