DI LIONE LIONI ARETINO E D'ALTRI SCULTORI ET ARCHITETTI
Perché quello che si è detto sparsamente di sopra del cavalier Lione, scultore aretino, si è detto incidentemente, non fia se non bene che qui si ragioni con ordine dell'opere sue, degne veramente di essere celebrate e di passare alla memoria degl'uomini. Costui dunque, avendo a principio atteso all'orefice e fatto in sua giovanezza molte bell'opere, e particolarmente ritratti di naturale in conii d'acciaio per medaglie, divenne in pochi anni in modo eccellente, che venne in cognizione di molti principi e grand'uomini, et in particolare di Carlo Quinto imperatore, dal quale fu messo, conosciuta la sua virtù, in opere di maggiore importanza che le medaglie non sono. Con ciò sia che fece, non molto dopo che venne in cognizione di Sua Maestà, la statua di esso imperatore tutta tonda, di bronzo, maggiore del vivo, e quella poi con due gusci sottilissimi vestì d'una molto gentile armatura, che se gli lieva e veste facilmente, e con tanta grazia che chi la vede vestita non s'accorge e non può quasi credere ch'ella sia ignuda, e quando è nuda niuno crederebbe agevolmente ch'ella potesse così bene armarsi già mai. Questa statua posa la gamba sinistra, e con la destra calca il Furore, il quale è una statua a giacere, incatenata, con la face e con arme sotto di varie sorti. Nella base di quest'opera, la quale è oggi in Madril, sono scritte queste parole: CAESARIS VIRTUTE FUROR DOMITUS. Fece dopo queste statue Lione un conio grande per stampare medaglie di Sua Maestà, con il rovescio de' Giganti fulminati da Giove. Per le quali opere donò l'imperatore a Lione un'entrata di cento cinquanta ducati l'anno in sulla Zecca di Milano, una comodissima casa nella contrada de' Moroni, e lo fece cavaliere e di sua famiglia con dargli molti privilegii di nobiltà per i suoi descendenti. E mentre stette Lione con sua Maestà in Bruselles, ebbe le stanze nel proprio palazzo dell'imperatore, che talvolta per diporto l'andava a vedere lavorare. Fece non molto dopo di marmo un'altra statua pur dell'imperatore, e quelle dell'imperatrice, del re Filippo, et un busto dell'istesso imperatore da porsi in alto in mezzo a due quadri di bronzo. Fece similmente di bronzo la testa della reina Maria, quella di Ferdinando, allora re de' Romani, e di Massimiliano suo figliuolo, oggi imperatore, quella della reina Leonora e molti altri, che furono poste nella galleria del palazzo di Bindisi da essa reina Maria che le fé fare. Ma non vi stettono molto, perché Enrico re di Francia vi apiccò fuoco per vendetta, lasciandovi scritto queste parole: Velà, fole Maria; dico per vendetta, perciò che essa reina pochi anni innanzi aveva fatto a lui il medesimo. Comunche fusse, l'opera di detta galleria non andò innanzi, e le dette statue sono oggi parte in palazzo del re Catolico a Madril e parte in Alicante, porto di mare: donde le voleva Sua Maestà far porre in Granata, dove sono le sepolture di tutti i re di Spagna. Nel tornare Lione di Spagna se ne portò due mila scudi contanti, oltre a molti altri doni e favori che gli furono fatti in quella corte. Ha fatto Lione al duca d'Alva la testa di lui, quella di Carlo Quinto e quella del re Filippo. Al reverendissimo d'Aras, oggi gran cardinale, detto Granvela, ha fatto alcuni pezzi di bronzo in forma ovale di braccia due l'uno, con ricchi partimenti e mezze statue dentrovi; in uno è Carlo Quinto, in un altro il re Filippo, e nel terzo esso cardinale, ritratti di naturale: e tutte hanno imbasamenti di figurette graziosissime. Al signor Vespasiano Gonzaga ha fatto sopra un gran busto di bronzo il ritratto d'Alva, il quale ha posto nelle sue case a Sabbioneto. Al signor Cesare Gonzaga ha fatto, pur di metallo, una statua di quattro braccia, che ha sotto un'altra figura che è aviticchiata con un'Idra, per figurare don Ferrante suo padre, il quale con la sua virtù e valore superò il vizio e l'invidia che avevano cercato porlo in disgrazia di Carlo