INTRODUZZIONE DI MESSER GIORGIO VASARI PITTORE ARETINO ALLE TRE ARTI DEL DISEGNO cioè ARCHITETTURA, PITTURA E SCOLTURA, E PRIMA DELL'ARCHITETTURA
Cap. I. Delle diverse pietre che servono agl'architetti per gl'ornamenti e per le statue della Scultura.
Quanto sia grande l'utile che ne apporta l'architettura non accade a me raccontarlo, per trovarsi molti scrittori i quali diligentissimamente et a lungo n'hanno trattato. E per questo, lasciando da una parte le calcine, le arene, i legnami, i ferramenti, e ‘l modo del fondare e tutto quello che si adopera alla fabrica, e l'acque, le regioni e i siti, largamente già descritti da Vitruvio e dal nostro Leon Batista Alberti, ragionerò solamente, per servizio de' nostri artefici e di qualunque ama di sapere, come debbano essere universalmente le fabriche e quanto di proporzione unite e di corpi per conseguire quella graziata bellezza che si desidera: brevemente raccorrò insieme tutto quello che mi parrà necessario a questo proposito. Et acciò che più manifestamente apparisca la grandissima difficultà del lavorar delle pietre che son durissime e forti, ragioneremo distintamente, ma con brevità, di ciascuna sorte di quelle che maneggiano i nostri artefici, e primieramente del porfido. Questo è una pietra rossa con minutissimi schizzi bianchi, condotta nella Italia già dell'Egitto, dove comunemente si crede che nel cavarla ella sia più tenera che quando ella è stata fuori della cava alla pioggia, al ghiaccio e al sole, perché tutte queste cose la fanno più dura e più difficile a lavorarla. Di questa se ne veggono infinite opere, lavorate parte con gli scarpelli, parte segate e parte con ruote e con smerigli consumate a poco a poco, come se ne vede in diversi luoghi diversamente più cose: cioè quadri, tondi et altri pezzi spianati per far pavimenti, e così statue per gli edifici, et ancora grandissimo numero di colonne e picciole e grandi, e fontane con teste di varie maschere intagliate con grandissima diligenza. Veggonsi ancora oggi sepolture con figure di basso e mezzo rilievo condotte con gran fatica, come al tempio di Bacco fuor di Roma, a Santa Agnesa, la sepoltura che e' dicono di santa Gostanza figliuola di Gostantino imperadore, dove son dentro molti fanciulli con pampani et uve, che fanno fede della difficultà ch'ebbe chi la lavorò nella durezza di quella pietra. Il medesimo si vede in un pilo a Santo Ianni Laterano vicino alla Porta Santa, ch'è storiato et èvvi dentro gran numero di figure. Vedesi ancora sulla piazza della Ritonda una bellissima cassa fatta per sepoltura, la quale è lavorata con grande industria e fatica, et è per la sua forma di grandissima grazia e di somma bellezza e molto varia dall'altre. Et in casa di Egidio e di Fabio Sasso ne soleva essere una figura a sedere di braccia tre e mez[z]o, condotta a' dì nostri con il resto de l'altre statue in casa Farnese. Nel cortile ancora di casa La Valle, sopra una finestra, una lupa molto eccellente, e nel lor giardino i due prigioni legati del medesimo porfido, i quali son quattro braccia d'altezza l'uno, lavorati dagli antichi con grandissimo giudicio, i quali sono oggi lodati straordinariamente da tutte le persone eccellenti, conoscendosi la difficultà che hanno avuto a condurli per la durezza della pietra. A' dì nostri non s'è mai condotto pietre di questa sorte a perfezzione alcuna per avere gli artefici nostri perduto il modo del temperare i ferri e così gli altri stormenti da condurle. Vero è che se ne va segando con lo smeriglio rocchî di colonne e molti pezzi per accomodarli in ispartimenti per piani, e così in altri varii ornamenti per fabriche, andandolo consumando a poco a poco con una sega di rame senza denti tirata dalle braccia di due uomini, la quale, con lo smeriglio ridotto in polvere e con l'acqua che continuamente la tenga molle, finalmente pur lo ricide. E se bene si sono in diversi tempi provati molti begli ingegni per trovare il modo di lavorarlo che usarono gli antichi, tutto è stato invano; e Leon Battista Alberti, il quale fu il primo che cominciasse a far pruova di lavorarlo, non però in cose di molto momento, non truovò, fra' molti che ne mise in pruova, alcuna tempera che facesse meglio che il sangue di becco, perché, se bene levava poco di quella pietra durissima nel lavorarla e sfavillava sempre fuoco, gli servì nondimeno di maniera che fece fare nella soglia della porta principale di Santa Maria Novella di Fiorenza le diciotto lettere antiche che, assai grandi e ben misurate, si veggono dalla parte dinanzi in un pezzo di porfido, le quali lettere dicono: BERNARDO ORICELLARIO. E perché il