GIORGIONE DA CASTELFRANCO pittor veniziano
Quegli che con le fatiche cercano la virtù, ritrovata che l'hanno, la stimano come vero tesoro e ne diventano amici, né si partono già mai da essa; con ciò sia che non è nulla il cercare delle cose, ma la difficultà è, poi che le persone l'hanno trovate, il saperle conservare et accrescere. Per che ne' nostri artefici si sono molte volte veduti sforzi maravigliosi di natura nel dar saggio di loro, i quali per la lode montati poi in superbia, non solo non conservano quella prima virtù che hanno móstro e con difficultà messo in opera, ma mettono, oltra il primo capitale, in bando la massa degli studî nell'arte da principio daùllor cominciati, dove non manco sono additati per dimenticanti ch'e' si fossero da prima per stravaganti e rari e dotati di bello ingegno. Ma non già così fece il nostro Giorgione, il quale imparando senza maniera moderna, cercò nello stare co' Bellini in Venezia, e da sé, di imitare sempre la natura il più che e' poteva; né mai per lode che e' ne acquistasse intermisse lo studio suo, anzi quanto più era giudicato eccellente da altri, tanto pareva aùllui saper meno quando a paragone delle cose vive considerava le sue pitture, le quali, per non essere in loro la vivezza dello spirito, reputava quasi nonnulla. Per il che tanta forza ebbe in lui questo timore, che lavorando in Vinegia fece maravigliare non solo quegli che nel suo tempo furono, ma quegli ancora che vennero dopo lui. Ma perché meglio si sappia l'origine et il progresso d'un maestro tanto eccellente, cominciando da' suoi principii, dico che in Castelfranco in sul Trevisano nacque l'anno MCCCCLXXVII Giorgio, dalle fattezze della persona e da la grandezza dell'animo chiamato poi col tempo Giorgione; il quale, quantunque egli fusse nato di umilissima stirpe, non fu però se non gentile e di buoni costumi in tutta sua vita. Fu allevato in Vinegia, e dilettossi continovamente delle cose d'amore, e piacqueli il suono del liuto mirabilmente, anzi tanto, che egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente che egli era spesso per quello adoperato a diverse musiche et onoranze e ragunate di persone nobili. Attese al disegno e lo gustò grandemente, et in quello la natura lo favorì sì forte, che egli, innamoratosi di lei, non voleva mettere in opera cosa che egli dal vivo non la ritraessi; e tanto le fu suggetto e tanto andò imitandola, che non solo egli acquistò nome di aver passato Gentile e Giovanni Bellini, ma di competere con coloro che lavoravano in Toscana et erano autori della maniera moderna. Diedegli la natura tanto benigno spirito, che egli nel colorito a olio et a fresco fece alcune vivezze et altre cose morbide et unite e sfumate talmente negli scuri, ch'e' fu cagione che molti di quegli che erano allora eccellenti confessassino lui esser nato per metter lo spirto nelle figure e per contraffar la freschezza della carne viva più che nessuno che dipignesse, non solo in Venezia, ma per tutto. Lavorò in Venezia nel suo principio molti quadri di Nostre Donne et altri ritratti di naturale, che son e vivissimi e belli, come ne può far fede uno che è in Faenza in casa Giovanni da Castel Bolognese, intagliatore eccellente, che è fatto per il suocero suo: lavoro veramente divino, perché vi è una unione sfumata ne' colori, che pare di rilievo più che dipinto. Dilettossi molto del dipignere in fresco, e fra molte cose che fece, egli condusse tutta una facciata di Ca' Soranzo in su la piazza di San Polo, nella quale, oltra molti quadri e storie et altre sue fantasie, si vede un quadro lavorato a olio in su la calcina: cosa che ha retto alla acqua, al sole et al vento e conservatasi fino ad oggi. Crebbe tanto la fama di Giorgione per quella città, che avendo il Senato fatto fabricare