Cap. XXXV. De le stampe di legno e del modo di farle e del primo inventor loro; e come con tre stampe si fannole carte che paiono disegnate e mostrano il lume, il mezzo e l'ombre.
Il primo inventore delle stampe di legno di tre pezzi, per mostrare, oltra il disegno, l'ombre, i mez[z]i et i lumi ancora, fu Ugo da Carpi, il quale a imitazione delle stampe di rame ritrovò il modo di queste, intagliandole in legname di pero o di bossolo, che in questo sono eccellenti sopra tutti gli altri legnami. Fecele dunque di tre pezzi, ponendo nella prima tutte le cose proffilate e tratteggiate, nella seconda tutto quello che è tinto a canto al proffilo con lo acquerello per ombra, e nella terza i lumi et il campo, lasciando il bianco della carta in vece di lume e tingendo il resto per campo. Questa, dove è il lume et il campo, si fa in questo modo: pigliasi una carta stampata con la prima, dove sono tutte le proffilature et i tratti, e così fresca fresca si pone in su l'asse del pero, et agravandola sopra con altri fogli che non siano umidi, si strofina in maniera che quella che è fresca lascia su l'asse la tinta di tutt'i proffili delle figure. E allora il pittore piglia la biacca a gomma e dà in sul pero i lumi, i quali dati, lo intagliatore gli incava tutti co' ferri secondo che sono segnati. E questa è la stampa che primieramente si adopera, perché ella fa i lumi et il campo quando ella è imbrat[t]ata di colore ad olio, e per mez[z]o della tinta lascia per tutto il colore, salvo che dove ella è incavata, ché ivi resta la carta bianca. La seconda poi è quella delle ombre, che è tutta piana e tutta tinta di acquerello, eccetto che dove le ombre non hanno ad essere, ché quivi è incavato il legno. E la terza, che è la prima a formarsi, è quella dove il proffilato del tutto è incavato per tutto, salvo che dove e' non ha i proffili tócchi dal nero della penna. Queste si stampano al torculo e vi si rimettono sotto tre volte, cioè una volta per ciascuna stampa, sì che elle abbino il medesimo riscontro. E certamente che ciò fu bel[l]issima invenzione. Tutte queste professioni et arti ingegnose si vede che derivano dal disegno, il quale è capo necessario di tutte, e non l'avendo, non si ha nulla. Perché, se bene tutti i segreti et i modi sono buoni, quello è ottimo per lo quale ogni cosa perduta si ritrova, et ogni difficil cosa per esso diventa facile; come si potrà vedere nel leggere le Vite degl'artefici, i quali dalla natura e dallo studio aiutati hanno fatto cose sopraumane per il mez[z]o solo del disegno. E così faccendo qui fine alla Introduzzione delle tre arti, troppo più lungamente forse trattate che nel principio non mi pensai, me ne passo a scrivere le Vite. Eccellenti e carissimi artefici miei. Egli è stato sempre tanta la delettazione, con l'utile e con l'onore insieme, che io ho cavato ne l'esercitarmi così come ho saputo in questa nobilissima arte, che non solamente ho avuto un desiderio ardente d'esaltarla e celebrarla et in tutti i modi a me possibili onorarla, ma ancora sono stato affezzionatissimo a tutti quelli che di lei hanno preso il medesimo piacere e l'han saputa, con maggior felicità che forse non ho potuto io, esercitare. E di questo mio buono animo e pieno di sincerissima affezzione mi pare anche fino a qui averne còlto frutti corrispondenti, essendo stato da tutti voi amato et onorato sempre, et essendosi con incredibile non so s'io dico domestichezza o fratellanza conversato fra noi, avendo scambievolmente io a voi le cose mie e voi a me mostrate le vostre, giovando l'uno a l'altro ove l'occasioni si sono pòrte e di consiglio e d'aiuto. Onde, e per questa amorevolezza e molto più per la eccellente virtù vostra e non meno ancora per questa mia inclinazione per natura e per elezzione potentissima, m'è parso sempre essere obligatissimo a giovarvi e servirvi in tutti quei modi et in tutte quelle cose che io ho giudicato potervi arrecare o diletto o commodo. A questo fine mandai fuora, l'anno 1550, le Vite de' nostri