Giornata terza.
Ragionamento Unico.
Sala grande.
Principe e Giorgio.
P. Ricordandomi del trattenimento, e della promessa che vi feci ieri, sono oggi venuto a ritrovarvi, perché passiamo il tempo in saper da voi le storie e lo scompartimento di questa sala grande.
G. Vostra Eccellenza sia la ben venuta, e poiché a tanti doppi vengo da lei cotanto favorito, non so da qual parte mi fare a ringraziarla; a me par bene che l'abbia scelto ora molto a proposito per passare il caldo con piacevolezza, e scorrere ragionando queste ore tanto fastidiose, oltre che l'Eccellenza Vostra sarà causa ch'io mi riposerò un poco.
P. L'ho caro; lasciate dunque stare il lavoro, che per esser l'opera così grande sarà necessario consumarci dentro molto tempo.
G. Vostra Eccellenza dice il vero: ma molte cose basterà accennarle, perché la maggior parte delle cose antiche l'avrà lette su le storie del Villani, e le moderne nel Guicciardini ed altri.
P. Cominceremo da un capo, e, la prima cosa, ditemi come avete diviso questo palco, e dichiaratemi le storie ci avete fatte dentro.
G. Per rendere questo palco bello, vago e copioso, come Vostra Eccellenza può avvertire, l'ho divisato in tre invenzioni. Ed in prima consideri i quadri dalle bande, che sono vicini alle mura che corrispondono, e sono accomodati alle storie, alle quali essi son sopra, e l'ho fatto sì per la veduta, come per la continuazione dell'occhio, massime che il signor duca giudicò che così tornasse meglio. Nella fila poi de' quadri di mezzo, che sono separati e non continuano la storia con quelli da lato, ci ho figurato storie della città, come più particolarmente, venendo alla dichiarazione, credo ne resterà capace. Restano poi le due teste, l'una posta verso S. Piero Scheraggio sopra il lavoro che fa M. Bartolommeo Ammannato, e l'altra qua verso il Sale sopra 1'audienza fatta dal cavaliere Bandinelli, dove sono due gran tondi, ciascuno de' quali è messo in mezzo da otto quadri minori. Ed essendo divisa questa città di Firenze in quartieri, sono posti due quartieri di essa per tondo. Ne' quadri poi, che gli mettono in mezzo, sono le città e i luoghi più principali dello stato vecchio di Firenze, non ci mescolando cosa alcuna dello stato nuovo di Siena; e tutto si è divisato secondo l'ordine de' giudici di Ruota.
P. Comprendo lo scompartimento, e piacemi assai, e l'avete fatto con molto giudizio, stando ogni cosa a' suoi luoghi senza alcuna confusione; cominciate pure a vostra posta: ma ditemi da qual banda volete dar principio.
G. Quando piaccia a Vostra Eccellenza, io comincierò da questi quartieri della città di Firenze, perché, finita la dichiarazione di questi, e de' luoghi a lei sottoposti, avremo materia più continuata.
P. Mi rimetto in voi; non tardate dunque per non consumare il tempo inutilmente, ed io sono apparecchiato per sentirvi.
G. Poiché noi siamo quaggiù verso la piazza del Grano, comincerò da quel tondo, dove Vostra Eccellenza vede quelli due uomini grandi armati, figurati per due quartieri, uno di Santa Croce, l'altro di S. Spirito, e gli ho finti come caporioni armati all'antica; hanno a' piedi due scudi entrovi l'armi de' loro quartieri; quello a man sinistra, che ha la croce d'oro in campo azzurro, è fatto per Santa Croce; quest'altro a man destra, che ha la colomba con i razzi d'oro che gli escono di bocca, l'ho fatto per S. Spirito.
P. Il lione, che hanno quivi, che significa?
G. È l'impresa della città; l'ho fatto per riempire quel vano, ed anca perché pare che aiuti a sostenere quelli due scudi.
P. Sta benissimo: ma dichiaratemi quel semicirculo di balaustri in prospettiva, posto sopra a' caporioni, dove sono quei putti con quelli stendardi in mano.
G. Gli stendardi in mano a quei putti rappresentano i gonfaloni dell'uno e dell'altro quartiere. Sopra questo di Santa Croce nel primo stendardo è un carro d'oro, nel secondo un bue, nel terzo un lion nero, nell'ultimo le ruote. Sopra Santo Spirito similmente sono altri quattro putti, che tengono in mano altri quattro gonfaloni del medesimo quartiere; nel primo è la scala, nel secondo il nicchio, nel terzo la sferza, ed il drago nell'ultimo.
P. Mi soddisfa assai questo tondo. Ma ditemi, che città e che terre fate voi a man sinistra nel quartiere di Santa Croce? Veggo la prima cosa in quel da lato vicino al muro queste parole: "Arretium nobilis Etruriae urbs".
G. Vostra Eccellenza ha una acuta vista a leggere quelle lettere; quello è Arezzo con il fiume del Castro, che gli passa per mezzo ed entra nella Chiana che gli è accanto; da una parte, come la vede, li ho fatto Marte armato, che tiene l'insegna di quella città, la quale è un cavallo nero sfrenato, per essere città armigera, e nello scudo, dove è la croce d'oro in campo rosso, è l'arme del popolo di quella città; da quest'altra parte ci ho fatto Cerere con di molte spighe in mano, e con una falce da segarle, mostrando l'abbondanza di quel paese.
P. Piacemi questa descrizione: ma quel putto in aria, che con la destra tiene un pastorale e con la sinistra una spada, che difinizione è la sua?
G. A tutte le città ci ho fatto un putto con un pastorale in mano, per distiriguerle dalle terre: ma a questa ho fatto un pastorale ed una spada, denotando che il vescovo Guido da Pietramala governò la città, e così nello spirituale come nel temporale.
P. Sta bene. Leggo poi di qua dal lato queste parole: "Cortona, Politianumque, oppida clara". Che rappresentate voi per queste due città?
G. Queste sono, come l'ha detto, Cortona e Montepulciano, e le dichiaro con quelle figure, l'una delle quali significa Cortona che tiene in mano uno stendardo bianco, entrovi un lione rosso, il medesimo nello scudo, ed è simile a quello di Venezia; l'altra figura rappresenta Montepulciano; dove ho finto ancora il fiume della Chiana con un corno in mano pieno di olive e di spighe, per l'abbondanza che n'hanno questi paesi, ed allato alla figura di Montepulciano ho fatto un Bacco giovanetto, che ha un vaso pieno di vino, ed uve attorno, volendo mostrare l'abbondanza ed eccellenza del vino che produce quel paese; segue sotto a Cortona il Borgo a S. Sepolcro, per il quale ho fatto Arcadio pellegrino, che dicono essere stato fondatore di quel luogo; nello stendardo è un Cristo che resurge, che è l'insegna di quella città, e nello scudo, che ha a' piedi, mezzo nero e mezzo bianco, è l'arme del popolo; appresso gli ho fatto il fiume del Tevere con la lupa che allatta Romulo e Remo; similmente il corno pieno di frutti, e di qua e là Sòvara, fiume.