per le cose del governo di Milano. Questa statua, che è togata, e parte armata all'antica e parte alla moderna, deve essere portata e posta a Guastalla per memoria di esso don Ferrante, capitano valorosissimo. Il medesimo ha fatto, come s'è detto in altro luogo, la sepoltura del signore Giovanni Iacopo Medici, marchese di Marignano, fratello di papa Pio Quarto, che è posta nel Duomo di Milano, lunga ventotto palmi incirca et alta quaranta. Questa è tutta di marmo di Carrara et ornata di quattro colonne: due nere e bianche, che come cosa rara furono dal Papa mandate da Roma a Milano, e due altre maggiori, che sono di pietra macchiata, simile al diaspro; le quali tutte e quattro sono concordate sotto una medesima cornice con artifizio non più usato, come volle quel Pontefice, che fece fare il tutto con ordine di Michelagnolo, eccetto però le cinque figure di bronzo che vi sono di mano di Lione. La prima delle quali, maggiore di tutte, è la statua di esso Marchese, in piedi e maggiore del vivo, che ha nella destra il bastone del generalato, e l'altra sopra un elmo che è in sur un tronco molto riccamente ornato. Alla sinistra di questa è una statua minore, per la Pace, et alla destra un'altra fatta per la Virtù militare; e queste sono a sedere et in aspetto tutte meste e dogliose. L'altre due, che sono in alto, una è la Providenza e l'altra la Fama; e nel mezzo, al pari di queste, è in bronzo una bellissima Natività di Cristo di basso rilievo. In fine di tutta l'opera sono due figure di marmo che reggono un'arme di palle di quel signore. Questa opera fu pagata scudi 7800, secondo che furono d'accordo in Roma l'illustrissimo cardinal Morone et il signor Agabrio Serbelloni. Il medesimo ha fatto al signor Giovambatista Castaldo una statua, pur di bronzo, che dee esser posta in non so qual monasterio, con alcuni ornamenti. Al detto re Catolico ha fatto un Cristo di marmo, alto più di tre braccia, con la croce e con altri misteri della Passione, che è molto lodato. E finalmente ha fra mano la statua del signor Alfonso Davalo, marchese famosissimo del Guasto, statagli allogata dal marchese di Pescara suo figliuolo, alta quattro braccia, e da dover riuscire ottima figura di getto per la diligenza che mette in farla e buona fortuna che ha sempre avuto Lione ne' suoi getti. Il quale Lione, per mostrare la grandezza del suo animo, il bello ingegno che ha avuto dalla natura et il favore della fortuna, ha con molta spesa condotto di bellissima architettura un casotto nella contrada de' Moroni, pieno in modo di capricciose invenzioni, che non n'è forse un altro simile in tutto Milano. Nel partimento della facciata sono sopra a' pilastri sei Prigioni di braccia sei l'uno, tutti di pietra viva; e fra essi alcune nicchie fatte a imitazione degl'antichi, con terminetti, finestre e cornici, tutte varie da quel che s'usa e molto graziose; e tutte le parti di sotto corrispondono con bell'ordine a quelle di sopra: le fregiature sono tutte di varii stromenti dell'arti del disegno. Dalla porta principale, mediante un andito, si entra in un cortile, dove nel mezzo, sopra quattro colonne, è il cavallo con la statua di Marco Aurelio, formato di gesso da quel proprio che è in Campidoglio: dalla quale statua ha voluto che quella sua casa sia dedicata a Marco Aurelio; e quanto ai Prigioni, quel suo capriccio da diversi è diversamente interpretato. Oltre al qual cavallo, come in altro luogo s'è detto, ha in quella sua bella e comodissima abitazione, formate di gesso, quant'opere lodate di scultura o di getto ha potuto avere, o moderne o antiche. Un figliuolo di costui, chiamato Pompeo, il quale è oggi al servizio del re Filippo di Spagna, non è punto inferiore al padre in lavorare conii di medaglie d'acciaio e far di getto figure maravigliose. Onde in quella corte è stato concorrente di Giovanpaulo Poggini fiorentino, il quale sta anch'egli a' servigi di quel re et ha fatto medaglie bellissime. Ma Pompeo, avendo molti