taglio dello scarpello non gli faceva gli spigoli né dava all'opera quel pulimento e quel fine che le era necessario, fece fare un mulinello a braccia con un manico a guisa di stidione, che agevolmente si maneggiava apontandosi uno il detto manico al petto e nella inginocchiatura mettendo le mani per girarlo; e nella punta, dove era o scarpello o trapano, avendo messo alcune rotelline di rame, maggiori e minori secondo il bisogno, quelle imbrattate di smeriglio, con levare a poco a poco e spianare, facevano la pelle e gli spigoli, mentre con la mano si girava destramente il detto mulinello. Ma con tutte queste diligenze non fece però Leon Batista altri lavori, perché era tanto il tempo che si perdeva che, mancando loro l'animo, non si mise altramente mano a statue, vasi o altre cose sottili. Altri poi, che si sono messi a spianare pietre e rapezzar colonne col medesimo segreto, hanno fatto in questo modo. Fannosi per questo effetto alcune martella gravi e grosse con le punte d'acciaio temperato fortissimamente col sangue di becco e lavorate a guisa di punte di diamanti, con le quali picchiando minutamente in sul porfido e scantonandolo a poco a poco il meglio che si può, si riduce pur finalmente o a tondo o a piano come più aggrada all'artefice, con fatica e tempo non picciolo, ma non già a forma di statue- ché di questo non abbiamo la maniera -, e si gli dà il pulimento con lo smeriglio e col cuoio strofinandolo, che viene di lustro molto pulitamente lavorato e finito. Et ancorché ogni giorno si vadino più assottigliando gl'ingegni umani e nuove cose investigando, nondimeno anco i moderni, che in diversi tempi hanno per intagliar il porfido provato nuovi modi, diverse tempre et acciai molto ben purgati, hanno, come si disse di sopra, insino a pochi anni sono faticato invano. E pur l'anno 1553, avendo il signor Ascanio Colonna donato a papa Giulio III una tazza antica di porfido bellissima larga sette braccia, il Pontefice per ornarne la sua vigna ordinò, mancandole alcuni pezzi, che la fusse restaurata; per che, mettendosi mano all'opera e provandosi molte cose per consiglio di Michelagnolo Buonarroti e d'altri eccellentissimi maestri, dopo molta lunghezza di tempo fu disperata l'impresa, massimamente non si potendo in modo nessuno salvare alcuni canti vivi come il bisogno richiedeva. E Michelagnolo, pur avezzo alla durezza de' sassi, insieme con gl'altri se ne tolse giù né si fece altro. Finalmente, poi che niuna altra cosa in questi nostri tempi mancava alla perfezzione delle nostr'arti che il modo di lavorare perfettamente il porfido, acciò che neanco questo si abbia a disiderare, si è in questo modo ritrovato. Avendo l'anno 1555 il signor duca Cosimo condotto dal suo palazzo e giardino de' Pitti una bellissima acqua nel cortile del suo principale palazzo di Firenze per farvi una fonte di straordinaria bellezza, trovati fra i suoi rottami alcuni pezzi di porfido assai grandi, ordinò che di quelli si facesse una tazza col suo piede per la detta fonte; e per agevolar al maestro il modo di lavorar il porfido, fece di non so che erbe stillar un'acqua di tanta virtù che, spegnendovi dentro i ferri bollenti, fa loro una tempera durissima. Con questo segreto adunque, secondo ‘l disegno fatto da me, condusse Francesco del Tadda, intagliator da Fiesole, la tazza della detta fonte, che è larga due braccia e mezzo di diametro, et insieme il suo piede, in quel modo che oggi ella si vede nel detto palazzo. Il Tadda, parendogli che il segreto datogli dal Duca fusse rarissimo, si mise a far prova d'intagliar alcuna cosa, e gli riuscì così bene che in poco tempo ha fatto in tre ovati di mezzo rilievo grandi quanto il naturale il ritratto d'esso signor duca Cosimo, quello della duchessa Leonora et una testa di Gesù Cristo, con tanta perfezzione che i capegli e le barbe, che sono dificilissimi nell'intaglio, sono condotti di maniera che gl'antichi non stanno punto meglio. Di queste opere ragionando il signor Duca con Michelagnolo quando Sua Ecc[ellenza]fu in Roma, non voleva creder il Buonarroto che così fusse, per che, avendo io d'ordine del Duca mandata la testa del Cristo a Roma, fu veduta con molta maraviglia da Michelagnolo, il quale la lodò assai e si rallegrò molto di veder ne' tempi nostri la scultura arric[c]hita di questo rarissimo dono, cotanto invano insino a oggi disiderato. Ha finito ultimamente il Tadda la testa di Cosimo Vecchio de' Medici in uno ovato, come i detti di sopra, et ha fatto e fa continuamente molte altre somiglianti opere. Restami a dire del porfido che, per essersi oggi smarrite le cave di quello, è per ciò necessario