P. Ma ditemi, quel vecchio che gli è vicino con il capo pien d'abeti e faggi, che sopra un vaso getta acqua per bocca, che vuol dire?
G. Questo è l'Appennino, e, come l'Eccellenza Vostra vede, nel lontano ho ritratto il Borgo ed Anghiari, con il putto che tiene il pastorale in mano; e le lettere che li sono sotto dicono: "Burgum Umbriae urbs, et Anglari".
P. Tutto mi piace; ma che vuol dire che nell'ultimo di questi quattro quadri, sotto il quartiere di Santa Croce, non ci è putto con pastorale in mano?
G. A ciascuno di questi Quartieri ho attribuito un vicariato, sendo appunto quattro i principali vicariati del distretto di Firenze, e Vostra Eccellenza lo può vedere per le lettere scritte sotto detto quadro, che dicono: "Praetura Arnensis superior".
P. Questo deve essere il vicariato di S. Giovanni: ma quel giudice vestito all'antica, che ha quel fascio con le securi in mano, che significa?
G. Ad ogni vicariato ci ho fatto un simil giudice, volendo mostrare che per questi quattro luoghi nel distretto di Firenze si amministra giustizia in cause criminali; questo ha attorno Vertunno e Pomona, denotando che quel paese è coltivatissimo ed abbondantissimo di frutti; e quel Bacco, coronato di pampani ed uve, beve il trebbiano, che fa quel paese tanto eccellente, e tiene in quello scudo bianco l'insegna di quel castello, che è un S. Giovanni.
P. Or veniamo all'altra parte del tondo a man destra, e dichiaratemi e luoghi e città sottoposte al quartiere di S. Spirito, che in questo primo quadro allato mi par leggere: "Volaterrae Tuscorum urbs celeberrima". Questa è Volterra; or dite.
G. Volterra è la città, e questo fiume è fatto per la Cecina, ed ha il suo corno pieno di frutti, e ci ho ritratto un Mercurio per le miniere e le saline di quel paese, e figuro la città con quel giovane, che tiene in mano lo stendardo con la sua impresa del grifon rosso che strangola il serpente, e nello scudo che ha ai piedi è una croce bianca in campo nero.
P. Veggo molto bene, e mi pare che aviate ritratto il sito di naturale, e nell'aria veggo benissimo il putto che tiene il pastorale in mano: ma seguite il quadro che è accanto a questo.
G. Questi, come la vede, per le parole scritte di sotto, che dicono: "Geminianum et Colle oppida", sono S. Gimignano e Colle, terre grosse e principali; ed il fiume, che vi ho finto, lo fo per l'Elsa; e quel satiro giovane, che ha accanto, beve la vernaccia di quel luogo; Colle poi ha molte balle di carta, e le figure che tengono li due stendardi, entrovi le insegne di ciaschedun luogo, son fatte per i fondatori di quelli; l'insegna di S. Gimignano è mezza gialla e mezza rossa, e nello scudo giallo e rosso, che ha a' piedi, è un lione bianco; nello stendardo bianco dell'altro è una testa di cavallo, rossa, e nello scudo bianco una croce rossa, con una testa di cavallo simile, impresa di Colle.
P. Venite all'altro quadro, che li seguita di sopra, dove io veggo scritto: "Ager Clantius, et eius oppida".
G. Questo, Signore, è il Chianti, con il fiume della Pesa e dell'Elsa, con i corni pieni di frutti, ed hanno a' piedi un Bacco di età più matura, per i vini eccellenti di quel paese; e nel lontano ho ritratto la Castellina, Radda ed il Brolio con le insegne loro; e l'arme nello scudo tenuta da quel giovane, che rappresenta Chianti, è un gallo nero in campo giallo.
P. Seguitate l'ultimo, nel quale, vedendoci il giudice a sedere, mi immagino sia il vicariato sottoposto a S. Spirito.
G. Questo è Certaldo, dove ho fatto il suo giudice con li fasci e le securi, ed ancora ci ho finto Minerva a sedere, per l'eloquenza, con un ramo di oliva in mano, essendo quel luogo patria del padre dell'eloquenza toscana; ed ancora ci ho figurato una ninfa pastorale, dinotando la bellezza di quella campagna, come si può comprendere per le parole che sono scritte sotto detto quadro, che dicono: "Certaldensis praetura amoenissima".
P. Veggo, e comprendo il tutto: ma non mi avete detto quello significhi quella cipolla in quello scudo. G. Una cipolla in campo bianco è l'insegna di quella comunità.
P. Non mi pare che da questa parte aviamo lassato cosa alcuna; però potrete andar seguitando dove a voi pare sia meglio; ed annoverando i quadri veggo che di quaranta solamente ne aviamo veduti nove.
G. Se paresse a Vostra Eccellenza andare dall'altra testa verso il Sale, seguiteremmo l'ordine delle città e quartieri, oltre che ci sbrigheremmo di vedere queste teste; ed in questa passeggiata riposeremo un poco il capo, e dubito non dia fastidio a Vostra Eccellenza.
P. Voi dite il vero: ma il diletto ch'io ne piglio è molto maggiore del disagio; però, con vostro comodo, potrete seguitare.
G. In quest'altro tondo di mezzo, grande, sono due altri caporioni armati, fatti per due quartieri; ed ho finto la medesima prospettiva che negli altri due dichiarati, che, per essere una cosa medesima, mi pareva male il variare. Il caporione dunque a mano destra l'ho fatto per S. Giovanni, facendoli nello scudo, che ha ai piedi, il ritratto del tempio del medesimo S. Giovanni in campo azzurro; e sopra il capo sono li gonfaloni del suo quartiere, tenuti similmente da quattro putti, nell'uno de' quali è un lione d'oro, nel secondo un drago verde, nel terzo le chiavi, e nell'ultimo il vaio.
P. Quest'altro caporione deve essere il quartiere di Santa Maria Novella, però dite quanto vi occorre insieme con la dichiarazione de' suoi gonfaloni.
G. Nello scudo è un sole in campo azzurro, insegna di detto quartiere, sopra del quale sono li suoi quattro gonfaloni, tenuti similmente da putti; la vipera è nel primo, nel secondo l'unicorno, nel terzo un lion rosso, nel quarto ed ultimo un lion bianco.
P. Gli veggo benissimo tutti, e per non variare avete similmente fatto il lione che sostiene gli scudi, come faceste nelli altri quartieri; or veniamo alla dichiarazione dei luoghi sottoposti al quartiere S. Giovanni, dove credo aviate fatto per la prima Fiesole, sì per l'arme, come anco per le lettere, che dicono: "Fesulae in partem urbis adscitae".
G. Quest'è Fiesole ritratta al naturale con il Mugnone fiume a' piedi, che ha il suo corno pieno di frutti, ed ho fatto una Diana cacciatrice, che tiene lo stendardo entrovi una luna di color celeste, insegna antica di quella città, e nello scudo diviso, mezzo bianco e mezzo rosso, è l'arme di quella comunità, e qua accanto ho fatto Atlante converso in pietra, per esser quel paese copioso e di massi e di cave, ed in aria ho fatto il putto con il pastorale, mostrando che ancor che non sia più città, nondimeno vi è rimasto il vescovado.
