VITA D'ANDREA TAFI pittore fiorentino
Sì come recarono non pic[c]ola maraviglia le cose di Cimabue- avendo egli dato all'arte della pittura miglior disegno e forma - agl'uomini di que' tempi avezzi a non veder se non cose fatte alla maniera greca, così l'opere di musaico d'Andrea Tafi, che fu ne' medesimi tempi, furono ammirate et egli perciò tenuto eccellente anzi divino, non pensando que' popoli, non usi a vedere altro, che in cotale arte meglio operar si potesse. Ma di vero, non essendo egli il più valente uomo del mondo, considerato che il musaico per la lunga vita era più che tutte l'altre pitture stimato, se n'andò da Firenze a Vinezia, dove alcuni pittori greci lavoravano in S. Marco di musaico; e con essi pigliando dimestichezza, con preghi, con danari e con promesse operò di maniera che a Firenze condusse maestro Apollonio pittore greco, il quale gl'insegnò a cuocere i vetri del musaico e far lo stucco per commetterlo, et in sua compagnia lavorò nella tribuna di S. Giovanni la parte di sopra, dove sono le Potestà, i Troni e le Dominazioni; nel quale luogo poi Andrea, fatto più dotto, fece, come si dirà di sotto, il Cristo che è sopra la banda della capella maggiore. Ma avendo fatto menzione di San Giovanni, non passerò con silenzio che quel tempio antico è tutto, di fuori e di dentro, lavorato di marmi d'opera corinta, e che egli è non pure in tutte le sue parti misurato e condotto perfettamente e con tutte le sue proporzioni, ma benissimo ornato di porte e di finestre, et accompagnato da due colonne di granito per faccia, di braccia undici l'una, per fare i tre vani sopra i quali sono gl'architravi che posano in su le dette colonne per reggere tutta la machina della volta doppia; la quale è dagl'architetti moderni come cosa singolare lodata, e meritamente, perciò che ell'ha mostrato il buono che già aveva in sé quell'arte a Filippo di ser Brunelesco, a Donatello et agl'altri maestri di que' tempi, i quali impararono l'arte col mezzo di quell'opera e della chiesa di S. Apostolo di Firenze: opera di tanto buona maniera che tira alla vera bontà antica, avendo, come si è detto di sopra, tutte le colonne di pezzi, misurate e commesse con tanta diligenza che si può molto imparare a considerarle in tutte le sue parti. Ma per tacere molte cose che della buona architettura di questa chiesa si potrebbono dire, dirò solamente che molto si diviò da questo segno e da questo buon modo di fare quando si rifece di marmo la facciata della chiesa di S. Miniato sul Monte fuor di Firenze per la conversione del beato S. Giovanni Gualberto cittadino di Firenze e fondator della congregazione de' Monaci di Vallombrosa -, perché quella e molte altre opere che furono fatte poi non furono punto in bontà a quelle dette somiglianti. Il che medesimamente avvenne nelle cose della scultura, perché tutte quelle che fecero in Italia i maestri di quell'età, come s'è detto nel proemio delle Vite, furono molto goffe, come si può vedere in molti luoghi e particolarmente in Pistoia in S. Bartolemeo de' Canonici Regolari, dove, in un pergamo fatto goffissimamente da Guido da Como, è il principio della vita di Gesù Cristo con queste parole, fattevi dall'artefice medesimo l'anno 1199: SCULTOR LAUDATUR QUI DOCTUS IN ARTE PROBATUR GUIDO DE COMO ME CUNCTIS CARMINE PROMO. Ma per tornare al tempio di S. Giovanni, lasciando di raccontare l'origine sua per essere stata scritta da Giovanni Villani e da altri scrittori, avendo già detto che da quel tempio s'ebbe la buona architettura che oggi è in uso, aggiugnerò che, per quel che si vede, la tribuna fu fatta poi e che al tempo che Alesso Baldovinetti, dopo Lippo pittore fiorentino, racconciò quel musaico, si vide ch'ell'era stata anticamente dipinta e dissegnata di rosso e lavorata tutta sullo stucco. Andrea Tafi dunque et Apollonio greco fecero in quella tribuna, per farlo di musaico, uno spartimento che stringendo da capo a canto alla lanterna, si veniva allargando insino sul piano della cornice di sotto, dividendo la parte più alta in cerchî di varie storie. Nel primo sono tutti i ministri et essequitori della volontà divina, cioè gl'Angeli, gl'Arcangeli, i Cherubini, i Serafini, le Potestati, i Troni e le Dominazioni; nel secondo grado sono, pur di musaico alla maniera greca, le principali cose fatte da Dio da che fece la luce insino al diluvio; nel giro che è sotto questi, il quale viene allargando le otto facce di quella tribuna, sono tutti i fatti di Ioseffo e de' suoi dodici fratelli. Seguitano poi sotto questi altri tanti vani della medesima grandezza che girano similmente inanzi, nei quali è pur di musaico la vita di Gesù Cristo