VITA DI TORRIGIANO scultor fiorentino
Grandissima possanza ha lo sdegno in uno che cerca con alterigia e con superbia in una professione essere stimato eccellente, e che in tempo che egli non se lo aspetti vegga levarsi di nuovo qualche bello ingegno nella medesima arte, il quale non pure lo paragoni, ma col tempo di gran lunga lo avanzi. Questi tali certamente non è ferro che per rabbia non rodessero, o male che potendo non facessero, perché par loro scorno ne' popoli troppo orribile lo avere visto nascere i putti, e da' nati, quasi in un tempo, nella virtù essere raggiunti: non sapendo eglino che ogni dì si vede la volontà spinta dallo studio negli anni acerbi de' giovani, quando con la frequentazione degli studi è da essi esercitata, crescere in infinito, e che i vecchi dalla paura, dalla superbia e dalla ambizione tirati, diventano goffi, e quanto meglio credono fare, peggio fanno, e credendo andare inanzi ritornano adietro; onde essi invidiosi mai non dànno credito alla perfezzione de' giovani nelle cose che fanno, quantunque chiaramente le vegghino, per l'ostinazione ch'è in loro: per che nelle prove si vede che quando eglino per volere mostrare quel che sanno più si sforzano, ci mostrano spesso di loro cose ridicole e da pigliarsene giuoco. E nel vero, come gli artefici passano i termini, che l'occhio non sta fermo e la mano lor trema, possono, se hanno avanzato alcuna cosa, dare de' consigli a chi opera, con ciò sia che l'arti della pittura e scultura vogliono l'animo tutto svegliato e fiero, sì come è nella età che bolle il sangue, e pieno di voglia ardente, e de' piaceri del mondo capital nimico: e chi nelle voglie del mondo non è continente, fugga gli studii di qualsivoglia arte o scienza, perciò che non bene convengono fra loro cotali piaceri e lo studio. E da che tanti pesi si recano dietro queste virtù, pochi per ogni modo sono coloro che arrivino al supremo grado; onde più sono quelli che dalle mosse con caldezza si partono, che quegli che per ben meritare nel corso acquistino il premio. Più superbia adunque che arte, ancorché molto valessi, si vide nel Torrigiano scultore fiorentino, il quale nella sua giovanezza fu da Lorenzo Vecchio de' Medici tenuto nel giardino che in sulla piazza di San Marco di Firenze aveva quel magnifico cittadino, in guisa d'antiche e buone sculture ripieno, che la loggia, i viali e tutte le stanze erano adorne di buone figure antiche di marmo e di pitture, et altre così fatte cose di mano de' migliori maestri che mai fussero stati in Italia e fuori. Le quali tutte cose, oltre al magnifico ornamento che facevano a quel giardino, erano come una scuola et academia ai giovanetti pittori e scultori et a tutti gl'altri che attendevano al disegno, e particolarmente ai giovani nobili, attesoché il detto magnifico Lorenzo teneva per fermo che coloro che nascono di sangue nobile possino più agevolmente in ogni cosa venire a perfezzione e più presto che non fanno per lo più le genti basse, nelle quali comunemente non si veggiono quei concetti né quel maraviglioso ingegno che nei chiari di sangue si vede, senzaché, avendo i manco nobili il più delle volte a difendersi dallo stento e dalla povertà, e per conseguente necessitati a fare ogni cosa meccanica, non possono esercitare l'ingegno né ai sommi gradi d'eccellenza pervenire. Onde ben disse il dottissimo Alciato parlando dei belli ingegni nati poveramente, e che non possono sollevarsi per essere tanto tenuti al basso dalla povertà quanto inalzati dalle penne dell'ingegno: Ut me pluma levat, sic grave mergit onus. Favorì dunque il magnifico Lorenzo sempre i belli ingegni, ma particolarmente i nobili che avevano a queste arti inclinazione; onde non è gran fatto che di quella scuola uscissero alcuni che hanno fatto stupire il mondo; e che è più, non solo dava provisione da poter vivere e vestire a coloro che, essendo poveri, non arebbono potuto esercitare lo studio del disegno, ma ancora donativi straordinarii a chi meglio degl'altri si fusse in alcuna cosa adoperato; onde gareggiando fra loro i giovani studiosi delle nostre arti, ne divennero, come si dirà, eccellentissimi. Era allora custode e capo di detti giovani Bertoldo scultore fiorentino, vecchio e pratico maestro, e stato già discepolo di Donato; onde insegnava loro, e parimente aveva cura alle cose del giardino et a' molti disegni, cartoni e modelli di mano di Donato, Pippo, Masaccio, Paulo Uc[c]ello, fra' Giovanni, fra' Filippo e d'altri maestri paesani e forestieri. E nel vero queste arti non si possono imparare se non con lungo studio fatto in ritrarre e sforzarsi d'imitare le cose buone; e chi non ha di sì fatte commodità, se bene è dalla natura aiutato, non si può condurre se non tardi a perfezzione. Ma tornando all'anticaglie del detto giardino, elle andarono la maggior parte male l'anno 1494, quando Piero, figliuolo del detto Lorenzo, fu bandito di Firenze, perciò che tutte furono vendute all'incanto. Ma nondimeno la maggior parte furono l'anno 1512 rendute al magnifico Giuliano, allora che egli e gl'altri di casa Medici ritornarono alla patria, et oggi per la maggior parte si conservano nella guardaroba del duca Cosimo. Il quale esempio veramente magnifico di Lorenzo, sempre che sarà imitato da prìncipi e da altre persone onorate, recherà loro onore e lode perpetua, perché chi aiuta e favorisce nell'alte imprese i belli e