P. Piacemi assai: ma qui allato, dove non veggo putto che tenga pastorale, che castello o paese ci fate voi? Che le lettere mi par che dicano: "Flaminia nostrae ditionis".
G. Questa, Signore, è la Romagna, dove ho ritratto la terra di Castrocaro al naturale, ed il Savio, fiume, con il corno pieno di frutti per l'abbondanza di quel paese, e vi ho di più fatto una Bellona armata e focosa con un flagello in mano sanguinoso, dimostrando la gente ardita e risoluta di quel paese; e quella, che tiene lo stendardo entrovi una croce rossa, è una Flaminia, e similmente ha a' piedi uno scudo, entrovi una simil croce, insegna di Castrocaro.
P. Innanzi che andiate più oltre voglio sapere che cosa sono questi tre quadri qua allato al muro.
G. Signore, in questo biscanto n'ho cavato questi tre quadri, come la vede, sì per riquadrare la sala, sì anco per non alterar niente di quello che ha fatto quaggiù il Bandinello, il quale fu forzato accomodarsi al muro sbieco; però ci ho finto un corridore, dove in questo primo quadretto più stretto sono certi putti che scherzano con certe palle rosse, arme di Vostra Eccellenza.
P. Sta benissimo: ma in questo secondo pare che si affaccino certi uomini ritratti al naturale; per chi li avete voi fatti?
G. Tutti sono servitori di Sua Eccellenza, e che l'hanno servita nella fabbrica di questo salone. Il primo è maestro Bernardo di Mona Mattea, muratore raro, e dell'arte sua molto intelligente, che ha alzato il tetto di questa sala braccia quattordici più che non era, e le mura attorno, con tutta quella muraglia che s'è fatta nelle stanze che aviamo viste; 1'altro è Batista Botticelli, maestro di legname, che ha condotto il palco di quadro e d'intaglio; quest'altro di pel rosso con quel barbone è M. Stefano Veltroni dal Monte S. Savino, che ha guidato il metter d'oro e l'altre fregiature; e 1'ultimo è Marco da Faenza.
P. Somigliano assai, ed avete fatto bene a ritrarli vivi, perché sempre sia memoria di loro, come quelli che in quest'opera si sono affaticati con molta diligenza e sollecitudine. In quest'ultimo mi pare che aviate fatto quattro putti che tengono un epitaffio, e voglio sapere quello ci avete scritto; non so se mi basterà la vista a intenderlo; mi par che cominci: "Has aedes, atque aulam hanc tecto elatiori, aditu, luminibus, scalis, picturis, ornatuque angustiori, in ampliorem formam dedit decoratam Cosmus Medices illustrissimus Florentiae et Senarum dux, ex descriptione, atque artificio Georgii Vasarii Arretini pictoris, atque architecti, alumni sui, anno MDLXV".
G. Vostra Eccellenza s'è portato eccellentemente, avendo inteso quell'epitaffio, perché so che ci sono stati molti amici miei, che l'hanno voluto leggere, ed hanno perso il tempo, e lei alla prima vista l'ha letto tutto senza lasciarne pure una parola.
P. A dirvi il vero io mi ero mezzo stracco per affissare tanto gli occhi, e tenere il collo a disagio per non scambiare niente. Or che sono riposato un poco, seguitate il paese che lasciaste; eramo appunto sopra a Castrocaro.
G. Accanto a questo segue il Casentino, sì come la può vedere per le parole scritte sotto, che dicono: Puppium agri Clausentini caput; dove per principal castello di quel luogo ho ritratto Poppi al naturale, così Prato vecchio e Bibbiena; da una parte ci ho fatto il fiume d'Arno, dall'altra il fiume dell'Archiano, e lassù alto ho fatto la Falterona piena di faggi e d'abeti con i diacciuoli a' capelli, e versa quel vaso pieno sopra 1'Arno; ed il giovane armato, che tiene lo stendardo di quel luogo, denota la bravura degli uomini di quel paese; ha nello scudo l'insegna della comunità di Poppi.
P. Mi piace: ma ditemi, che vicariato è in quest'ultimo quadro sottoposto al quartiere di S. Giovanni? Io veggo il giudice con le securi, ed un putto, che gli tiene i suoi fasci.
G. Questo, Signore, è il vicariato di Scarperia, dove nel lontano ho ritratto il paese di Mugello, con lettere sotto che dicono: "Mugellana praetura nobilis"; e ci ho fatto quel giovane che tiene 1'insegna di quel paese, con l'arme di Scarperia, entrovi una luna; ed il fiume che ha ai piedi, che getta acqua, è la Sieve.
P. Mi pare che aviamo di questo quartiere di S. Giovanni ragionato assai, e visto minutamente tutti questi luoghi; ci resta ora vedere solamente gli altri sottoposti a Santa Maria Novella, e, come gli avremo veduti, non mi parrà che aviamo fatto poco, perché ci è stato da dir molto più che non pensavo. Credo che questo primo quadro sia fatto per Pistoia, poiché mi ci pare leggere sotto: "Pistorium urbs socia nobilis".
G. Sta come la dice, e vi ho fatto il fiume dell'Ombrone, con il corno pieno di fiori; e quella vecchia, che ha sopra il capo tanti castagni con i suoi ricci verdi, è fatta per l'Alpe; quest'altro appresso è lo Dio Pane, che suona la fistula di canne, significa la montagna di Pistoia, e tiene una insegna dentrovi un orso, e dall'altra parte l'arme della città in quello scudo, che sono scacchi bianchi e rossi.
P. Veggo che 1'avete ritratta al naturale, come l'altre; nel quadro che segue riconosco Prato con le parole che dicono: "Pratum oppidum specie insigne".
G. Ciascuna, come la vede, porta il nome seco, e vi ho fatto il fiume di Bisenzio, con il suo corno pieno di frutti e d'ortaggi, ed una ninfa insieme con un putto gli acconcia; da quest'altra banda è un giovane che tiene lo stendardo in mano e lo scudo rosso, entrovi gigli gialli, arme di quella terra, datali da Carlo d'Angiò. Segue in quest'altro, che gli è sopra, Pescia con il fiume della Nievole e della Pescia, con molti mori che produce quel luogo, ed una Aragne con una boccia di seta, che tiene lo stendardo entrovi il delfino rosso, impresa di quel luogo, dove ho anco ritratto Pescia al naturale con le parole sotto al quadro: "Piscia oppidum adeo fìdele".
P. Quest'ultimo, con le parole "Praetura Arnensis inferior", deve essere il vicariato sottoposto a Santa Maria Novella.
G. Quest'è il Valdamo di sotto, con il castello e vicariato di S. Miniato al Tedesco, dove ho fatto il giudice vestito all'antica, ed il fiume della Pesa, ed ho ritratto la terra di S. Miniato, ed il paese al naturale, ed un giovane che tiene l'insegna di quel luogo, nella quale è un leone con una corona in capo ed una spada in mano.