servirsi di spoglie e di frammenti antichi e di rocchî di colonne et altri pezzi, e che però bisogna a chi lo lavora avvertire se ha avuto il fuoco, perciò che, quando l'ha avuto, se bene non perde in tutto il color né si disfà, manca nondimeno pure assai di quella vivezza che è sua propria e non piglia mai così bene il pulimento come quando non l'ha avuto, e, che è peggio, quello che ha avuto il fuoco si schianta facilmente quando si lavora. E da sapere ancora, quanto alla natura del porfido, che messo nella fornace non si cuoce e non lascia interamente cuocer le pietre che gli sono intorno, anzi, quanto a sé, incrudelisce; come ne dimostrano le due colonne che i Pisani, l'anno 1117, donarono a' Fiorentini dopo l'acquisto di Maiolica, le quali sono oggi alla porta principale del tempio di San Giovanni, non molto bene pulite e senza colore per avere avuto il fuoco, come nelle sue storie racconta Giovan Villani. Succede al porfido il serpentino, il quale è pietra di color verde scuretta alquanto con alcune crocette dentro giallette e lunghe per tutta la pietra, della quale nel medesimo modo si vagliano gli artefici per far colonne e piani per pavimenti per le fabriche. Ma di questa sorte non s'è mai veduto figure lavorate, ma sì bene infinito numero di base per le colonne e piedi di tavole et altri lavori più materiali, perché questa sorte di pietra si schianta, ancorché sia dura più che ‘l porfido e riesce a lavorarla più dolce e men faticosa che ‘l porfido; e cavasi in Egitto e nella Grecia, e la sua saldezza ne' pezzi non è molto grande, conciosiaché di serpentino non si è mai veduto opera alcuna in maggior pezzo di braccia tre per ogni verso, e sono state tavole e pezzi di pavimenti. Si è trovato ancora qualche colonna, ma non molto grossa né larga, e similmente alcune maschere e mensole lavorate, ma figure non mai. Questa pietra si lavora nel medesimo modo che si lavora il porfido. Più tenera poi di questa è il cipollaccio, pietra che si cava in diversi luoghi, il quale è di color verde acerbo e gialletto et ha dentro alcune macchie nere quadre, picciole e grandi, e così bianche alquanto grossette; e si veggono di questa sorte in più luoghi colonne grosse e sottili, e porte et altri ornamenti, ma non figure. Di questa pietra è una fonte in Roma in Belvedere, cioè una nicchia in un canto del giardino dove sono le statue del Nilo e del Tevere, la qual nicchia fece far papa Clemente Settimo col disegno di Michelagnolo per ornamento d'un fiume antico, acciò in questo campo fatto a guisa di scogli apparisce, come veramente fa, molto bello. Di questa pietra si fanno ancora, segandola, tavole, tondi, ovati et altre cose simili, che in pavimenti e altre forme piane fanno con l'altre pietre bellissima accompagnatura e molto vago componimento. Questa piglia il pulimento come il porfido et il serpentino, et ancora si sega come l'altre sorti di pietra dette di sopra; e se ne trovano in Roma infiniti pezzi sotterrati nelle ruine che giornalmente vengono a luce, e delle cose antiche se ne sono fatte opere moderne, porte et altre sorti d'ornamenti, che fanno, dove elle si mettono, ornamento e grandissima bellezza. Ècci un'altra pietra chiamata mischio dalla mescolanza di diverse pietre congelate insieme e fatto tutt'una dal tempo e dalla crudezza dell'acque. E di questa sorte se ne trova copiosamente in diversi luoghi, come ne' monti di Verona, in quelli di Carrara et in quei di Prato in Toscana, e ne' monti dell'Imprunetta nel contado di Firenze. Ma i più begli e ‘ migliori si sono trovati, non ha molto, a San Giusto a Monterantoli, lontano da Fiorenza cinque miglia, e di questi me n'ha fatto il signor duca Cosimo ornare tutte le stanze nuove del Palazzo in porte e camini, che sono riusciti molto belli; e per lo giardino de' Pitti se ne sono del medesimo luogo cavate colonne di braccia sette, bellissime, et io resto maravigliato che in questa pietra si sia trovata tanta saldezza. Questa pietra, perché tiene d'alberese, piglia bellissimo pulimento e trae in colore di paonazzo rossigno, macchiato di vene bianche e giallicce. Ma le più fini sono nella Grecia e nell'Egitto, dove son molto più duri che i nostri italiani; e di questa ragion pietra se ne trova di tanti colori quanto la natura lor madre s'è di continuo dilettata e diletta di condurre a perfezione. Di questi sì fatti mischî se ne veggono in Roma ne' tempi nostri opere antiche e moderne, come colonne, vasi, fontane, ornamenti di porte, e diverse incrostature per gli edifici e molti pezzi ne' pavimenti. Se ne vede diverse sorti di più colori: chi tira al giallo et al rosso, alcuni