pellegrini ingegni, da e' quali riceve il mondo tanta bellezza, onore, comodo e utile, merita di vivere eternamente per fama negli intelletti degl'uomini. Fra gl'altri che studiarono l'arti del disegno in questo giardino, riuscirono tutti questi eccellentissimi: Michelagnolo di Lodovico Bonarroti, Giovan Francesco Rustici, Torrigiano Torrigiani, Francesco Granacci, Niccolò di Domenico Soggi, Lorenzo di Credi e Giuliano Bugiardini; e de' forestieri: Baccio da Montelupo, Andrea Contucci dal Monte Sansovino, et altri de' quali si farà memoria al luogo loro. Il Torrigiano adunque, del quale al presente scriviamo la Vita, praticando nel detto giardino con i sopradetti, era di natura tanto superbo e colloroso, oltre all'essere di persona robusta, d'animo fiero e coraggioso, che tutti gl'altri bene spesso soperchiava di fatti e di parole. Era la sua principale professione la scoltura, ma nondimeno lavorava di terra molto pulitamente e con assai bella e buona maniera; ma non potendo egli sopportare che niuno con l'opere gli passasse inanzi, si metteva a guastar con le mani quell'opere di man d'altri alla bontà delle quali non poteva con l'ingegno arrivare; e se altri di ciò se risentiva, egli spesso veniva ad altro che a parole. Aveva costui particolar odio con Michelagnolo, non per altro se non perché lo vedeva studiosamente attendere all'arte, e sapeva che nascosamente la notte et il giorno delle feste disegnava in casa, onde poi nel giardino riusciva meglio che tutti gl'altri et era perciò molto carezzato dal magnifico Lorenzo. Per che mosso da crudele invidia, cercava sempre d'offenderlo di fatti o di parole; onde,venuti un giorno alle mani, diede il Torrigiano a Michelagnolo sì fattamente un pugno sul naso, che glielo infranse di maniera che lo portò poi sempre così stiacciato mentre che visse: la qual cosa avendo intesa il Magnifico, ne ebbe tanto sdegno che, se il Torrigiano non si fuggiva di Firenze, n'arebbe ricevuto qualche grave castigo. Andatosene dunque a Roma, dove allora faceva lavorare Alessandro VI torre Borgia, vi fece il Torrigiano in compagnia d'altri maestri molti lavori di stucchi. Poi dandosi danari per lo duca Valentino che faceva guerra ai Romagnuoli, il Torrigiano fu sviato da alcuni giovani fiorentini; e così fattosi in un tratto di scultore soldato, si portò in quelle guerre di Romagna valorosamente. Il medesimo fece con Paulo Vitelli nella guerra di Pisa, e con Piero de' Medici si trovò nel fatto d'arme del Garigliano, dove si acquistò una insegna e nome di valente alfiere. Finalmente, conoscendo che non era per mai venire, ancorché lo meritasse, come disiderava al grado di capitano, e non avere alcuna cosa avanzato nella guerra, anzi aver consumato vanamente il tempo, ritornò alla scoltura; et avendo fatto ad alcuni mercatanti fiorentini operette di marmo e di bronzo in figure piccole che sono in Fiorenza per le case de' cittadini, e disegnato molte cose con fierezza e buona maniera, come si può vedere in alcune carte del nostro libro di sua mano, insieme con altre le quali fece a concorrenza di Michelagnolo, fu dai sudetti mercanti condotto in Inghilterra, dove lavorò in servigio di quel re infinite cose di marmo, di bronzo e di legno a concorrenza d'alcuni maestri di quel paese, ai quali tutti restò superiore. E ne cavò tanti e così fatti premii che, se non fusse stato, come superbo, persona inconsiderata e senza governo, sarebbe vivuto quietamente e fatto ottima fine, là dove gli avvenne il contrario. Dopo, essendo condotto d'Inghilterra in Ispagna, vi fece molte opere che sono sparse in diversi luoghi e sono molto stimate; ma in fra l'altre fece un Crocifisso di terra, che è la più mirabile cosa che sia in tutta la Spagna; e fuori della città di Siviglia, in un monasterio de' frati di San Girolamo, fece un altro Crucifisso et un San Girolamo in penitenza col suo lione - nella figura del qual Santo ritrasse un vecchio dispensiero de' Botti, mercanti fiorentini in Ispagna -, et una Nostra Donna col Figliuolo, tanto bella ch'ella fu cagione che ne facesse un'altra simile al duca d'Arcus; il quale per averla fece tante promesse a Torrigiano, che egli si pensò d'esserne ricco per sempre. La quale opera finita, gli donò quel Duca tanti di quelle monete che chiamano maravedìs, che vagliono poco o nulla, che il Torrigiano, al quale ne andarono due persone a casa cariche, si confermò maggiormente nella sua openione d'avere a esser ricchissimo; ma avendo poi fatta contare e vedere a un suo amico fiorentino quella moneta e ridurla al modo italiano, vide che tanta somma non arrivava pure a trenta ducati; per che tenendosi beffato, con grandissima collera andò dove era la figura che aveva fatto per quel Duca, e tutta guastolla. Laonde quello spagnuolo, tenendosi vituperato, accusò il Torrigiano per eretico; onde essendo messo in prigione et ogni dì esaminato e mandato da uno inquisitore all'altro, fu giudicato finalmente degno di gravissima punizione: la quale non fu messa altrimenti in esecuzione, perché esso Torrigiano per ciò venne in tanta maninconia, che stato molti giorni senza mangiare, e perciò debilissimo divenuto, a poco a poco finì la vita. E così col tòrsi il cibo si liberò dalla vergogna in che sarebbe forse caduto, essendo, come si credette, stato condennato a morte. Furono l'opere di costui circa gl'anni di nostra salute 1515, e morì l'anno 1522.