anni servito quel re, disegna tornarsene a Milano a godere la sua casa aureliana e l'altre fatiche del suo eccellente padre, amorevolissimo di tutti gl'uomini virtuosi. E per dir ora alcuna cosa delle medaglie e de' conii d'acciaio con che si fanno, io credo che si possa con verità affermare i moderni ingegni avere operato quanto già facessero gl'antichi Romani nella bontà delle figure, e che nelle lettere et altre parti gl'abbiano superato. Il che si può vedere chiaramente, oltre molti altri, in 12 rovesci che ha fatto ultimamente Pietro Paulo Galeotti nelle medaglie del duca Cosimo. E sono questi: Pisa, quasi tornata nel suo primo essere per opera del Duca, avendole egli asciutto il paese intorno e seccati i luoghi padulosi e fattole altri assai miglioramenti; l'acque condotte in Firenze da luoghi diversi; la fabrica de' Magistrati, ornata e magnifica per comodità publica; l'unione degli Stati di Fiorenza e Siena; l'edificazione d'una città e dua fortezze nell'Elba; la colonna condotta da Roma e posta in Fiorenza in sulla piazza di Santa Trinita; la conservazione, fine et augumentazione della Libreria di San Lorenzo per utilità publica; la fondazione de' Cavalieri di Santo Stefano; la rinunzia del governo al Principe; le fortificazioni dello Stato; la milizia, overo bande del suo Stato; il palazzo de' Pitti, con giardini, acque e fabrica, condotto sì magnifico e regio. De' quali rovesci non metto qui né le lettere che hanno atorno né la dichiarazion loro, avendo a trattarne in altro luogo. I quali tutti dodici rovesci sono belli affatto e condotti con molta grazia e diligenza, come è anco la testa del Duca, che è di tutta bellezza; parimente i lavori e medaglie di stucchi, come ho detto altra volta, si fanno oggi di tutta perfezzione. Et ultimamente Mario Capocaccia anconetano ha fatti di stucchi di colore, in scatolette, ritratti e teste veramente bellissime, come sono un ritratto di papa Pio Quinto, ch'io vidi non ha molto, e quello del cardinale Alessandrino. Ho veduto anco di mano de' figliuoli di Pulidoro, pittore perugino, ritratti della medesima sorte, bellissimi. Ma per tornare a Milano, riveggendo io un anno fa le cose del Gobbo scultore, del quale altrove si è ragionato, non viddi cosa che fussi se non ordinaria, eccetto un Adamo et Eva, una Iudith et una Santa Elena di marmo che sono intorno al Duomo, con altre statue di due morti, fatte per Lodovico detto il Moro e Beatrice sua moglie, le quali dovevano essere poste a un sepolcro di mano di Giovan Iacomo dalla Porta, scultore et architetto del Duomo di Milano, il quale lavorò nella sua giovanezza molte cose sotto il detto Gobbo; e le sopradette, che dovevano andare al detto sepolcro, sono condotte con molta pulitezza. Il medesimo Giovan Iacomo ha fatto molte bell'opere alla Certosa di Pavia, e particolarmente nel sepolcro del conte di Virtù e nella facciata della chiesa. Da costui imparò l'arte un suo nipote, chiamato Guglielmo, il quale in Milano attese con molto studio a ritrarre le cose di Lionardo da Vinci, circa l'anno 1530, che gli fecero grandissimo giovamento. Per che andato con Giovan Iacomo a Genova, quando l'anno 1531 fu chiamato là a fare la sepoltura di San Giovanni Batista, attese al disegno con gran studio sotto Perino del Vaga; e non lasciando per ciò la scultura, fece uno dei sedici piedistalli che sono in detto sepolcro. Laonde, veduto che si portava benissimo, gli furono fatti fare tutti gl'altri. Dopo condusse due Angeli di marmo che sono nella Compagnia di San Giovanni. Et al vescovo di Servega fece due ritratti di marmo et un Moisè maggiore del vivo, il quale fu posto nella chiesa di San Lorenzo. Et appresso, fatta che ebbe una Cerere di marmo, che fu posta sopra la porta della casa d'Ansaldo Grimaldi, fece sopra la porta della Cazzuola di quella città una statua di Santa Caterina grande quanto il naturale; e dopo le tre Grazie con quattro putti di marmo, che furono mandati in Fiandra al gran scudiero di