al bianco et al nero, altri al bigio et al bianco pezzato di rosso e venato di più colori; così certi rossi, verdi, neri e bianchi, che sono orientali, e di questa sorte pietra n'ha un pilo antichissimo largo braccia quattro e mezzo il signor Duca al suo giardino de' Pitti, che è cosa rarissima, per esser, come s'è detto, orientale di mischio billissimo e molto duro a lavorarsi. E cotali pietre sono tutte di specie più dura e più bella di colore e più fine, come ne fanno fede oggi due colonne di braccia dodici di altezza nella entrata di San Pietro di Roma, le quali reggono le prime navate, et una n'è da una banda, l'altra dall'altra. Di questa sorte quella ch'è ne' monti di Verona è molto più tenera che l'orientale infinitamente, e ne cavano in questo luogo d'una sorte ch'è rossiccia e tira in color ceciato; e queste sorti si lavorano tutte bene a' giorni nostri con le tempere e co' ferri sì come le pietre nostrali, e se ne fa e finestre e colonne e fontane e pavimenti e stipidi per le porte e cornici, come ne rende testimonanza la Lombardia, anzi tutta la Italia. Trovasi un'altra sorte di pietra durissima, molto più ruvida e picchiata di neri e bianchi e talvolta di rossi, dal tiglio e dalla grana di quella comunemente detta granito, della quale si truova nello Egitto saldezze grandissime e da cavarne altezze incredibili, come oggi si veggono in Roma negli obelischi, aguglie, piramidi, colonne et in que' grandissimi vasi de' bagni che abbiamo a San Piero in Vincola et a San Salvatore del Lauro et a San Marco, et in colonne quasi infinite che per la durezza e saldezza loro non hanno temuto fuoco né ferro, et il tempo istesso che tutte le cose caccia a terra non solamente non le ha distrutte, ma né pur cangiato loro il colore. E per questa cagione gli Egizzii se ne servivano per i loro morti, scrivendo in queste aguglie, coi caratteri loro strani, la vita de' grandi per mantener la memoria della nobiltà e virtù di quegli. Venivane d'Egitto medesimamente d'una altra ragione bigio, il quale trae più in verdiccio i neri et i picchiati bianchi, molto duro certamente, ma non sì che i nostri scarpellini per la fabrica di San Pietro non abbiano, delle spoglie che hanno trovato messe in opera, fatto sì che, con le tempere de' ferri che ci sono al presente, hanno ridotto le colonne e l'altre cose a quella sottigliezza ch'ànno voluto e datoli bellissimo pulimento come al porfido. Di questo granito bigio è dotata la Italia in molte parti, ma le maggiori saldezze che si trovino sono nell'isola dell'Elba, dove i Romani tennero di continuo uomini a cavare infinito numero di questa pietra; e di questa sorte ne sono parte le colonne del portico della Ritonda, le quali son molte belle e di grandezza straordinaria. E vedesi che nella cava, quando si taglia, è più tenero assai che quando è stato cavato e che vi si lavora con più facilità. Vero è che bisogna per la maggior parte lavorarlo con martelline che abbiano la punta come quelle del porfido, e nelle gradine una dentatura tagliente dall'altro lato. D'un pezzo della qual sorte pietra che era staccato dal masso, n'ha cavato il duca Cosimo una tazza tonda di larghezza di braccia dodici per ogni verso, et una tavola della medesima lung[h]ezza per lo palazzo e giardino de' Pitti. Cavasi del medesimo Egitto, e di alcuni luoghi di Grecia ancora, certa sorte di pietra nera detta paragone, la quale ha questo nome perché, volendo saggiar l'oro, s'arruota su quella pietra e si conosce il colore, e per questo paragonandovi su vien detto paragone. Di questa è un'altra specie di grana e di un altro colore, perché non ha il nero morato affatto e non è gentile, che ne fecero gli antichi alcune di quelle sfingi et altri animali, come in Roma in diversi luoghi si vede, e di maggior saldezza una figura in Parione d'uno ermafrodito accompagnata da un'altra statua di porfido bellissima. La qual pietra è dura a intagliarsi, ma è bella straordinariamente e piglia un lustro mirabile. Di questa medesima sorte se ne trova ancora in Toscana ne' monti di Prato, vicino a Fiorenza a X miglia, e così ne' monti di Carrara, della quale alle sepolture moderne se ne veggono molte casse e dipositi per i morti, come nel Carmine di Fiorenza alla capella maggiore, dove è la sepoltura di Piero Soderini (se bene non vi è dentro) di questa pietra, et un padiglione similmente di paragon di Prato, tanto ben lavorato e così lustrante che pare un raso di seta e non un sasso intagliato e lavorato. Così ancora nella incrostatura di fuori del tempio di Santa Maria del Fiore di Fiorenza per tutto lo edificio è una altra sorta di marmo nero