il palazzo detto il Fondaco de' Todeschi al Ponte del Rialto, ordinarono che Giorgione dipignesse a fresco la facciata di fuori; dove egli messovi mano, si ac[c]ese talmente nel fare, che vi sono teste e pezzi di figure molto ben fatte e colorite vivacissimamente, et attese in tutto quello che egli vi fece che traesse al segno delle cose vive e non a imitazione nessuna della maniera. La quale opera è celebrata in Venezia e famosa non meno per quello che e' vi fece che per il comodo delle mercanzie et utilità del publico. Gli fu allogata la tavola di San Giovan Grisostimo di Venezia, che è molto lodata, per avere egli in certe parti imitato forte il vivo della natura e dolcemente allo scuro fatto perdere l'ombre delle figure. Fugli allogato ancora una storia, che poi, quando l'ebbe finita,fu posta nella Scuola di San Marco in su la piazza di San Giovanni e Paulo, nella stanza dove si raguna l'Offizio, in compagnia di diverse storie fatte da altri maestri; nella quale è una tempesta di mare e barche che hanno fortuna, et un gruppo di figure in aria e diverse forme di diavoli che soffiano i venti, et altri in barca che remano. La quale per il vero è tale e sì fatta che né pennello né colore né immaginazion di mente può esprimere la più orrenda e più paurosa pittura di quella, avendo egli colorito sì vivamente la furia dell'onde del mare, il torcere delle barche, il piegar de' remi et il travaglio di tutta quell'opera, nella scurità di quel tempo, per i lampi e per l'altre minuzie che contraffece Giorgione, che e' si vede tremare la tavola e scuotere quell'opera come ella fusse vera. Per la qual cosa certamente lo annovero fra que' rari che possono esprimere nella pittura il concetto de' loro pensieri, avvengaché, mancato il furore, suole addormentarsi il pensiero, durandosi tanto tempo a condurre una opera grande. Questa pittura è tale per la bontà sua e per lo avere espresso quel concetto difficile, che e' meritò di essere stimato in Venezia et onorato da noi fra i buoni artefici. Lavorò un quadro d'un Cristo che porta la croce et un giudeo lo tira, il quale col tempo fu posto nella chiesa di Santo Rocco, et oggi, per la devozione che vi hanno molti, fa miracoli, come si vede. Lavorò in diversi luoghi, come a Castelfranco e nel Trevisano, e fece molti ritratti a varî prìncipi italiani, e fuor di Italia furon mandate molte de l'opere sue come cose degne veramente, per far testimonio che, se la Toscana soprabbondava di artefici in ogni tempo, la parte ancora di là vicino a' monti non era abbandonata e dimenticata sempre dal Cielo. Mentre Giorgione attendeva ad onorare e sé e la patria sua, nel molto conversar che e' faceva per trattenere con la musica molti suoi amici, si innamorò di una madonna, e molto goderono l'uno e l'altra de' loro amori. Avvenne che l'anno MDXI ella infettò di peste; non ne sapendo però altro e praticandovi Giorgione al solito, se li apiccò la peste di maniera che in breve tempo, nella età sua di XXXIIII anni, se ne passò a l'altra vita, non senza dolore infinito di molti suoi amici che lo amavano per le sue virtù; e ne increbbe ancora a tutta quella città. Pure tollerarono il danno e la perdita con lo essere restati loro duoi eccellenti suoi creati: Sebastiano Viniziano, che fu poi frate del Piombo a Roma, e Tiziano da Cador, che non solo lo paragonò, ma lo ha superato grandemente, come ne fanno fede le rarissime pitture sue et il numero infinito de' bellissimi suoi ritratti di naturale, non solo di tutti i principi cristiani, ma de' più belli ingegni che sieno stati ne' tempi nostri. Costui dà, vivendo, vita alle figure che e' fa vive, come darà e vivo e morto fama et alla sua Venezia et alla nostra terza maniera. Ma perché e' vive e si veggono l'opere sue, non accade qui ragionarne.