Carlo Quinto imperatore, insieme con un'altra Cerere grande quanto il vivo. Avendo Guglielmo in sei anni fatte quest'opere, l'anno 1537 si condusse a Roma, dove da Giovan Iacomo suo zio fu molto raccomandato a fra' Bastiano pittore viniziano, suo amico, acciò esso il raccomandassi, come fece, a Michelagnolo Buonarruoti; il quale Michelagnolo veggendo Guglielmo fiero e molto assiduo alle fatiche, cominciò a porgli affezione, e innanzi a ogni altra cosa gli fece restaurare alcune cose antiche in casa Farnese; nelle quali si portò di maniera che Michelagnolo lo mise al servigio del Papa, essendosi anco avuto prima saggio di lui in una sepoltura che avea condotta dalle Botteghe Oscure, per la più parte di metallo, al vescovo Sulisse, con molte figure e storie di basso rilievo, cioè le Virtù cardinali et altre fatte con molta grazia: et oltre a quelle la figura di esso vescovo, che poi andò a Salamanca in Ispagna. Mentre dunque Guglielmo andava restaurando le statue, che sono oggi nel palazzo de' Farnesi nella loggia che è dinanzi alla sala di sopra, morì, l'anno 1547, fra' Bastiano Viniziano, che lavorava, come s'è detto, l'uffizio del Piombo; onde tanto operò Guglielmo col favore di Michelagnolo e d'altri col Papa, che ebbe il detto uffizio del Piombo, con carico di fare la sepoltura di esso papa Paulo Terzo da porsi in San Piero; dove con miglior disegno s'accomodò nel modello delle storie e figure delle Virtù teologiche e cardinali, che aveva fatto per lo detto vescovo Sulisse, mettendo in su' canti quattro putti in quattro tramezzi e quattro cartelle, e facendo oltre ciò di metallo la statua di detto Pontefice a sedere, in atto di pace; la quale statua fu alta palmi 17. Ma dubitando per la grandezza del getto che il metallo non raffreddasse, onde ella non riuscisse, messe il metallo nel bagno da basso, per venire abeverando di sotto in sopra. E con questo modo inusitato venne quel getto benissimo e netto come era la cera, onde la stessa pelle che venne dal fuoco non ebbe punto bisogno d'essere rinetta, come in essa statua può vedersi: la quale è posta sotto i primi archi che reggono la tribuna del nuovo San Piero. Avevano a essere messe a questa sepoltura, la quale secondo un suo disegno doveva essere isolata, quattro figure che egli fece di marmo con belle invenzioni, secondo che gli fu ordinato da messer Annibale Caro, che ebbe di ciò cura dal Papa e dal cardinal Farnese. Una fu la Giustizia, che è una figura nuda sopra un panno a giacere, con la cintura della spada attraverso al petto, e la spada ascosa; in una mano ha i fasci della Iustizia consolare e nell'altra una fiamma di fuoco: è giovane nel viso, ha i capegli avvolti, il naso aquilino e d'aspetto sensitivo. La seconda fu la Prudenza, in forma di matrona, d'aspetto giovane, con uno specchio in mano, un libro chiuso, e parte ignuda e parte vestita. La terza fu l'Abbondanza, una donna giovane, coronata di spighe, con un corno di dovizia in mano e lo staio antico nell'altra, et in modo vestita che mostra l'ignudo sotto i panni. L'ultima e quarta fu la Pace, la quale è una matrona con un putto, che ha cavato gl'occhi, e col caduceo di Mercurio. Fecevi similmente una storia pur di metallo, e con ordine del detto Caro, che aveva a essere messa in opera con due Fiumi, l'uno fatto per un lago e l'altro per un fiume che è nello Stato de' Farnesi; et oltre a tutte queste cose vi andava un monte pieno di gigli con l'arco vergine. Ma il tutto non fu poi messo in opera per le cagioni che si son dette nella Vita di Michelagnolo. E si può credere che, come queste parti in sé son belle e fatte con molto giudizio, così sarebbe riuscito il tutto insieme: tuttavia l'aria della piazza è quella che dà il vero lume e fa far retto giudizio dell'opere. Il medesimo fra' Guglielmo ha condotto, nello spazio di molti anni, quattordici storie, per farle di bronzo, della vita di Cristo: ciascuna delle quali è larga palmi quattro et alta sei, eccetto però una, che