migliori e più famosi, mosso da una occasione in altro luogo accennata et ancora, per dire il vero, da un generoso sdegno che tanta virtù fusse stata per tanto tempo et ancora restassi sepolta. Questa mia fatica non pare che sia stata punto ingrata, anzi in tanto accetta, che, oltre a quello che da molte parti me n'è venuto detto e scritto, d'un grandissimo numero che allora se ne stampò non se ne trova ai librai pure un volume. Onde, udendo io ogni giorno le richieste di molti amici e conoscendo non meno i taciti desiderii di molti altri, mi sono di nuovo (ancorché nel mez[z]o d'importantissime imprese) rimesso alla medesima fatica, con disegno non solo d'aggiugnere questi che, essendo da quel tempo in qua passati a miglior vita, mi dànno occasione di scrivere largamente la vita loro, ma di sopplire ancora quel che in quella prima opera fussi mancato di perfezzione, avendo avuto spazio poi d'intendere molte cose meglio e rivederne molte altre, non solo con il favore di questi illustri[ssi]mi miei Signori - i quali servo - che sono il vero refugio e protezzione di tutte le virtù, ma con la comodità ancora che m'hanno data di ricercar di nuovo tutta l'Italia e vedere et intendere molte cose che prima non m'erano venute a notizia. Onde non tanto ho potuto correggere quanto accrescere ancora tante cose che molte Vite si possono dire essere quasi rifatte di nuovo, come alcuna veramente delli antichi pure, che non ci era, si è di nuovo aggiunta. Né m'è parso fatica, con spesa e disagio grande, per maggiormente rinfrescare la memoria di quelli che io tanto onoro, di ritrovare i ritratti e mettergli inanzi alle Vite loro. E per più contento di molti amici fuor dell'arte ma a l'arte affezzionatissimi, ho ridotto in un compendio la maggior parte dell'opere di quelli che ancor son vivi e degni d'esser sempre per le loro virtù nominati, perché quel rispetto che altra volta mi ritenne, a chi ben pensa, non ci ha luogo, non mi si proponendo se non cose eccellenti e degne di lode; e potrà forse essere questo uno sprone che ciascun séguiti d'operare eccellentemente e d'avanzarsi sempre di bene in meglio, di sorte che chi scriverà il rimanente di questa istoria potrà farlo con più grandezza e maestà, avendo occasione di contare quelle più rare e più perfette opere che di mano in mano, dal desiderio di eternità incominciate e dallo studio di sì divini ingegni finite, vedrà per inanzi il mondo uscire delle vostre mani; et i giovani che vengono dietro studiando, incitati dalla gloria - quanto l'utile non avessi tanta forza -, s'accenderanno per aventura dall'esempio a divenire eccellenti. E perché questa opera venga del tutto perfetta né s'abbia a cercare fuora cosa alcuna, ci ho aggiunto gran parte delle opere de' più celebrati artefici antichi, così greci come d'altre nazioni, la memoria de' quali da Plinio e da altri scrittori è stata fino a' tempi nostri conservata, che senza la penna loro sarebbono, come molte altre, sepolte in sempiterna oblivione. E ci potrà forse anche questa considerazione generalmente accrescer l'animo a virtuosamente operare e, vedendo la nobiltà e grandezza dell'arte nostra e quanto sia stata sempre da tutte le nazioni e particolarmente dai più nobili ingegni e signori più potenti e pregiata e premiata, spingerci et infiammarci tutti a lasciare il mondo adorno d'opere spessissime per numero e per eccellenzia rarissime; onde, abbellito da noi, ci tenga in quel grado che egli ha tenuto quei sempre maravigliosi e celebratissimi spiriti. Accettate dunque con animo grato queste mie fatiche, e qualunque le sieno, da me amorevolmente per gloria dell'arte et onor degli artefici condotte al suo fine, e pigliatele per uno indizio e pegno certo dell'animo mio, di niuna altra cosa più desideroso che della grandezza e della gloria vostra; della quale, essendo ancor io ricevuto da voi nella compagnia vostra (di che e voi ringrazio e per mio conto me ne compiaccio non poco), mi parrà sempre in un certo modo partecipare.