P. Ho avuto satisfazione nel ragionamento di queste città, terre e castelli; e tanto più, quanto veggo che non solo ci avete ritratto i luoghi di naturale, ma ancora i fiumi con le sorte de' frutti che in particolare producono più eccellenti; ed insieme, per maggiore distinzione, ci avete aggiunto l'insegne e l'arme delle comunità loro, che veramente è stata non poca fatica la vostra a ritrovare tutte queste cose. Ora riposiamoci un poco, che lo stare tanto col capo alto mi stracca, che deve il medesimo intervenire a voi; intanto per non perder tempo potrete dirmi dove volete che cominciamo.
G. Signore, a me pare da cominciare in questa fila di quadri che sono nel mezzo, sì per esser cose più antiche e generali, che non sono queste dalle bande, le quali son guerre particolari fatte dalla repubblica fiorentina e dall'illustrissimo signor duca vostro padre.
P. Dite a vostra posta, che mi diletta tanto lo stare a sentire, che non mi pare niente grave il disagio di guardare all'insù.
G. Piacendo a Vostra Eccellenza, noi vedremo prima questi tre quadri che voltano verso il Sale, per esser cose più antiche, poi andremo agli altri tre verso S. Piero Scheraggio, e quel di mezzo sarà l'ultimo. Dico dunque che in questo quadro grande ho fatta la edificazione e fondazione di Firenze sotto il segno dell'ariete; e vi ho dipinti dentro Ottaviano, Lepido e Marcantonio, che danno l'insegna del giglio bianco a' Fiorentini, loro colonia, ed ho ritratto la città antica, come stava allora, solamente nel primo cerchio, e similmente la città di Fiesole; e, secondo si legge in alcuni, Firenze fu edificata anni 682 dopo la edificazione di Roma, ed anni settanta innanzi la natività di Cristo: però, considerata questa origine, ho scritto sotto: "Florentia Romanorum colonia lege Iulia a III viris deducitur".
P. Sta benissimo, e comprendo che procedete con molto fondamento, e con grande ordine nelle vostre cose; ma ditemi, in questo quadro lungo allato ai quartieri di S. Giovanni e Santa Maria Novella veggo non so che guerra con le parole sotto che dicono: "Florentia Gothorum impetu fortiss. retuso Rom. cons. victoriam praebet".
G. Questa è la rotta di Radagasio re dei Goti, successore d'Alarico, il quale venne in Italia con un esercito innumerabile di Goti, e danneggiò molto la provincia di Toscana e di Lombardia, ed in ultimo si pose all'assedio della città di Firenze. Ma, sentendo egli venire in aiuto della città l'imperadore con l'esercito de' Romani, si ritrasse ne' monti di Fiesole, e nelle valli convicine, ed essendo ridotti in luogo arido, e trovandosi sproveduti di vettovaglia, furono quivi assediati da Onorio e dall'esercito de' Romani; onde i Goti (sendone prima stati tagliati molti a pezzi) si arresono. E questa fazione seguì il giorno di Santa Reparata intorno agli anni di Cristo 415, e, per più vaghezza della pittura, ci ho finto Mugnone, che ha Fiesole sopra, che si maravigliano di questo conflitto.
P. In sì piccol quadro non si poteva metter più cose; e mi piace che, trattando di cose antiche, vi siate ingegnato di rappresentarci figure con abiti antichi, il che ha molta proporzione, oltre al diletto dell'occhio. Ma passiamo a quest'altro quadro simile, dove veggo un papa con tanti cardinali.
G. Quest'è quando Clemente IV, per estirpare di Toscana la parte Ghibellina, dette l'insegna dell'arme sua ai cavalieri e capitani di parte Guelfa, dove per principale fra molti capitani ho fatto ginocchioni, che la riceve, il conte Guido Novello, insieme con i suoi soldati armati, che era uno de' capi della parte Guelfa, ed è uno stendardo bianco entrovi un giglio rosso, che era l'arme di detto pontefice.
P. Sta bene, e veggo la sedia del papa e tanti cardinali che li sono intorno, e mi avviso che non sieno ritratti al naturale per essere tanti anni che il fatto seguì, ma li dovete aver fatti di vostra fantasia.
G. Era quasi impossibile ritrarre cardinali di que' tempi; mi sono bene ingegnato di cavare 1'effigie da molte figure antiche di quei tempi, per accostarmi quanto ho possuto all'antichità.
P. Or leggete le lettere, che nel quadro non mi pare che ci aviamo lassato cosa alcuna indietro.
G. "Floren. cives a Clemente IV Ecclesiae defensores appellantur".
P. Se non vi occorre dir altro intorno a questi tre quadri, potrete seguitare la dichiarazione delli altri tre, posti verso S. Piero Scheraggio, ed in questo del mezzo veggo ritratta Firenze con lettere: "Civibus opibus imperio Florent. latiori pomoerio cingitur".
G. In questo quadro, Signore, si rappresenta quando la terza volta furono allargate le mura a Firenze; ritrovandosi allora i Fiorentini in buono e pacifico stato, e la città cresciuta, ed il popolo multiplicato, e le borgora di abitatori e di edifizi ampliate, ordinarono questa riedificazione circa l'anno 1284: dove qua dinanzi ho rappresentato la signoria con l'abito antico, ed avanti a se ha Arnolfo architettore che mostra loro la pianta del circuito, e più là nel lontano mostro quando si edifica alla porta S. Friano, e fo che dal vescovo si benedice e mette la prima pietra nel fondamento, e attorno vi figuro i provveditori ed i ministri di quelle fabbriche.
P. In questo quadro allato al tondo, dove sono i quartieri di Santa Croce e di S. Spirito, veggo non so che dogi vestiti all'antica, e parole che dicono: "Florentia crescit Fesularum ruinis".
G. Questa è l'unione del popolo fiorentino e fiesolano, quando distrutta Fiesole i Fiesolani si ritirarono ad abitare in Firenze; però in su la porta ho fatto un patrino, il quale finga la cagione di questi due popoli, figurati in que' due signori che si abbracciano e si uniscono insieme; e perché più volentieri i Fiesolani si avessino a fermare a Firenze, e nelle pubbliche insegne riconoscessero qualcosa del loro, si contentarono di raccomunare l'arme delli loro comuni. E dove prima l'insegna di Fiesole era una luna azzurra in campo bianco, e quella de' Fiorentini era un giglio bianco in campo rosso, presero il campo bianco de' Fiesolani, ed il giglio de' Fiorentini lo tinsero rosso col loro proprio campo, ed in questa maniera fermarono che l'arme del comune fusse un giglio rosso in campo bianco. Però fingo che alla rinfusa donne ed uomini di queste due città si abbraccino e si rallegrino insieme, e per significato de' due popoli ho fatto quelli due uomini armati a cavallo con l'insegne de' loro comuni, vestiti all'antica con quelle livree.
