BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO ET ALTRI ROMAGNUOLI pittori
Certamente che il fine delle concorrenzie nelle arti, per la ambizione della gloria, si vede il più delle volte esser lodato; ma s'egli avviene che, da superbia e da presumersi, chi concorre meni alcuna volta troppa vampa di sé, e' si scorge in ispazio di tempo quella virtù che cerca in fumo e nebbia risolversi, attesoché mal può crescere in perfezzione chi non conosce il proprio difetto e chi non teme l'operare altrui. Però meglio si conduce ad augumento la speranza degli studiosi timidi, che sotto colore d'onesta vita onorano l'opere de' rari maestri, le lodano, e con ogni studio quelle imitando, aùppoco aùppoco s'avanzano di sapere, e dopo non molto tempo aguagliano i maestri, e facilissimamente, se non in ogni cosa, in qualche parte ancora gli trapassano. Non fecero già così Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese, Girolamo da Cotignola et Innocenzio da Imola, i quali maestri e pittori in Bologna quasi un tempo fiorirono, perché quella invidia che l'un l'altro si portarono, nutrita più per superbia che per gloria, li deviava da la via buona, la quale a la eternità conduce coloro che, valorosi, più per il nome che per le gare combattono. Per che fu questa cosa cagione che a' buoni principii che avevano non diedero quello ottimo fine che s'aspettava da loro, con ciò sia che il prosumersi d'essere maestri li fece deviare dal primo obietto. Era Bartolomeo da Bagnacavallo venuto a Roma ne' tempi di Raffaello, per aggiugnere con l'opere dove con l'animo gli pareva arrivare di perfezzione; e come giovane ch'aveva fama in Bologna per l'aspettazione di lui, fu messo a fare un lavoro nella chiesa della Pace di Roma, nella cappella prima a man destra entrando in chiesa, sopra la cappella di Baldassar Perucci sanese. Ma non gli parendo riuscire quel tanto che di sé aveva promesso, se ne tornò a Bologna. Avvenne in questo tempo che si fece ragunata de' sopradetti in Bologna; et a concorrenza l'un dell'altro fecero in San Petronio, alla cappella della Nostra Donna, allato alla porta della facciata dinanzi a man destra entrando in chiesa, ciascuno una storia di Cristo e della Nostra Donna, fra le quali poca differenza di perfezzione si vede l'un da l'altro. Per che Bartolomeo acquistò in tal cosa fama di avere la maniera più dolce e più sicura: avvengaché ancora nella storia di maestro Amico vi sia una infinità di cose strane, per aver figurato nella Resurression di Cristo armati, e quelli con attitudini torte e rannicchiate, e dalla lapida del sepolcro, che rovina loro addosso, stiacciati dimolti soldati, nondimeno per essere quella di Bartolomeo più unita, più fu lodata dagli artefici. Il che fu cagione ch'egli facesse poi compagnia con Biagio Bolognese, persona molto più pratica nella arte che eccellente; e lavororono in compagnia a San Salvatore a' Frati Scopetini un refettorio, il quale dipinsero parte a fresco, parte a secco, dentrovi quando Cristo sazia coi cinque pani e' due pesci cinquemila persone. E quivi lavororono ancora nella libreria una facciata con la disputa di Santo Agostino, nella quale fecero una prospettiva assai ragionevole. Avevano questi maestri, per aver veduto l'opere di Raffaello e praticato con esso, un certo che d'un tutto che pareva di dovere esser buono: ma nel vero non attesero alle ingegnose particularità dell'arte come si debbe; e perché in Bologna in quel tempo non erano altri più perfetti di loro, erano tenuti da que' che governavano e da' popoli di quella città per li migliori. Sono di mano di Bartolomeo, sotto la volta del palagio del Podestà, alcuni tondi a fresco; et ancora dirimpetto al palazzo de' Fantucci, in San Vitale, parrocchia di quella città, una storia di sua mano; e ne' Servi di Bologna, attorno a una tavola d'una Nunziata dipinta a olio da Innocenzio da Imola, sono alcuni Santi lavorati a fresco; et a San Michele in Bosco dipinse a fresco la cappella di Ramazzotto, capo di parte in Romagna, e fece infinite opere da sé et in compagnia dei sopradetti per Bologna; finché d'anni LVIII finì la sua vita. Era Bartolomeo molto invidiato da Amico pittor bolognese, il quale fu sempre un capriccioso e pazzo cervello, come pazze e capricciose le figure di lui per tutta Italia si veggono, e particolarmente in Bologna, dove dimorò il più del tempo. E nel vero, se le fatiche che e' fece et i disegni in tale arte fossero state durate per buona via e non a caso, sarebbe possibile ch'egli avesse passato infiniti che tegnamo rari et esperti. Ma può tanto la quantità del fare assai, che impossibile è che, fra molte, alcuna cosa buona non si faccia. Fra l'altre sue cose che di meglio siano in Bologna, fra tanta quantità, è una facciata di chiaro oscuro sulla piazza de' Marsigli, et un'altra alla Porta di San Mammolo. Dipinse a San Salvatore un fregio intorno la cappella maggiore, e per ogni chiesa, strada, spedale, cantone e casa, ogni cosa è di suo o di terretta o di colori imbrattato; così a Roma v'ha opere, et a Lucca in San Friano una cappella con strane e biz[z]arre fantasie. Dicesi che maestro Amico, come persona astratta da le altre, andava per Italia disegnando et ogni cosa ritraendo, le buone e le