e marmo rosso, che tutto si lavora in un medesimo modo. Cavasi alcuna sorte di marmi in Grecia e in tutte le parti d'Oriente che son bianchi e gialleggiano e traspaiono molto, i quali erano adoperati dagli antichi per bagni e per stuffe e per tutti que' luoghi dove il vento potesse offendere gli abitatori; e oggi se ne veggono ancora alcune finestre nella tribuna di San Miniato a Monte, luogo de' monaci di Monte Oliveto in su le porte di Firenza, che rendono chiarezza e non vento; e con questa invenzione riparavano al freddo e facevano lume alle abitazioni loro. In queste cave medesime cavavano altri marmi senza vene, ma del medesimo colore, del quale eglino facevano le più nobili statue. Questi marmi di tiglio e di grana erano finissimi e se ne servivano ancora tutti quegli che intagliavano capitegli, ornamenti et altre cose di marmo per l'architettura; e vi eran saldezze grandissime di pezzi, come appare ne' Giganti di Montecavallo di Roma e nel Nilo di Belvedere e in tutte le più degne e celebrate statue. E si conoscono esser greche, oltra il marmo, alla maniera delle teste et alla acconciatura del capo et ai nasi delle figure, i quali sono dall'appiccatura delle ciglia alquanto quadri fino alle nare del naso. E questo si lavora coi ferri ordinarii e coi trapani, e si gli dà il lustro con la pomice e col gesso di Tripoli, col cuoio e struffoli di paglia. Sono nelle montagne di Carrara, nella Carfagnana, vicino ai monti di Luni, molte sorti di marmi, come marmi neri et alcuni che traggono in bigio et altri che sono mischiati di rosso, e alcuni altri che son con vene bigie, che sono crosta sopra a' marmi bianchi, perché non son purgati: anzi, offesi dal tempo, dall'acqua e dalla terra, piglian quel colore. Cavansi ancora altre specie di marmi che son chiamati cipollini e saligni e campanini e mischiati, e per lo più una sorte di marmi bianchissimi e lattati che sono gentili e in tutta perfezzione per far le figure. E vi s'è trovato da cavare saldezze grandissime, e se n'è cavato ancora a' giorni nostri pezzi di nove braccia per far giganti, e d'un medesimo sasso ancora se ne sono cavati a' tempi nostri due: l'uno fu il Davitte che fece Michelagnolo Buonarroto, il quale è alla porta del Palazzo del Duca di Fiorenza, e l'altro l'Ercole e Cacco che, di mano del Bandinello, sono all'altro lato della medesima porta. Un altro pezzo ne fu cavato pochi anni sono di braccia nove perché il detto Baccio Bandinello ne facesse un Nettuno per la fonte che il Duca fa fare in piazza. Ma essendo morto il Bandinello, è stato dato poi all'Ammannato, scultore eccellente, perché ne faccia similmente un Nettuno. Ma di tutti questi marmi quelli della cava detta del Polvaccio, ch'è nel medesimo luogo, sono con manco macchie e smerigli, e senza que' nodi e nòccioli che il più delle volte sogliono esser nella grandezza de' marmi e recar non piccola difficultà a chi gli lavora e bruttezza nell'opere, finite che sono le statue. Si sono ancora dalle cave di Serravezza, in quel di Pietrasanta, avute colonne della medesima altezza, come si può vedere una di molte che avevano a essere nella facciata di San Lorenzo di Firenze, quale è oggi abbozzata fuor della porta di detta chiesa, dove l'altre sono parte alla cava rimase e parte alla marina. Ma tornando alle cave di Pietrasanta, dico che in quelle s'essercitarono tutti gli antichi, et altri marmi che questi non adoperarono per fare- que' maestri che furon sì eccellenti - le loro statue, essercitandosi di continuo, mentre si cavavono le lor pietre, per far le loro statue, in fare ne' sassi medesimi delle cave bozze di figure, come ancora oggi se ne veggono le vestigia di molte in quel luogo. Di questa sorte adunque cavano oggi i moderni le loro statue, e non solo per il servizio della Italia, ma se ne manda in Francia, in Inghilterra, in Ispagna e in Portogallo; come appare oggi per la sepoltura fatta in Napoli da Giovan da Nola, scultore eccel[l]ente, a don Pietro di Toledo viceré di quel regno, che tutti i marmi gli furon donati e condotti in Napoli dal signor duca Cosimo de' Medici. Questa sorte di marmi ha in sé saldezze maggiori e più pastose e morbide a lavorarla, e se le dà bellissimo pulimento più ch'ad altra sorte di marmo. Vero è che si viene talvolta a scontrarsi in alcune vene, domandate dagli scultori smerigli, i quali sogliono rompere i ferri. Questi marmi si abbozzano con una sorte di ferri chiamati subbie che hanno la punta a guisa di pali a facce, e più grossi e sottili; e dipoi seguitano con scarpelli detti calcagnuoli, i quali nel mezzo del taglio hanno una tacca, e così con più sottili di