P. Questa veramente è una storia bella, e l'avete espressa con molta leggiadria, e ci ho in questo quadro grandissima satisfazione, ed avete ogni cosa disposto con tanta invenzione, che non me ne posso saziare: ma passiamo all'altro che è simile a questo che aviamo veduto, e che è allato al tondo di mezzo, nel quale mi par vedere un papa sopra una nave, che dia la benedizione.
G. È quando da' Romani fu cacciato Eugenio IV di Roma, e si conduce a Livorno con le galee de' Fiorentini, dai quali è ricevuto molto gratamente; e fingo appunto ch'egli sbarchi con tutte le sue genti; e vi sono gli ambasciadori de' Fiorentini, i quali ho vestiti all'antica; e per esprimere tacitamente quel tempo, il pontefice dà loro la benedizione.
P. Ogni cosa veggo benissimo; riconosco Livorno con il porto ritratto al naturale; e veggo papa Eugenio, e così molti cardinali: ma a che effetto fate voi quel vecchione con quel tridente in mano, che cava fuori il capo ed il braccio dall'onde marine?
G. Per Nettuno, Signore, il quale uscendo dal mare mostra averlo condotto sano e salvo; e le parole, che sotto questo quadro si leggono, sono: "Eugenio IV. pon. max. urbe sedeq. pulso perfugium est paratum".
P. Aviamo fino qui veduti sei quadri del mezzo, che contengono la nobiltà e l'antichità della città; che aviamo noi ora da vedere; volete voi forse finire questo del mezzo?
G. Signor no, questo del mezzo ha da esser l'ultimo, per esser la chiave e conclusione di quanto è in questo palco, ed in queste facciate, ed in tutta questa sala.
P. Or seguitate a vostra posta, e cominciate pure da qual parte vi piace, che io starò a udire ed insiememente vedere quanto avete fatto, perché mi compiaccio tanto di queste invenzioni, che non mi staccherei mai.
G. In questi sette quadri adunque verso le scale ci ho messo il principio, il mezzo ed il fine della guerra di Pisa, fatta dal governo popolare in spazio di quattordici anni, così come ho fatto quaggiù in queste tre storie grandi nelle facciate. In questi altri a dirimpetto, volti verso il Borgo de' Greci, ci è tutta la guerra di Siena, fatta dal duca Cosimo in ispazio di quattordici mesi; e per essere stata cosa più antica questa di Pisa, piacendo a Vostra Eccellenza, comincierò di quivi, e seguiterò il medesimo ordine ch'io ho tenuto nella dichiarazione de' quadri di mezzo.
P. Io lascerò fare a voi, perché essendo opera fabbricata ed ordinata da voi, sapete meglio di me l'ordine che avete tenuto; però cominciate da qual parte vi piace, che io mi sono preparato per ascoltarvi.
G. In questo ottangolo, qua verso il Sale, ci ho ritratta la sala del Consiglio, nella quale i cittadini di quelli tempi deliberarono e dettono principio alla guerra di Pisa, dove ho rappresentato, come l'Eccellenza Vostra vede, la signoria a sedere con gli abiti loro, e con tutta quella civiltà che usavano nella repubblica, oltre a molti ritratti de' principali cittadini che si trovarono alla deliberazione di tale impresa, fra' quali particolarmente ho ritratto in bigoncia Antonio Giacomini che ora; e sopra in aria fingo una Nemesi con una spada di fuoco, denotando vendetta contra i Pisani, i quali, ribellandosi, furono cagione che i Fiorentini di nuovo deliberassino contro di loro la guerra con tanto sdegno.
P. Gli avete accomodati benissimo, e si riconoscerebbe la storia per se medesima, senza la dichiarazione delle parole, che dicono: "S. P. Q. Flor. Pisanis rebellibus magno animo bellum indicit". Ma ditemi quello avete fatto in questo quadro lungo che mette in mezzo il quadro, del quale abbiamo ragionato adesso, ed è allato a Pescia, e le lettere dicono: "Cascina solida vi expugnatur".
G. Questa è la presa di Cascina, dove ho ritratto di naturale Paolo Vitelli, generale de' Fiorentini, che vi entrò dentro per forza con l'esercito, donde era stata battuta dall'artiglieria; ed ho ritratto il resto del campo, che attorniava detta terra, con giornee e berrettoni, secondo il costume di que' tempi, e come stava allora appunto; segue appresso a questo la presa di Vicopisano, che è in questo quadro lungo allato a questo ottangolo, e ci sono sotto le parole che dicono: "Vicum Florentini milites irrumpunt": dove ho fatto una banda di Svizzeri con la cavalleria ed altri soldati; ed il castello con il paese ho ritratto al naturale, ed anco come era disposta la batteria allora quando fu preso.
P. In ogni particolare avete usato esquisita diligenzia: ma ditemi che fiume è questo sì grande posato su quel timone, che voi fate a' piedi di questo quadro?
G. Questo l'ho figurato per Arno, e gli ho fatto appresso il lione.
P. Sta bene, seguitate pure il resto.
G. In quest'altro ottangolo di quaggiù verso S. Piero Scheraggio è la rotta che ebbero i Veneziani in Casentino.
P. Ditemi di grazia, perché cominciate voi da questi ottangoli, e non da un capo, seguendo di mano in mano ordinatamente?
G. Perché in questi ottangoli ho fatto fazioni più importanti, per esser maggiori e più capaci; e nei minori, che li mettono in mezzo, ho fatto scaramucce e cose di manco importanza.
P. Avete fatto bene, seguitate il vostro tema.
G. In questo ottangolo adunque, che dicemmo, segue la rotta data all'esercito veneziano da' Fiorentini in Casentino, alla Vernia ed a Montalone; e nell'asprezza di quei monti ho finto una grandissima nevata e diaccio, per il tempo di verno, nel quale finì detta guerra, ed ho ritratto il sito del sasso della Vernia al naturale: similmente l'abate Basilio con quel numero di villani che li rompe; nella quale fazione restarono prigioni molti Veneziani, ed io gli fingo con gli abiti di que' tempi.
P. Questo è un bellissimo quadro: ma ditemi quello significa quella figura bizzarra a piè di quel quadro, e le parole che li sono sotto.
G. Quello è fatto per un Appennino carico di diacci e di neve, come luogo per natura freddo e gelato; e le parole, che li sono sotto dicono: "Venetos Pisarum defensores vicit": e di sopra all'ottangolo, in quel quadro lungo accanto al Chianti, sono cinque galere e due fuste de' Fiorentini, li quali alla foce d'Arno predarono i brigantini de' Pisani, carichi di frumenti, che andavano a soccorrere Pisa, dove ho finto un lione che alza la testa dall'acque per vedere questa preda e si rallegra.
P. Veggo ogni cosa minutamente, e le parole che sono sotto similmente: "Pisis obsessis spes omnis recisa"; or venite alla dichiarazione di questo altro simile, nel quale ponete che segue una gran fazione, e si legge a piè: "Galli auxiliares repelluntur".