cattive, così di rilievo come dipinte: il che fu cagione che egli diventò un praticaccio inventore; e quando poteva avere cosa da servirsene la pigliava volentieri, e perché altri non se ne valesse dopo lui, la guastava: le quali fatiche furono cagione di fargli far quella maniera così pazza e strana. Laonde venuto già in vecchiezza di LXX anni, fra l'arte e la stranezza della vita, bestialissimamente impazzò; per il che il Guicciardino, allora governator di Bologna, ne pigliava grandissimo piacere con tutta quella città. Ma pure gli passò quello umore, et in sé ritornò. Dilettòs[s]i continuo cicalare, e diceva stranamente di bellissime cose. Vero è che non gli piacque già mai dir bene di persona alcuna virtuosa o buona, o per merito o per fortuna. Dicesi che un pittore bolognese, avendo comprato cavoli all'Avemaria in piazza, fu trovato da Amico, che lo tirò sotto la loggia del Podestà a ragionare con sì dolci trappole e strane fantasie, che si condussero fino appresso al giorno; per il che Amico gli disse che andasse a far cuocere i cavoli, ché oramai la ora passava: et a colui per la dolcezza delle chiàc[c]hiare non pareva passato troppo di tempo. Fece infinite burle e pazzie, delle quali non accade far menzione, volendo seguitare Girolamo da Cotignola, il quale fece in Bologna molti quadri e ritratti di naturale, e particularmente la tavola di San Iosep, che gli fu molto lodata; e così a San Michele in Bosco la tavola a olio alla cappella di San Benedetto, la quale fu cagione che con Biagio Bolognese egli facesse tutte le istorie che sono intorno alla chiesa, parte a fresco imposte et a secco lavorate, nelle quali si vede pratica assai, come nella maniera di Biagio dissi. Dipinse in Rimini in Santa Colomba, a concorrenza di Benedetto da Ferrara dipintore e di Lattanzio, una ancona, e vi fece una Santa Lucia più tosto lasciva che bella; e nella tribuna grande fece una Coronazione di Nostra Donna co' dodici Apostoli e ‘ quattro Vangelisti, con certe teste tanto grosse e contrafatte che è una vergogna a vederle. Poi se ne tornò a Bologna, e di quivi andò a Roma, dove fece molti ritratti di naturale di più signori e d'altre persone. E vedendo egli quello non esser paese dove far potesse, per i migliori pittori di lui, quel profitto nel nome e nel premio che ‘l desiderio e ‘l suo bisogno richiedeva, prese partito di trasferirsi a Napoli. Dove condottosi, trovò alcuni amici suoi che lo favorirono, e particularmente messer Tomaso Cambi mercante fiorentino, delle antiquità de' marmi e delle pitture molto amatore, che lo accomodò di stanze e di tutto il bisogno suo. Laonde praticarono ch'egli facesse in Monte Oliveto la tavola de' Magi, che e' dipinse a olio alla cappella di messer Antonello, vescovo di non so che luogo; et ancora in Santo Aniello fece a olio una tavola con la Nostra Donna e San Paulo e San Giovanni Batista; e per tutta quella città a questo signore et a quello fece infiniti ritratti di naturale, et ad altre persone medesimamente. E perché egli con miseria vivendo cercava di avanzare qualche cosa, sendo già condotto in vecchiezza, dopo non molto tempo se ne ritornò a Roma. Là dove alcuni amici suoi, che intesero come egli aveva avanzato qualche scudo, gli persuasero che per governo della propria vita dovesse tòr moglie. E così egli, che si credette far bene, tanto si lasciò aggirare, che da quei, per comodità loro, gli fu posta a canto per moglie una puttana che essi tenevano; e sposata che l'ebbe, gliela misero seco nel letto a dormire; onde scopertasi la cosa, n'ebbe il vecchio tanto dolore, per lo scorno e per la vergogna, che in termine di poche settimane se ne morì, di età di anni LXIX. Restami ora a far memoria di Innocenzio da Imola, il quale stette molti anni a Fiorenza con Mariotto Albertinelli, e ritornato in Imola vi fece molte opere. Avenne che il conte Giovan Batista Bentivogli, passando da Imola, gli persuase che volesse andare a stare a Bologna; per il che in quella condotto, contrafeceli un quadro di Raffaello da Urbino, già fatto al signor Lionello da Carpi; e fece ancora a San Michele in Bosco, a' frati di Monte Oliveto fuor di Bologna, il capitolo de' frati lavorato in fresco, dentrovi la Morte di Nostra Donna e la Resurressione di Cristo: la quale opera con grandissima diligenza e pulitezza fu condotta da Innocenzio. Egli vi fece ancora la tavola dello altar maggiore, la parte di sopra della quale è lavorata con buona maniera e fatica e colorito. Ne' Servi di Bologna fece una tavola d'una Annunziata, et ancora in San Salvatore dipinse una tavola d'un Crocifisso; così molti quadri e tavole et altre pitture in quella città. Era Innocenzio persona molto modesta e buona; e per la mala pratica che nel conversare usavano quei pittori bolognesi, li fuggiva, e solo si restava. E perché egli faceva l'arte con assai fatiche, ridotto d'anni LVI, ammalò di febbre pestilenziale, la quale lo trovò sì debole et affaticato, che in pochi giorni se ne morì. Rimase un lavoro grande, che aveva cominciato fuor di Bologna, a finire a Prospero Fontana bolognese, il quale a ottima fine glielo ridusse, avendosi confidato in lui che ciò far dovesse inanzi la morte. Furono le pitture di questi maestri dal MDVI fino al MDXLII.