è palmi dodici alta e larga sei, dove è la Natività di Gesù Cristo con bellissime fantasie di figure. Nell'altre tredici sono: l'andata di Maria con Cristo putto in Ierusalem in su l'asino, con due figure di gran rilievo e molte di mezzo e basso; la Cena, con tredici figure ben composte et un casamento ricchissimo; il lavare i piedi ai Discepoli; l'orare nell'orto, con cinque figure et una turba da basso molto varia; quando è menato ad Anna, con sei figure grandi, e molte di basso et un lontano; lo essere battuto alla colonna; quando è coronato di spine; l' Ecce Homo; Pilato che si lava le mani; Cristo che porta la croce, con XV figure et altre lontane, che vanno al monte Calvario; Cristo crucifisso, con 18 figure; e quando è levato di croce. Le quali tutte istorie, se fussono gettate, sarebbono una rarissima opera, veggendosi che è fatta con molto studio e fatica. Aveva disegnato papa Pio Quarto farle condurre per una delle porte di San Piero, ma non ebbe tempo, sopravenuto dalla morte. Ultimamente ha condotto fra' Guglielmo modelli di cera per tre alt[a]ri di San Piero: Cristo deposto di croce, il ricevere Pietro le chiavi della Chiesa, e la venuta dello Spirito Santo, che tutte sarebbono belle storie. Insomma ha costui avuto et ha occasione grandissima di affaticarsi e fare dell'opere, avengaché l'uffizio del Piombo è di tanto gran rendita, che si può studiare et affaticarsi per la gloria: il che non può fare chi non ha tante comodità. E nondimeno non ha condotto fra' Guglielmo opere finite dal 1547 infino a questo anno 1567: ma è proprietà di chi ha quell'uffizio impigrire e diventare infingardo. E che ciò sia vero, costui, innanzi che fusse frate del Piombo, condusse molte teste di marmo et altri lavori, oltre quelli che abbiàn detto. È ben vero che ha fatto quattro gran Profeti di stucco, che sono nelle nicchie fra i pilastri del primo arco grande di San Piero. Si adoperò anco assai ne' carri della festa di Testaccio et altre mascherate, che già molti anni sono si fecero in Roma. È stato creato di costui un Guglielmo Tedesco, che fra l'altre opere ha fatto un molto bello e ricco ornamento di statue piccoline di bronzo, imitate dall'antiche migliori, a uno studio di legname (così gli chiamano) che il conte di Pitigliano donò al signor duca Cosimo; le quali figurette son queste: il cavallo di Campidoglio, quelli di Monte Cavallo, gl'Ercoli di Farnese, l'Antinoo et Apollo di Belvedere, e le teste de' dodici Imperatori, con altre, tutte ben fatte e simili alle proprie. Ha auto ancora Milano un altro scultore che è morto questo anno, chiamato Tommaso Porta, il quale ha lavorato di marmo eccellentemente, e particolarmente ha contrafatto teste antiche di marmo, che sono state vendute per antiche; e le maschere l'ha fatte tanto bene che nessuno l'ha paragonato, et io ne ho una di sua mano di marmo, posta nel camino di casa mia d'Arezzo, che ognuno la crede antica. Costui fece di marmo, quanto in naturale, le dodici teste degli Imperatori, che furono cosa rarissima; le quali papa Giulio Terzo le tolse, e gli fece dono della segnatura d'uno uffizio di scudi cento l'anno, e tenne non so che mesi le teste in camera sua come cosa rara. Le quali per opera, si crede, di fra' Guglielmo su detto e d'altri che l'invidiavano, operorono contra di lui di maniera, che, non riguardando alla degnità del dono fattogli da quel Pontefice, gli furono rimandate a casa, dove poi con miglior condizione gli fur pagate da mercanti e mandate in Ispagna. Nessuno di questi imitatori delle cose antiche valse più di costui, del quale m'è parso degno che si faccia memoria di lui, tanto più quanto egli è passato a miglior vita, lasciando fama e nome della virtù sua. Ha similmente molte cose lavorato in Roma un Lionardo Milanese, il quale ha ultimamente condotto due statue di marmo, San Piero e San Paulo, nella cappella del cardinale Giovanni Riccio da Monte Pulciano, che sono molto lodate e tenute belle e buone figure. Et