G. Signore, questa è la batteria delle mura di Pisa fatta al luogo detto il Barbagianni, e l'ho ritratte dalle proprie mura naturali, che furon rotte dall'artiglieria, dentro alle quali, volendo i soldati passare, trovarono un altro riparo di sorte che furono costretti a combattere; e come la vede, i fanti ed i cavalli corrono per entrarvi dentro; di più ho ritratto la fanteria franzese con gli abiti de' soldati di que' tempi.
P. Da questa parte del palco ci resta solamente a dichiarare questo gran quadro di mezzo, nel quale veggo molte figure con ritratto di Firenze, e le parole che sono sotto dicono: "Laeta tandem victoria venit"; questo deve essere il trionfo di Pisa, s'io non m'inganno.
G. Vostra Eccellenza l'ha conosciuta; questa è la presa della città ed il trionfo della detta guerra, dove ho finto Firenze ritratta al naturale, ripiena d'archi trionfali, donde passa il trionfo; e, seguitando il costume de' Romani, ho fatto il carro con l'esercito e con i prigioni dinanzi, e sopra al trionfo ho posto Firenze tirata da quattro cavalli bianchi, fiorita e coronata di torri; ed attorno gli sono i soldati che portano addosso l'espugnazione di quelli luoghi, e si vede il ponte alla Carraia, sopra del quale passa il trionfo; e ci ho messo il fiume d'Arno coronato di querce e lauri, e tutto il popolo fiorentino che fa festa di questa vittoria.
P. Avete in questo ultimo quadro espresso benissimo ogni cosa, e non ci voleva manco per dichiarazione di così importante impresa. Ora potremo un poco riposarci e considerare queste facciate da basso, dove medesimamente avete poste battaglie e scaramucce della medesima guerra, pure diverse da quelle avete fatte nel palco; e dovete avere riserbato, a questi quadri spaziosi e grandi, fazioni ed imprese, dove sia concorso maggior numero di persone e di cose: ed in queste averete avuto spazio di potere ampliare le vostre invenzioni.
G. Comincieremo dunque da questo quadro grande verso la piazza del Grano, e basterà solamente dire in generale che questa fu la rotta che dettono i Fiorentini a' Pisani alla torre di S. Vincenzio, il qual luogo è posto, come la vede, su la marina vicino a Populonia, che fu una delle antiche e nobili città di Toscana, se bene oggi è molto deserta; e questa rotta, come tutti dicono, fu cagione dell'intera vittoria di Pisa. P. Quando i Pisani ebbono questa rotta, subito cominciarono a perdersi d'animo; questa è una bella storia: avete avuto luogo di mostrare la vostra invenzione.
G. Quando il pittore ha campo debbe minutamente dichiarare l'intenzione sua con quella maggior vaghezza può, per dilettare l'occhio di chi la guarda.
P. Ho veduto a bastanza in questo; andiamo al quadro di mezzo.
G. Questa, Signore, è impresa di mare; ed è quando Massimiliano imperatore venne in persona a Livorno con armata di più galee ed altri vascelli; e, come la vede, assediò Livorno, che restò sempre in potere de' Fiorentini; poi si partì. Non entro in dichiarare a Vostra Eccellenza i particolari e certe minuzie, perché senza disagio di tenere il capo alto può pascere l'occhio ed intrattenersi quanto la vuole.
P. Le cose che si sanno, e che sono fresche nella memoria degli uomini, alla prima occhiata si riconoscono tutte.
G. Quest'ultimo quadro grande, qua verso il Sale, contiene, come la vede, tutto il paese di Pisa col piano e le colline; la città ed ogni cosa ho ritratto al naturale, e ci ho disteso tutto l'esercito e forze de' Fiorentini, insiememente quando seguì la batteria, e che le mura furon tagliate dall'artiglieria, con tutto quello seguì in quella fazione.
P. Chi ha letto il Villani, il Guicciardini, ed altri storiografi antichi e moderni, che trattano delle cose di questa nostra città, comprende che siete informato d'ogni particolarità, e che in dipingere questa sala avete non manco faticato in leggere gli scrittori, che in ritrovare le invenzioni.
G. Perché io desidero più di servire, che di sentirmi lodare da Vostra Eccellenza, sarà bene, per dar fine in questa giornata a ogni cosa, che veggiamo qua dalla banda del Borgo de' Greci altrettante storie che ci restano, parte nel palco, parte nelle facciate, e sono imprese ed accidenti seguiti nelle guerre di Siena.
P. Mi piace, e spero averne a sentire maggiore satisfazione, essendo queste storie e fazioni successe a mio tempo e pochi anni sono: ma fate ch'io vegga dove voi date principio, e che io sappia se voi seguite in queste il medesimo ordine che in quelle di Pisa.
G. Signor sì, e Vostra Eccellenza consideri in questo quadro grande verso il Sale, dove ho fatto che corrisponda all'altro della deliberazione della guerra di Pisa, contenendo questo la resoluzione della guerra di Siena, dove ho finto il signor duca Cosimo solo in una camera di palazzo, il quale ha dinanzi a sé sopra un tavolino il modello della città di Siena, e con le seste va misurando e scompartendo per trovare il modo di pigliare i forti di quella città.
P. Tutto mi piace: ma ditemi, che volete voi rappresentare con quella femmina che gli è avanti, che ha il lume in mano?
G. L'ho fatta per la Vigilanza; quell'altra, che gli è accanto a sedere, è la Pazienza; l'altre due, che gli sono intorno, sono la Fortezza e la Prudenza; questo ultimo quaggiù a' piedi, che si tiene una mano alla bocca, è il Silenzio; dalle quali virtù in particolare fu sempre accompagnato il duca Cosimo in questa impresa.
P. Quelli putti, che sono in aria, che significano?
G. Gli ho finti per spiriti celesti; o vero angioletti, i quali tengono in mano, come la vede, chi palma, chi olivo, e chi lauro, quasi promettendogli la vittoria, dovendo così seguire per volere di Dio.
P. Questo ottangolo mi piace; ed oltre all'invenzione si conosce alle parole, che è la deliberazione della guerra di Siena, che dicono: "Senensibus vicinis infidis bellum": ma seguite a dichiarare questo quadro lungo a lato al Casentino, che mette in mezzo questo ottangolo, dove mi par vedere una gran fazione.
G. Questa è quella grande scaramuccia, che seguì al luogo detto il Monistero, vicino a Siena, dove ho ritratto il luogo al naturale, pieno di forti come stava allora, e ci ho fatto parte della cavalleria e fanteria che combattono.
P. Comprendo il tutto benissimo; e mi piace che vi andate accomodando a' tempi, con avere ritratte molte armadure ed abiti che si usano ne' nostri tempi; voglio un poco leggere le parole che gli sono sotto: "Praelium acre ad Monasterium".
G. Vostra Eccellenza ha fatto prima che ora paragone della vista; or veniamo a quest'altro quadro simile, che mette in mezzo questo medesimo ottangolo, nel quale ho fatto la presa di Casoli, dov'è il marchese di Marignano a cavallo, che vi fece piantare l'artiglierie e fece parlamento con i suoi soldati; poi presono la terra e vi entrarono dentro.