mano in mano che abbiano più tacche e' gli intaccano, quando sono arruotati con uno altro scarpello. E questa sorte di ferri chiamano gradine, perché con esse vanno gradinando e riducendo a fine le lor figure, dove poi con lime di ferro diritte e torte vanno levando le gradine che son restate nel marmo, e così poi con la pomice, arrotando a poco a poco, gli fanno la pelle ch'e' vogliono; e tutti gli strafori che fanno, per non intronare il marmo gli fanno con trapani di minore e maggior grandezza e di peso di dodici libre l'uno e qualche volta venti, ché di questi ne hanno di più sorte per far maggiori e minori buche, e gli servon questi per finire ogni sorte di lavoro e condurlo a perfezzione. De' marmi bianchi venati di bigio gli scultori e gli architetti ne fanno ornamenti per porte e colonne per diverse case, servonsene per pavimenti e per incrostatura nelle lor fabriche, e gli adoperano a diverse sorti di cose; similmente fanno di tutti i marmi mischiati. I marmi cipollini sono un'altra specie, di grana e colore differente, e di questa sorte n'è ancora altrove che a Carrara; e questi il più pendono in verdiccio e son pieni di vene, che servono per diverse cose e non per figure. Quegli che gli scultori chiamano saligni - che tengono di congelazione di pietra - per esservi que' lustri ch'appariscono nel sale e traspaiono alquanto, è fatica assai a farne le figure, perché hanno la grana della pietra ruvida e grossa e perché ne' tempi umidi gocciano acqua di continuo, overo sudano. Quegli che si dimandano campanini son quella sorte di marmi che suonano quando si lavorano et hanno un certo suono più acuto degli altri; questi son duri e si schiantano più facilmente che l'altre sorti sudette, e si cavano a Pietrasanta. A Seravezza ancora in più luoghi et a Campiglia si cavano alcuni marmi che sono, per la maggior parte, bonissimi per lavoro di quadro e ragionevoli ancora alcuna volta per statue; et in quel di Pisa, al monte a S. Giuliano, si cava similmente una sorte di marmo bianco che tiene d'alberese, e di questo è incrostato di fuori il Duomo et il Camposanto di Pisa, oltre a molti altri ornamenti che si veggono in quella città fatti del medesimo. E perché già si conducevano i detti marmi del monte a S. Giuliano in Pisa con qualche incommodo e spesa, oggi, avendo il duca Cosimo, così per sanare il paese come per agevolare il condurre i detti marmi et altre pietre che si cavano di que' monti, messo in canale diritto il fiume d'Osoli et altre molte acque che sorgeano in que' piani con danno del paese, si potranno agevolmente per lo detto canale condurre i marmi, o lavorati o in altro modo, con picciolissima spesa e con grandissimo utile di quella città, che è poco meno che tornata nella pristina grandezza mercé del detto signor duca Cosimo che non ha cura che maggiormente lo prema che d'aggrandire e rifar quella città, che era assai mal condotta innanzi che ne fusse Sua Eccellenza Signore. Cavasi un'altra sorte di pietra chiamata trevertino, il quale serve molto per edificare e fare ancora intagli di diverse ragioni, che per Italia in molti luoghi se ne va cavando, come in quel di Lucca et a Pisa et in quel di Siena da diverse bande; ma le maggiori saldezze e le migliori pietre, cioè quelle che son più gentili, si cavano in sul fiume del Teverone a Tigoli, ch'è tutta specie di congelazione d'acque e di terra, che per la crudezza e freddezza sua non solo congela e petrifica la terra, ma i ceppi, i rami e le fronde degli alberi. E per l'acqua che riman dentro non si potendo finire di asciugare quando elle son sotto l'acqua, vi rimangono i pori della pietra cavati, che pare spugnosa e buccheraticcia egualmente di dentro e di fuori. Gli antichi di questa sorte pietra fecero le più mirabili fabriche et edifici che facessero, come sono i Colisei e l'Erario da San Cosmo e Damiano e molti altri edifici, e ne mettevano ne' fondamenti delle lor fabriche infinito numero; e lavorandoli non furon molto curiosi di farli finire, ma se ne servivano rusticamente, e questo forse facevano perché hanno in sé una certa grandezza e superbia. Ma ne' giorni nostri s'è trovato chi gli ha lavorati sottilissimamente, come si vide già in quel tempio tondo che cominciarono e non finirono, salvo che tutto il basamento, in sulla piazza di San Luigi i Francesi in Roma; il quale fu condotto da un francese chiamato Maestro Gian, che studiò l'arte dello intaglio in Roma e divenne tanto raro che fece il principio di questa opera - la quale poteva stare al paragone di quante cose eccellenti antiche e moderne che si sian viste - d'intaglio di tal pietra, per aver