da che fu concetto nel ventre di Maria insino all'ascensione in cielo. Poi ripigliando il medesimo ordine, sotto i tre fregi è la vita di S. Giovanni Battista, cominciando dall'apparizione dell'Angelo a Zacheria sacerdote infino alla decollazione e sepoltura che gli dànno i suoi Discepoli. Le quali tutte cose, essendo goffe senza disegno e senza arte e non avendo in sé altro che la maniera greca di que' tempi, io non lodo semplicemente, ma sì bene avut'ò rispetto al modo di fare di quella età et all'imperfetto che allora aveva l'arte della pittura, senzaché il lavoro è saldo e sono i pezzi del musaico molto bene commessi. Insomma, il fine di quel[l'] opera è molto migliore o, per dir meglio, manco cattivo che non è il principio, se bene il tutto, rispetto alle cose d'oggi, muove più tosto a riso che a piacer o maraviglia. Andrea finalmente fece con molta sua lode da per sé e senza l'aiuto d'Appollonio nella detta tribuna, sopra la banda della capella maggiore, il Cristo che ancor oggi si vede, di braccia sette. Per le quali opere famoso per tutta Italia divenuto e nella patria sua ecc[ellente] reputato, meritò d'essere onorato e premiato largamente. Fu veramente felicità grandissima quella d'Andrea nascer in tempo, che, goffamente operandosi, si stimasse assai quello che pochissimo o più tosto nulla stimare si doveva. La qual cosa medesima avvenne a fra' Iacopo da Turrita dell'Ordine di S. Francesco, perché avendo fatto l'opere di musaico che sono nella scarsella dopo l'altare di detto S. Giovanni, nonostante che fussero poco lodevoli, ne fu con premii straordinarii remunerato e poi come eccellente maestro condotto a Roma, dove lavorò alcune cose nella capella dell'altar maggiore di S. Giovanni Laterano e in quella di S. Maria Maggiore. Poi, condotto a Pisa, fece nella tribuna principale del Duomo, colla medesima maniera che aveva fatto l'altre cose sue, aiutato nondimeno da Andrea Tafi e da Gaddo Gaddi, gl'Evangelisti et altre cose che vi sono, le quali poi furono finite da Vicino, avendole egli lasciate poco meno che imperfette del tutto. Furono dunque in pregio per qualche tempo l'opere di costoro, ma poi che l'opere di Giotto furono, come si dirà al luogo suo, poste in paragone di quelle d'Andrea, di Cimabue e degl'altri, conobbero i popoli in parte la perfezione dell'arte, vedendo la differenza che era dalla maniera prima di Cimabue a quella di Giotto nelle figure degl'uni e degl'altri et in quelle che fecero i discepoli et immitatori loro. Dal quale principio, cercando di mano in mano gl'altri di seguire l'orme de' maestri migliori e sopravanzando l'un l'altro felicemente più l'un giorno che l'altro, da tanta bassezza sono state queste arti al colmo della loro perfezzione, come si vede, inalzate. Visse Andrea anni ottantuno, e morì inanzi a Cimabue nel 1294. E per la reputazione et onore che si guadagnò col musaico, per averlo egli prima d'ogni altro arecato et insegnato agl'uomini di Toscana in migliore maniera, fu cagione che Gaddo Gaddi, Giotto e gl'altri fecero poi l'eccellentissime opere di quel magisterio che hanno acquistato loro fama e nome perpetuo. Non mancò chi dopo la morte d'Andrea lo magnificasse con questa inscrizzione: QUI GIACE ANDREA CH'OPRE LEGGIADRE E BELLE FECE IN TUTTA TOSCANA ET ORA È ITO A FAR VAGO LO REGNO DELLE STELLE. Fu discepolo d'Andrea Buonamico Buffalmacco, che gli fece essendo giovanetto molte burle, e il quale ebbe da lui il ritratto di papa Celestino IIII milanese e quello d'Innocen[zio] Quarto, l'un e l'altro de' quali ritrasse poi nelle pitture sue che fece a Pisa in S. Paulo a Ripa d'Arno. Fu discepolo, e forse figliuolo del medesimo, Antonio d'Andrea Tafi, il quale fu ragionevole dipintore; ma non ho potuto trovare alcuna opera di sua mano, solo si fa menzione di lui nel vecchio libro della Compagnia degl'uomini del Disegno. Merita dunque d'essere molto lodato fra gl'antichi maestri Andrea Tafi, perciò che, se bene imparò i principii del musaico da coloro che egli condusse da Vinezia a Firenze, aggiunse nondimeno tanto di buono all'arte, commettendo i pezzi con molta diligenza insieme e conducendo il lavoro piano come una tavola (il che è nel musaico di grandissima importanza), che egli aperse la via di far bene, oltre gl'altri, a Giotto, come si dirà nella Vita sua; e non solo a Giotto, ma a tutti quelli che dopo a lui insino ai tempi nostri si sono in questa sorte di pittura essercitati. Onde si può con verità affermare che quelle opere che oggi si fanno maravigliose di musaico in San Marco di Vinezia et in altri luoghi, avessero da Andrea Tafi il loro primo principio. Fine della Vita d'Andrea Tafi.