P. Veggo benissimo ogni cosa fino alli gabbioni, ed attorno in ordine vi è l'esercito del marchese: ma leggete le lettere che li sono sotto.
G. "Casuli oppidi expugnatio".
P. Seguite il resto.
G. Vostra Eccellenza venga quaggiù verso S. Piero Scheraggio, e consideri in quello ottangolo la grandissima scaramuccia fatta a Marciano in Valdichiana, che seguì tre giorni avanti alla rotta; ed ho fatto l'esercito del signor duca e di Piero Strozzi che combattono, ed in particolare ho usato diligenza in ritrarre il sito di quel luogo come sta appunto.
P. Questo ottangolo mi piace, perché si scorge in esso fierezza, e si vede la strage de' soldati che fa l'artiglieria, ed il combatter loro a piè ed a cavallo; e n'avete messi morti assai in varie attitudini con gran maestria, e veggo ancora la situazione de' padiglioni di que' campi: ma ditemi, che figura grande è questa quaggiù da basso?
G. Questa è finta per il padule della Chiana, che a questo romore alzi la testa, e le lettere, che li ho fatto sotto, dicono: "Galli, rebellesq. praelio cedunt".
P. Or seguitate l'altro quadro allato al Borgo S. Sepolcro, nel quale veggo tanti messi in fuga, molti de' quali affogano in mare.
G. In questo ho dipinto la rotta data a' Turchi dalle genti del signor duca, quali erano smontati a Piombino, ed ho fatto la fuga loro verso le galere.
P. Si vede ogni cosa minutamente, molti se ne veggono affogati, altri che notando s'attaccano ai battelli in diverse attitudini; riconosco ancora tutto il paese di Piombino che avete ritratto insieme con la marina; ma non so che si voglia dire quella figura grande che si vede da mezzo in su.
G. È fatta per un Mare, il quale, sentendo questo romore, esce fuori con un ramo di corallo in mano, e ce l'ho fatto per maggiore ornamento; e, perché questa storia si conosca, ci ho scritto sotto: "Publici hostes terra arcentur".
P. Per pubblici nimici volete intendere i Turchi, mi piace: ma passate a quest'altro simile, che accompagna quest'ottangolo, nel quale ci è scritto sotto: "Mons Regionis expugnatur"; deve forse esser la presa di Montereggioni.
G. Sta come la dice; in questo mi sono ingegnato principalmente ritrarre il luogo al naturale insieme con le genti del duca; e ci ho fatto molti che conducono l'artiglieria con i buoi, per batterlo, ed ho ritratto molti bombardieri.
P. Mi piace, e si conviene talvolta amplificare la storia con qualche bella invenzione. Ma venite alla dichiarazione del quadro di mezzo, acciò poi possiamo vedere queste tre storie grandi; ci veggo, la prima cosa, molti ritratti di naturale; or cominciate a dirmi che cosa ci avete fatta.
G. Sì come nel quadro a dirimpetto feci il trionfo della guerra di Pisa, così in questo ho fatto il trionfo della guerra di Siena, e similmente ci ho ritratto la città di Firenze trionfante, dalla veduta di S. Piero Gattolini, ed ho fatto il marchese di Marignano che torni vittorioso con l'esercito, ed attorno mostro che gli sieno molti capitani, che si ritrovarono seco in detta guerra, fra' quali di naturale, come più principali, ho ritratto il signor Chiappino Vitelli ed il signor Federigo da Montaguto, e fingo similmente che Vostra Eccellenza esca fuori della porta con una gran corte e li vadia incontro rallegrandosi seco della riportata vittoria. P. Riconosco ogni minuzia, e di tutto resto sodisfatto: ma ricordatemi chi sono quelli quaggiù da basso ritratti tutti al naturale.
G. Quel grassotto, che è il primo, è don Vincenzio Borghini, priore degl'Innocenti; quell'altro con quella barba un poco più lunga è M. Giovambatista Adriani, i quali mi sono stati di grandissimo aiuto in quest'opera con l'invenzione loro.
P. Mi piace, e con questa amorevolezza di porre qui i loro ritratti avete voluto ristorare parte delle loro fatiche: ma ditemi chi sono quest'altri che sono allato al vostro ritratto, io non gli raffiguro.
G. Il primo è Batista Naldini, l'altro è Giovanni Strada, e l'ultimo è Iacopo Zucchi, i quali sono giovani nella professione molto intendenti, e mi hanno aiutato a dipignere ed a condurre quest'opera a perfezione, che senza l'aiuto loro non 1'avrei condotta in una età.
P. Avete fatto bene ad onorarli con farne memoria, e certo che lo meritavano, essendosi insieme con voi affaticati in quest'opera così grande: ma leggete le parole che avete fatte per dichiarazione di questo trionfo.
G. "Exitus victis, victoribusq. felix". Fino a qui abbiamo veduto quanto era nel palco attenente alla guerra ed impresa di Siena; con buona grazia di Vostra Eccellenza potremo seguitare ragionando di questi tre quadri grandi posti nella facciata, ne' quali similmente si tratta della guerra di Siena.
P. Seguitate, che volentieri starò a sentire; ma vorrei bene mi diceste da qual parte darete principio.
G. Comincieremo dal quadro posto da capo del salone, che è verso il Sale, che è quando di notte furono presi i forti di Siena, nella quale impresa il signore duca acquistò molta reputazione, avendo in uno stesso tempo dimostrato non solo ardire nell'affrontare i nimici in casa loro, ma prudenza incomparabile, essendosi governato con silenzio e con sagacità grandissima.
P. Si vede le provvisioni de' lanternoni con molte altre cose per facilitare il cammino di notte, e la fierezza del marchese di Marignano nel sollecitare i soldati e comandare a quelli bombardieri. Ma passiamo alla storia di mezzo.
G. In questo quadro di mezzo è la presa di Portercole, e Vostra Eccellenza consideri come avendo il marchese a poco a poco acquistato i bastioni, ed impadronitosi de' ripari, Piero Strozzi si fugge con le galere.
P. Essendo cose seguite a mio tempo, e pochi giorni sono, a un'occhiata sola tutte le comprendo; però passate all'altro.
G. Quest'ultimo quadro contiene il fatto d'arme in Valdichiana, nel quale Piero Strozzi ebbe la rotta alli due di Agosto 1554, fatto tanto notabile, e di tanta riputazione e grandezza al signor duca Cosimo, che il trattarne brevemente è cosa impossibile, né meno si conviene ora al presente nostro ragionamento.
P. Ci resta solamente quel tondo di mezzo; e mi ricordo quando, da principio di questa dichiarazione della sala, vi domandai che cosa fussi, mi diceste che doveva esser l'ultimo, e che quella era la chiave e la conclusione delle storie che avete fatte in questa sala.
