Biografia di Iacopo della Quercia * dalla Jacopo *

IACOPO DELLA QUERCIA SANESE scultore

Infinitamente è da credere che nella vita sua pruovi grandissima contentezza colui che per mez[z]o delle fatiche fatte con la virtù sua si senta, o nella patria o fuori, onorare di dignità o guiderdonare di premio fra gli altri uomini, crescendone per le lode e per gli onori in infinito la virtù sua. Ciò intervenne a Iacopo di maestro Piero di Filippo della Quercia scultor sanese, il quale per le sue rarissime doti nella bontà, nella modestia e nel garbo meritò degnamente di esser fatto cavaliere, il qual titolo onoratissimamente ritenne vivendo, onorando del continovo la patria e se medesimo. Per il che quegli che dalla natura dotati sono di egregia et eccellente virtù, quando accompagnano con la modestia de' costumi onorati il grado nel quale si trovano, sono testimoni i quali al mondo mostrano d'essere assunti al colmo di quella dignità che si riceve dal merito e non da la sorte, come veramente e degnissimamente mostrò Iacopo; il quale alla scultura attendendo, di quella perfettissimo divenne e con eccellenzia dimostrò del continovo l'opere sue, le quali in Siena furono prima due tavole in legname di figure tonde, con grazia di disegno e d'intaglio affaticate da lui. In Lucca fece per la moglie a Paolo Guinigi, signor di quella città, nella chiesa di San Martino una sepoltura (la quale alla cappella della Comunità è restata et in quel luogo), alcuni fanciulli in un fregio con festoni di marmo e la cassa e la figura morta, all'entrata della sagrestia; la quale con diligenza lavorando, a' piedi di essa fece nel medesimo sasso un cane di tondo rilievo, per la fede portata al marito. Transferissi poi a Bologna, dove gli fu allogato dagli Operai di San Petronio la porta principale di quel tempio, di marmo a figure e storie e fogliami lavorata; nella quale, ne' pilastri che reggono la cornice e l'arco, sono cinque storie per pilastro, le quali condusse di basso rilievo; e nello a[r]chitrave ne fece altre cinque, le quali furono e sono tenute cosa lodevole, e dentro a quelle intagliò da la creazione del mondo fino a Noè; e nell'arco fece tre figure di tondo rilievo: la Nostra Donna et il Putto, con due Santi da lato. La quale opera fu da lui lavorata con grande amore e con somma diligenzia, e fu cagione di cavare d'uno errore i Bolognesi, che non pensavano che si potessi far meglio che una tavola fatta da' maestri vecchi quale è in San Francesco all'altar maggiore nella città loro, qual fu di mano di alcuni Todeschi che doppo i Gotti lavororono della maniera vecchia più che altri che facessero in que' tempi; de' quali si vede ancora opere assai per Italia fatte da loro, come la facciata di Orvieto, e la tavola di marmo del Vescovado di Arezzo, et in Pisa nel Duomo, et a Milano nel Duomo, e per la città in diversi luoghi. Ora, mentre che la fama di Iacopo si andava così dilatando, egli venne in Fiorenza, e sopra la porta del fianco di Santa Maria del Fiore, che va a la Nunziata, fece di marmo una Assunta; la quale con tanta grazia e con tanta bontà a fine condusse che oggi quella opera è guardata dagli artefici nostri per cosa maravigliosa, et in ogni età il medesimo sempre è stata tenuta. Veggonsi le movenzie delle sue figure con una grazia e con una bontà espresse, e le pieghe de' panni suoi con bellissimo andare di falde e maestrevole circondar d'ignudo, a perfetta fine mirabilissimamente condotte. Figurò in tale opra Iacopo un San Tomaso che la Cintola piglia, e dall'altra banda fece uno orso che monta su un pero, del significato del quale, perché variamente sentono gli uomini, dirò sicuramente io ancora una mia opinione, lasciandone tuttavolta il giudizio libero a chi