Cap. IX. Del fare i modelli di cera e di terra, e come si vestino e come a proporzione si ringrandischino poi nel marmo; come si subbino e si gradinino e pulischino e impomicino e si lustrino e si rendino finiti.
Sogliono gli scultori, quando vogliono lavorare una figura di marmo, fare per quella un modello - che così si chiama -, cioè uno esemplo che è una figura di grandezza di mez[z]o braccio o meno o più secondo che gli torna comodo, o di terra o di cera o di stucco, purché e' possin mostrar in quella l'attitudine e la proporzione che ha da essere nella figura che e' voglion fare, cercando accomodarsi alla larghezza et alla altezza del sasso che hanno fatto cavare per farvela dentro. Ma per mostrarvi come la cera si lavora, diremo del lavorare la cera e non la terra. Questa, per renderla più morbida, vi si mette dentro un poco [di] sevo e di trementina e di pece nera, delle quali cose il sevo la fa più arrendevole e la trementina tegnente in sé, e la pece le dà il colore nero e le fa una certa sodezza dapoi ch'è lavorata, nello stare fatta, che ella diventa dura. E chi volesse anco farla d'altro colore, può agevolmente, perché mettendovi dentro terra rossa overo cinabrio o minio la farà giuggiolina o di somigliante colore; se verderame, verde; et il simile si dice degli altri colori. Ma è bene da avvertire che i detti colori vogliono esser fatti in polvere e stiacciati e, così fatti, essere poi mescolati con la cera, liquefatta che sia. Fassene ancora - per le cose piccole e per fare medaglie, ritratti e storiette et altre cose di basso rilievo - della bianca, e questa si fa mescolando con la cera bianca biacca in polvere, come si è detto di sopra. Non tacerò ancora che i moderni artefici hanno trovato il modo di fare nella cera le mestiche di tutte le sorti colori, onde, nel fare ritratti di naturale di mezzo rilievo, fanno le carnagioni, i capegli, i panni e tutte l'altre cose in modo simili al vero che a cotali figure non manca, in un certo modo, se non lo spirito e le parole. Ma per tornare al modo di fare la cera: acconcia questa mistura e insieme fonduta, fredda ch'ella è, se ne fa i pastelli, i quali nel maneggiarli dalla caldezza delle mani si fanno come pasta, e con essa si crea una figura a sedere, ritta o come si vuole, la quale abbia sotto un'armadura per reggerla in se stessa o di legni o di fili di ferro, secondo la volontà dell'artefice, et ancor si può fare con essa e senza, come gli torna bene; et a poco a poco col giudicio e le mani lavorando, crescendo la materia, con istecchi d'osso, di ferro o di legno si spinge indentro la cera, e con mettere dell'altra sopra si aggiugne e raffina, finché con le dita si dà a questo modello l'ultimo pulimento. E finito ciò, volendo fare di quegli che siano di terra, si lavora a similitudine della cera, ma senza armadura di sotto o di legno o di ferro perché li farebbe fendere e crepare; e mentre che quella si lavora, perché non fenda con un panno bagnato si tien coperta fino che resta fatta. Finiti questi piccioli modelli o figure di cera o di terra, si ordina di fare un altro modello che abbia ad essere grande quanto quella stessa figura che si cerca di fare di marmo; nel che fare, perché la terra che si lavora umida nel seccarsi rientra, bisogna mentre che ella si lavora fare a bell'agio e rimetterne su di mano in mano, e nell'ultima fine mescolare con la terra farina cotta che la mantiene morbida e lieva quella secchezza; e questa diligenza fa che il modello, non rientrando, rimane giusto e simile alla figura che s'ha da lavorare di marmo. E perché il modello di terra grande si abbia a reggere in sé e la terra non abbia a fendersi, bisogna pigliare della cimatura, o borra che si chiami, o pelo, e nella terra mescolare quella, la quale la rende in sé tegnente e non la lascia fendere. Armasi di legni sotto, e di stoppa stretta (o fieno) con lo spago e' si fa l'ossa della figura e se le fa fare quella attitudine ch'e' bisogna secondo il modello picciolo, diritto o a sedere che sia; e, cominciando a coprirla di terra, si conduce ignuda, lavorandola insino al fine. La qual condotta, se se le vuol poi fare panni addosso che siano sottili, si piglia pannolino che sia sottile, e se grosso, grosso, e si bagna; e bagnato, con la terra s'interra, non liquidamente ma di un loto che sia alquanto sodetto, et attorno alla figura si va acconciandolo, che faccia quelle pieghe et amaccature che l'animo gli porge; di che, secco, verrà a indurarsi e manterrà di continuo le pieghe. In questo modo si conducono a fine i modelli e di cera e di terra. Volendo ringrandirlo a proporzione nel marmo, bisogna che nella stessa pietra onde s'ha da cavare la figura sia fatta fare una squadra, che un dritto vada in piano a piè della figura e l'altro vada in alto e tenga sempre il fermo del piano, e così il dritto di sopra; e similmente un'altra squadra o di legno o d'altra cosa sia al modello, per via della quale si piglino le misure da quella del modello quanto sportano le gambe fora e così le braccia; e si va spignendo la figura indentro con queste misure, riportandole sul marmo dal modello, di maniera che misurando il marmo et il modello a proporzione, viene a levare della pietra con li scarpelli, e la figura a poco a poco misurata viene a uscire di quel sasso nella maniera che si caverebbe d'una pila d'acqua, pari e diritta, una figura di cera, che prima verrebbe il corpo e la testa e le ginocchia, et a poco a poco scoprendosi et in su tirandola, si vedrebbe poi la ritondità di quella fin passato il mez[z]o, e in ultimo la ritondità dell'altra parte. Per che quelli che hanno fretta a lavorare e che bucano il sasso da principio e levano la pietra dinanzi e di dietro risolutamente, non hanno poi luogo dove ritirarsi, bisognandoli; e di qui nascono molti errori che sono nelle statue, ché, per la voglia ch'à l'artefice del vedere le figure tonde fuor del sasso a un tratto, spesso si gli scuopre un errore che non può rimediarvi se non vi si mettono pezzi commessi, come abbiamo visto costumare a molti artefici moderni; il quale rattoppamento è da ciabattini e non da uomini eccellenti o maestri rari, et è cosa vilissima e brutta e di grandissimo biasimo. Sogliono gli scultori, nel fare le statue di marmo, nel principio loro abozzare le figure con le subbie - che sono una specie di ferri da loro così nominati i quali sono apuntati e grossi - et andare levando e subbiando grossamente il loro sasso; e poi con altri ferri detti calcagnuoli, ch'ànno una tacca in mez[z]o e sono corti, andare quella ritondando per fino ch'eglino venghino a un ferro piano più sottile del calcagnuolo, che ha due tacche et è chiamato gradina, col quale vanno per tutto con gentilezza gradinando la figura con la proporzione de' muscoli e delle pieghe, e la tratteggiano di maniera, per la virtù delle tacche o denti predetti, che la pietra mostra grazia mirabile. Questo fatto, si va levando le gradinature con un ferro pulito; e per dare perfezione alla figura, volendole aggiugnere dolcezza, morbidezza e fine, si va con lime torte levando le gradine. Il simile si fa con altre lime sottili e scuffine diritte, limando, che resti piano; e dapoi con punte di pomice si va impomiciando tutta la figura, dandole quella carnosità che si vede nell'opere maravigliose della scultura. Adoperasi ancora il gesso di Tripoli acciò che l'abbia lustro e pulimento; similmente con paglia di grano, facendo struffoli, si stroppiccia, talché finite e lustrate si rendono agl'occhi nostri bellissime.