G. Se io mi obbligai allora, sono ora pronto a pagare questo debito. Deve dunque sapere Vostra Eccellenza che quando io mi preparava per l'invenzione di questa sala nel leggere le storie antiche e moderne di questa città, e che io considerava leggendo i travagliosi tempi ed i vari accidenti, per tante mutazioni di governi, con l'esaltazione ed abbassamento di tanti cittadini, e le sedizioni e discordie civili, con tanta effusione di sangue, e ribellioni de' suoi cittadini, ed i contrasti e guerre sofferte da quella repubblica nel soggiogare le più nobili e famose città convicine, e che per potere signoreggiare questa parte del mar Tirreno, che è la grandezza di questi vostri stati, con tanta spesa e con tanta mortalità fusse forzata per tanti anni ben due volte a tenere assediata la città di Pisa: similmente quando io conosceva le difficultà, ed i travagli patiti dall'illustrissima vostra casa in quello stato populare, ed ultimamente che il signor duca vostro padre con tesoro inestimabile abbia avuto a mantenere un esercito ed una guerra in casa del nimico, e sottopostosi Siena con tutti li suoi stati: mi veniva talvolta in considerazione la quiete, il riposo, e la pace che godiamo in questo stato presente; e comparandolo io alle guerre, alle sedizioni, ed a' travagli antichi patiti, oltre alla fame e peste, in queste vostre città, mi è parso che quelle tante fatiche delli antichi cittadini e delli avoli vostri sieno state quasi che una scala a condurre il signor duca Cosimo nella gloria e nella felicità presente. Però in questo tondo, che, come la vede, è nel mezzo, circondato da tante segnalate vittorie, ho figurato il signor duca Cosimo trionfante e glorioso, coronato da una Firenze con corona di quercia; ed essendo questa città la principale e metropoli di tutti i suoi stati, e reggendosi essa con le ventuna arti maggiori e minori, alle quali non solo le città tutte, ma il distretto e dominio viene sottoposto, mi è parso attorniarlo con quelli putti, ciascheduno de' quali tiene l'insegna di queste arti e l'armi della città e comunità di Firenze, come distintamente può considerare.
P. Io sono stato a sentirvi fare questo discorso delle cose antiche e moderne di questa città attentamente, perché mi pare che ne aviate cavato un bello e nobile capriccio; ed oltre all'avere del vago ha molto dell'ingegnoso; e mi piace che, per non confondere la vista, solamente abbiate fatto Firenze: ma, per mostrare che non intendete la città solamente, ci avete dipinte tutte le arti in significato del dominio.
G. Vostra Eccellenza l'ha intesa benissimo, e quanto più considero a questi particolari, tanto più mi par vera la nostra conclusione, non avendo mai più questa città sentito la pace e la tranquillità, che gode al presente, stabilita con tanta grandezza, che si può con certezza affermare averla a godere per molti secoli.
P. Non credo ci resti altro da vedere; che se bene l'ora è tarda, non mi increscerebbe, tanto diletto ho sentito oggi in questa sala: e certamente che avete fatto un'opera da esserne eternamente commentado; perché, oltre alla bellezza delle figure, avete con tanta invenzione e con tanto bell'ordine divisato tutta quest'opera, che dimostrate non avere meno faticato nell'intendere, e cavare le storie dalli scrittori antichi e moderni, che nel dipignerle.
G. Signore, Vostra Eccellenza non mi lodi altrimenti, perché non se ne accorgendo viene a lodare il signor duca Cosimo e lei stessa in un medesimo tempo, dovendo io oltre all'avere a riconoscere quel poco di sapere, che è in me, in particolare da Sua Eccellenza, in protezione del quale dal principio della mia gioventù fino all'età presente sono con tanti favori stato onorato, che, oltre al debito di fedele vassallo, sono stato riconosciuto da amorevole servidore, e tanto più mi sento del continuo stringere dalla benignità di Vostra Eccellenza, trovandomi ne' giorni passati, ed in particolare in questo giorno, cotanto da lei favorito, che al pensarci solo obbligano me e la casa mia in eterno, non sapendo da qual parte mi fare a ringraziarla.
P. Non dite più, perché mi voglio ritirare alle mie stanze; e voi ritornatevene a lavorare, dando compimento a quanto ci resta.
G. Cercherò di spedirmi per potere servire Vostra Eccellenza in altra occasione, intorno alla quale del continuo mi vo preparando, per satisfare quanto prima al comandamento dell'eccellentissimo signor duca.
P. Avete voi alle mani altro di bello?
G. Il signor duca ha avuto molti anni voglia che si dipinga la volta di dentro di quella superba e maravigliosa fabbrica della cupola, condotta per opera ed arte di quel raro e pellegrino ingegno di Filippo di ser Brunellesco, che, considerando solamente l'artifizio e disegno di questa macchina, mi confondo, cotanta meraviglia e stupore genera nell'animo mio.
P. Certo io non credo che in Europa né ne' tempi antichi né ne' moderni si sia trovata una macchina, che insiememente abbia avuto tanto del grande e del nobile, e con tanta proporzione condotta alla fine, quanto questa; che, se non fussi per altro, rende famosa la nostra città.
G. Vostra Eccellenza dice il vero, e quando io volto il pensiero a questo, mi pare grande felicità di questo cielo e di questa patria, che sempre ha prodotti uomini eccellenti in ogni professione, e che non abbia avuto bisogno di architetti forestieri, ma uu suo figliuolo ed un suo cittadino l'abbia condotta a questa perfezione, nella quale continuamente la godiamo.
P. Poiché voi ci avete tanta affezione, avendo davanti agli occhi l'eccellenza di Filippo di ser Brunellesco, vorrete anche voi fare la parte vostra adornandola di quella bella invenzione.
G. Io ci ho di già pensato, e desidero che Vostra Eccellenza con suo comodo gli dia un'occhiata, avvertendomi di quanto a lei parrà; ed ecco ch'io la voglio mostrare a Vostra Eccellenza, perché, sapendo che la ci aveva oggi a venire, me la messi accanto, perché lei la vedesse porgendo misi l'occasione.
P. Questo è un disegno molto bello, e non è cosa che a uno sguardo solo io mi possa saziare; ha di bisogno di matura e particolare considerazione.
G. Come gli piace, io gliene lascerò, e potrà vederlo a sua comodità, e dirmi poi quanto gli occorre per poter levare ed aggiugnere, secondo che comanderà Vostra Eccellenza. Il signor duca l'ha veduta, e pare che se ne compiaccia molto.
P. Essendo opera vostra son certo che non mi occorrerà far altro che lodarla, e tanto più se il signor duca mio padre l'ha veduta ed approvata. Orsù, Giorgio, per oggi non voglio trattenermi più; attendete a tirare avanti questo lavoro, e prepararvi a quest'altro, che sarà una nobile opera.
G. Vostra Eccellenza si ritiri a suo comodo; non mi allungherò a ringraziarla de' tanti favori che la mi fa, per non la tenere a tedio, e per non dirli cose, alle quali e la natura e gli innumerabili benefizi fatti ed a me ed a casa mia naturalmente mi obbligano a tenerne perpetua memoria.