straforato sfere di astrologi et alcune salamandre nel fuoco, imprese reali, et in altre libri aperti con le carte lavorati con diligenza, trofei e maschere, le quali rendono, dove sono, testimonio della eccellenza e bontà da poter lavorarsi quella pietra simile al marmo, ancorché sia rustica; e recasi in sé una grazia per tutto, vedendo quella spugnosità de' buchi unitamente, che fa bel vedere. Il qual principio di tempio, essendo imperfetto, fu levato dalla nazione franzese, e le dette pietre et altri lavori di quello posti nella fac[c]iata della chiesa di San Luigi e parte in alcune capelle, dove stanno molto bene accomodate e riescono bellissimi. Questa sorte di pietra è bonissima per le muraglie, avendo sotto squadratola o scorniciata, perché si può incrostarla di stucco con coprirla con esso et intagliarvi ciò ch'altri vuole; come fecero gli antichi nelle entrate publiche del Culiseo et in molti altri luoghi, e come ha fatto a' giorni nostri Antonio da San Gallo nella sala del palazzo del Papa dinanzi alla capella, dove ha incrostato d'i trevertini con stucco con varî intagli eccellentissimamente. Ma più d'ogni altro maestro ha nobilitata questa pietra Michelangelo Buonaroti nell'ornamento del cortile di casa Farnese, avendovi con maraviglioso giudizio fatto d'essa pietra far finestre, maschere, mensole e tante altre simili bizzar[r]ie, lavorate tutte come si fa il marmo, che non si può veder alcuno altro simile ornamento più bello. E se queste cose son rare, è stupendissimo il cornicione maggiore del medesimo palazzo nella facciata dinanzi, non si potendo alcuna cosa né più bella né più magnifica disiderare. Della medesima pietra ha fatto similmente Michilagnolo nel difuori della fabrica di San Piero certi tabernacoli grandi e, dentro, la cornice che gira intorno alla tribuna, con tanta pulitezza che, non si scorgendo in alcun luogo le commettiture, può conoscere ognuno agevolmente quanto possiamo servirci di questa sorte pietra. Ma quello che trapassa ogni maraviglia è che, avendo fatto di questa pietra la volta d'una delle tre tribune del medesimo S. Pietro, sono commessi i pezzi di maniera che non solo viene collegata benissimo la fabrica con vari' sorti di commettiture, ma pare a vederla da terra tutta lavorata d'un pezzo. Ècci un'altra sorte di pietre che tendono al nero e non servono agli architettori se non a lastricare tetti. Queste sono lastre sottili, prodotte a suolo a suolo dal tempo e dalla natura per servizio degli uomini, che ne fanno ancora pile murandole talmente insieme che elle commettino l'una ne l'altra, e le empiono d'olio secondo la capacità de' corpi di quelle, e sicurissimamente ve lo conservano. Nascono queste nella riviera di Genova in un luogo detto Lavagna, e se ne cavano pezzi lunghi X braccia, e i pittori se ne servono a lavorarvi su le pitture a olio, perché elle vi si conservano su molto più lungamente che nelle altre cose, come al suo luogo si ragionerà ne' capitoli della pittura. Aviene questo medesimo de la pietra detta piperno, da molti detta preperigno, pietra nericcia e spugnosa come il trevertino la quale si cava per la campagna di Roma, e se ne fanno stipiti di finestre e porte in diversi luoghi, come a Napoli et in Roma, e serve ella ancora a' pittori a lavorarvi su a olio, come al suo luogo racconteremo; è questa pietra alidissima, et ha anzi dell'arsiccio che no. Cavasi ancora in Istria una pietra bianca livida la quale molto agevolmente si schianta, e di questa sopra di ogni altra si serve non solamente la città di Vinegia, ma tutta la Romagna ancora, facendone tutti i loro lavori e di quadro e d'intaglio; e con sorte di stromenti e ferri più lunghi che gli altri la vanno lavorando, massimamente con certe martelline, andando secondo la falda della pietra per essere ella molto frangibile. E di questa sorte pietra ne ha messo in opera una gran copia messer Iacopo Sansovino, il quale ha fatto in Vinegia lo edificio dorico della Panatteria et il toscano alla Zecca in sulla piazza di San Marco. E così tutti i lor lavori vanno facendo per quella città, e porte, finestre, cappelle et altri ornamenti che lor vien comodo di fare, nonostante che da Verona per il fiume dello Adige abbiano comodità di condurvi i mischî et altra sorte di pietre, delle quali poche cose si veggono per aver più in uso questa, nella quale spesso vi commettono dentro porfidi, serpentini et altre sorti di pietre mischie che fanno, accompagnate con essa, bellissimo ornamento. Questa pietra tiene d'alberese, come la pietra da calcina d'i nostri paesi, e, come si è detto, agevolmente si schianta. Restaci la pietra serena