sa trarne miglior costrutto. Pare a me che e' volesse intendere che il Diavolo, significato per l'orso, ancora che egli salga nelle cime degli alberi, cioè a la altezza di qualsivoglia Santo, perché in ciascuno truova qualche cosa del suo, non riconosce nientedimanco in questa Vergine gloriosissima né vestigio né segno alcuno dove egli abbia punto che fare; e però, ancora che inalberato, si rimane giù basso, dove ella ascende sopra le stelle. E chi di questo non si contenta, contentisi almeno de la risposta che a Luciano già fece Omero del principio del suo poema, cioè che gli venne allora a proposito di fare così. Ècci opinione di molti che questa opera fusse di mano di Nanni d'Antonio di Banco fiorentino; la qual cosa non può essere: prima, perché Nanni non lavorò le cose sue in tanta perfezzione; l'altra, la maniera è da la sua differente, et alle cose di Iacopo molto più somiglia. Trovasi nella allogazione delle porte di San Giovanni Iacopo essere stato di quelle in concorrenza fra i maestri ch'a tal lavoro furono eletti in far saggio d'una storia: et era egli stato in Fiorenza quattro anni innanzi che tale opera s'allogasse; dove non si vedendo altra opra di suo se non questa, è sforzato ognuno a credere che ella sia più condotta da Iacopo che da Nanni. Tornatosene poi a Siena, e in quella dimorando, dalla Signoria di detta città gli fu fatta allogazione della superba fonte di marmo fatta su la piazza publica dirimpetto al palazzo loro, la quale opra fu di prezzo di ducati duo milia e dugento; et in quella usò artificio e bontà, che gli diede tanto nome che sempre fu nominato, e vivo e morto, Iacopo de la Fonte sanese. Intagliò in detta opera le Virtù teologiche con dolce e delicata maniera nelle arie loro, con istorie del Testamento Vecchio: cioè la creazione d'Adamo e d'Eva, il lor peccar nel pomo, dove egli fece alla femmina una aria nel viso sì bella e di tanta benigna grazia et una attitudine della persona tanto dolce verso di Adamo nel porgergli il pomo, che e' pare al tutto impossibile che e' lo possa mai recusare; senzaché tutta l'opera è piena di bellissime considerazioni, con infiniti altri ornamenti, tutti dalla dilicata mano di Iacopo con amore e con grandissima pratica condotti a perfezzione. La quale opera fu cagione che dalla Signoria della città predetta fu fatto cavaliere, et in breve spazio divenne operaio publico del Duomo di Siena e sopra tutte le cose della spesa di quella fabbrica. E così in quello ufficio tre anni visse con molta grazia di quella città, e fu utilissimo per quel tempio e per quella fabbrica, la quale non fu mai prima così ben maneggiata da alcuno, essendo egli molto gentil persona. Ora, per le fatiche già fatte stanco e vecchio divenuto, di questa vita all'altra passò, et in Siena, da' suoi cittadini con amare lagrime onorato, meritò sepolcro nel Duomo, non cessando eglino con epigrammi latini e rime volgari inalzare con debite lode le bellissime opere, la vita e gli onestissimi costumi suoi, l'anno MCCCCXVIII. Il che hanno fatto ancora gli strani, come si vede per questo epitaffio: IACOBO QUERCIO SENENSI EQUITI CLARISSIMO STATUARIAEQUE ARTIS PERITISS. AMANTISSIMOQUE UTPOTE QUI ILLAM PRIMUS ILLUSTRAVERIT TENEBRISQUE ANTEA IMMERSAM IN LUCEM ERUERIT AMICI PIETATIS ERGO NON SINE LACHRYMIS P. Aggiunse Iacopo all'arte della scultura un modo molto di bella maniera, e levò gran parte di quella vecchia che avevano usata gli scultori inanzi a esso, nel fare le figure in maestà senza torcersi e svoltare le attitudini; e morbidamente s'ingegnò gli ignudi di maschi e di femine far parere carnosi, e di leccatezza pulitamente il marmo cercò finire con diligenza infinita.

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