Iacopo e Tommaso Casignuola scultori hanno fatto per la chiesa della Minerva, alla cappella de' Caraffi, la sepoltura di papa Paulo Quarto, con una statua di pezzi (oltre agl'altri ornamenti) che rappresenta quel Papa col manto di mischio brocatello, et il fregio et altre cose di mischi di diversi colori, che la rendono maravigliosa. E così veggiamo questa giunta all'altre industrie degl'ingegni moderni, e che i scultori con i colori vanno nella scultura imitando la pittura. Il quale sepolcro ha fatto fare la santità e molta bontà e gratitudine di papa Pio Quinto, Padre e Pontefice veramente beatissimo, santissimo e di lunga vita degnissimo. Nanni di Baccio Bigio, scultore fiorentino, oltre quello che in altri luoghi s'è detto di lui, dico che nella sua giovanezza sotto Raffaello da Monte Lupo attese di maniera alla scultura che diede in alcune cose piccole, ch'e' fece di marmo, gran speranza d'avere a essere valent'uomo. E andato a Roma sotto Lorenzetto scultore, mentre attese, come il padre avea fatto, anco all'architettura, fece la statua di papa Clemente Settimo che è nel coro della Minerva, et una Pietà di marmo, cavata da quella di Michelagnolo, la quale fu posta in Santa Maria de Anima, chiesa de' Tedeschi, come opera che è veramente bellissima. Un'altra simile, indi a non molto, ne fece a Luigi del Riccio, mercante fiorentino, che è oggi in Santo Spirito di Firenze a una cappella di detto Luigi, il quale è non meno lodato di questa Pietà verso la patria che Nanni d'aver condotta la statua con molta diligenza et amore. Si diede poi Nanni sotto Antonio da San Gallo con più studio all'architettura, et attese, mentre Antonio visse, alla fabrica di San Piero; dove cascando da un ponte alto sessanta braccia e sfragellandosi, rimase vivo per miracolo. Ha Nanni condotto in Roma e fuori molti edifizii, e cercato di più e maggiori averne, come s'è detto nella Vita di Michelagnolo. È sua opera il palazzo del cardinal Monte Pulciano in strada Iulia, et una porta del Monte San Savino, fatta fare da Giulio Terzo, con un ricetto d'acqua non finito, una loggia et altre stanze del palazzo, stato già fatto dal cardinal vecchio di Monte. È parimente opera di Nanni la casa de' Mattei, et altre molte fabriche che sono state fatte e si fanno in Roma tuttavia. È anco oggi fra gl'altri famoso e molto celebre architettore Galeazzo Alessi perugino, il quale, servendo in sua giovanezza il cardinale di Rimini, del quale fu cameriero, fece fra le sue prime opere, come volle detto signore, la riedificazione delle stanze della fortezza di Perugia, con tante comodità e bellezza, che in luogo sì piccolo fu uno stupore, e pure sono state capaci già più volte del Papa con tutta la corte. Appresso, per avere altre molte opere che fece al detto cardinale, fu chiamato dai Genovesi con suo molto onore a' servigii di quella Republica; per la quale la prima opera che facesse si fu racconciare e fortificare il porto et il molo, anzi quasi farlo un altro da quello che era prima. Con ciò sia che allargandosi in mare per buono spazio, fece fare un bellissimo portone che giace in mezzo circolo, molto adorno di colonne rustiche e di nicchie a quelle intorno; all'estremità del qual circolo si congiungono due baluardotti che difendono detto portone. In sulla piazza poi, sopra il molo, alle spalle di detto portone, verso la città fece un portico grandissimo, il quale riceve il corpo della guardia, d'ordine dorico; e sopra esso, quanto è lo spazio che egli tiene et insieme i due baluardi e porta, resta una piazza spedita per comodo dell'artiglieria, la quale a guisa di cavaliere sta sopra il molo e difende il porto dentro e fuora. Et oltre questo, che è fatto, si dà ordine per suo disegno, e già dalla Signoria è stata approvato il modello, all'accrescimento della città, con molta lode di Galeazzo, che in queste et altre opere ha mostrato di essere ingegnosissimo. Il medesimo ha fatto la Strada Nuova di Genova, con tanti palazzi, fatti