e la bigia, detta macigno, e la pietra forte che molto s'usa per Italia dove son monti, e massimamente in Toscana, per lo più in Fiorenza e nel suo dominio. Quella ch'eglino chiamano pietra serena è quella sorte che trae in az[z]urrigno, overo tinta di bigio, della quale n'è ad Arezzo cave in più luoghi, a Cortona, a Volterra e per tutti gli Appennini; e ne' monti di Fiesole è bellissima, per esservisi cavato saldezze grandissime di pietre, come veggiamo in tutti gli edifici che sono in Firenze fatti da Filippo di ser Brunellesco, il quale fece cavare tutte le pietre di San Lorenzo e di Santo Spirito et altre infinite che sono in ogni edificio per quella città. Questa sorte di pietra è bellissima a vedere, ma dove sia umidità e vi piova su o abbia ghiacciati adosso si logora e si sfalda, ma al coperto ella dura in infinito. Ma molto più durabile di questa e di più bel colore è una sorte di pietra azzurrigna che si dimanda oggi la pietra del Fossato, la quale, quando si cava, il primo filare è ghiaioso e grosso, il secondo mena nodi e fessure, il terzo è mirabile perché è più fine. Della qual pietra Micheleagnolo s'è servito nella libreria e sagrestia di San Lorenzo per papa Clemente, per esser gentile di grana, et ha fatto condurre le cornici, le colonne et ogni lavoro con tanta diligenza che d'argento non resterebbe sì bella. E questa piglia un pulimento bellissimo e non si può desiderare in questo genere cosa migliore, e per ciò fu già in Fiorenza ordinato per legge che di questa pietra non si potesse adoperare se non in fare edifizî publici o con licenza di chi governasse. Della medesima n'ha fatto assai mettere in opera il duca Cosimo, così nelle colonne et ornamenti della loggia di Mercato Nuovo, come nell'opera dell'Udienza cominciata nella sala grande del Palazzo dal Bandinello e nell'altra che è a quella dirimpetto; ma gran quantità più che in alcuno altro luogo sia stato fatto giamai, n'ha fatto mettere Sua Eccellenza nella strada de' Magistrati che fa condurre col disegno et ordine di Giorgio Vasari aretino. Vuole questa sorte di pietra il medesimo tempo a esser lavorata che il marmo, et è tanto dura che ella regge all'acqua e si difende assai dall'altre ingiurie del tempo. Fuor di questa n'è un'altra specie - ch'è detta pietra serena - per tutto il monte, ch'è più ruvida e più dura e non è tanto colorita, che tiene di specie di nodi della pietra, la quale regge all'acqua, al ghiaccio, e se ne fa figure et altri ornamenti intagliati. E di questa n'è la Dovizia, figura di man di Donatello in su la colonna di Mercato Vecchio in Fiorenza, così molte altre statue fatte da persone eccellenti non solo in quella città, ma per il dominio. Cavasi per diversi luoghi la pietra forte, la qual regge all'acqua, al sole, al ghiaccio et a ogni tormento e vuol tempo a lavorarla, ma si conduce molto bene, e non v'è molte gran saldezze. Della qual se n'è fatto e per i Gotti e per i moderni i più belli edifici che siano per la Toscana, come si può vedere in Fiorenza nel ripieno de' due archi che fanno le porte principali dell'oratorio d'Orsanmichele, i quali sono veramente cose mirabili e con molta diligenza lavorate. Di questa medesima pietra sono similmente per la città, come s'è detto, molte statue et arme, come intorno alla Fortezza et in altri luoghi si può vedere. Questa ha il colore alquanto gialliccio con alcune vene di bianco sottilissime che le dànno grandissima grazia, e così se n'è usato fare qualche statua ancora, dove abbiano a essere fontane, perché reggano all'acqua. E di questa sorte pietra è murato il Palagio de' Signori, la Loggia, Orsanmichele et il didentro di tutto il corpo di S. Maria del Fiore, e così tutti i ponti di quella città, il palazzo de' Pitti e quello degli Strozzi. Questa vuole esser lavorata con le martelline, perch'è più soda; e così l'altre pietre sudette vogliono esser lavorate nel medesimo modo che s'è detto del marmo e dell'altre sorti di pietre. Imperò, nonostante le buone pietre e le tempere de' ferri, è di necessità l'arte, intelligenza e giudicio di coloro che le lavorano, perch'è grandissima diferenza negli artefici, tenendo una misura medesima, da mano a mano in dar grazia e bellezza all'opere che si lavorano: e questo fa discernere e conoscere la perfezzione del fare da quegli che sanno a quei che manco sanno. Per consistere adunque tutto il buono e la bellezza delle cose estremamente lodate negli estremi della perfezzione che si dà alle cose che tali son tenute da coloro che intendono, bisogna con ogni industria ingegnarsi sempre di farle perfette e belle, anzi bellissime e perfettissime.