con suo disegno alla moderna, che molti affermano in niun'altra città d'Italia trovarsi una strada più di questa magnifica e grande, né più ripiena di ricchissimi palazzi, stati fatti da que' signori a persuasione e con ordine di Galeazzo; al quale confessano tutti avere obligo grandissimo, poi che è stato inventore et essecutore d'opere che, quanto agl'edifizii, rendono senza comparazione la loro città molto più magnifica e grande ch'ella non era. Ha fatto il medesimo altre strade fuori di Genova, e tra l'altre quella che si parte da Ponte Decimo per andare in Lombardia. Ha restaurato le mura della città verso il mare e la fabrica del Duomo, facendogli la tribuna e la cupola. Ha fatto anco molte fabriche private, il palazzo in villa di messer Luca Iustiniano, quello del signor Ottaviano Grimaldi, i palazzi di due Dogi, uno al signor Batista Grimaldi, et altri molti, de' quali non accade ragionare. Già non tacerò che ha fatto il lago et isola del signor Adamo Centurioni, copiosissimo d'acque e fontane, fatte in diversi modi belli e capricciosi; la fonte del capitan Larcaro, vicina alla città, che è cosa notabilissima. Ma sopra tutte le diverse maniere di fonti che ha fatte a molti, è bellissimo il bagno che ha fatto in casa del signor Giovan Batista Grimaldi in Bisagno. Questo, ch'è di forma tondo, ha nel mezzo un laghetto, nel quale si possono bagnare comodamente otto o dieci persone; il quale laghetto ha l'acqua calda da 4 teste di Mostri marini, che pare che escano del lago, e la fredda da altre tante Rane, che sono sopra le dette teste de' Mostri. Gira intorno al detto lago, a cui si scende per tre gradi in cerchio, uno spazio quanto a due persone può bastare a passeggiare commodamente. Il muro di tutto il circuito è partito in otto spazii: in quattro sono quattro gran nicchie, ciascuna delle quali riceve un vaso tondo, che alzandosi poco da terra, mezzo entra nella nicchia e mezzo resta fuora, et in mezzo di ciascun d'essi può bagnarsi un uomo, venendo l'acqua fredda e calda da un mascherone che la getta per le corna e la ripiglia quando bisogna per bocca. In una dell'altre 4 parti è la porta, e nell'altre tre sono finestre e luoghi da sedere; e tutte l'otto parti sono divise da termini che reggono la cornice, dove posa la volta ritonda di tutto il bagno. Di mezzo alla qual volta pende una gran palla di vetro cristallino, nella quale è dipinta la sfera del cielo, e dentro essa il globo della terra; e da questa in alcune parti, quando altri usa il bagno di notte, viene chiarissimo lume, che rende il luogo luminoso come fusse di mezzo giorno. Lascio di dire il comodo dell'antibagno, lo spogliatoio, il bagnetto, quali son pieni di istucchi, e le pitture ch'adornano il luogo, per non esser più lungo di quello che bisogni: basta che non son punto disformi a tant'opera. In Milano, con ordine del medesimo Galeazzo, s'è fatto il palazzo del signor Tommaso Marini, duca di Terranuova, e per avventura la facciata della fabrica che si fa ora di S. Celso, l'auditorio del Cambio in forma ritonda, la già cominciata chiesa di S. Vittore, et altri molti edifizî. Ha mandato l'istesso, dove non è potuto egli esser in persona, disegni per tutta Italia, e fuori, di molti edifizii, palazzi e tempii, de' quali non dirò altro, questo potendo bastare a farlo conoscere per virtuoso e molto eccellente architetto. Non tacerò ancora, poi che è nostro italiano, se bene non so il particolare dell'opere sue, che in Francia, secondo che intendo, è molto eccellente architetto, et in particolare nelle cose di fortificazioni, Rocco Guerrini da Marradi, il quale in queste ultime guerre di quel regno ha fatto con suo molto utile et onore molte opere ingegnose e laudabili. E così ho in quest'ultimo, per non defraudare niuno del proprio merito della virtù, favellato d'alcuni scultori et architetti vivi, de' quali non ho prima avuto occasione di comodamente ragionare. Il fine della Vita di Lione Lioni scultor aretino.