GIULIANO ET ANTONIO DA SAN GALLO architetti fiorentini
L'animo et il valore in un corpo che di virtù sia capace fa di sé effetti infiniti di maraviglia, con ciò sia che tutte le persone che sono abiette o dalle corti o dai capi che far possono esperimento degli uomini valenti, sono ancora lontani da l'operar loro nella virtù, la quale è figurata per un lume in questo cieco mondo, che è quello che la fa più in infinita grandezza risplendere e di più lode degna; onde nasce che, oltra l'opere, il nome suo in infinito cresce, e lascia di sé ne' posteri suoi l'eternità del nome, e dassi animo a quegli che sono timidi che si mettono inanzi alle fatiche e all'operare. Così adunque s'abbellisce il mondo, e si dà animo ai prìncipi che di continuo faccino dell'opere, e si mostra le doti avute dal Cielo nelle virtù ai discendenti, i quali degli altrui sudori acquistano e ricevono infinita comodità. Onde per tal cagione comprenderemo il valore in questa vita e nell'arte l'animo pronto che nelle imprese difficili mostrò Giuliano di Francesco di Bartolo Giamberti architetto fiorentino, che l'origine di quella arte prese da Francesco padre suo; il quale ne' suoi tempi fu di quegli architetti che vivevano nel governo di Cosimo de' Medici, adoprato ne' suoi edifici e guiderdonato di provisione per quelli e per la musica, che di diversi stromenti sonava. Ebbe Giuliano et Antonio suoi figliuoli, i quali all'arte dello intagliare di legno mise; et essi disegnando seguitarono quella arte. Viveva al tempo di Lorenzo Vecchio de' Medici il Francione legnaiuolo, domestico suo, con chi sonetti e baie tutto il giorno facevano; et esso agli intagli di legno et alle prospettive attendeva, et insieme cose infinite d'architettura disegnò a quel magnifico cittadino. Perciò Francesco mise Giuliano sotto la custodia sua, come di spirito più acuto e d'ingegno più dèstro; il quale fece in quella arte cose degne di lode, come ne può rendere vero testimonio nel Duomo di Pisa il coro, tutto fatto di bellissimi intagli e di vaghissime prospettive, il qual ancor oggidì fra molte prospettive nuove non senza maraviglia si vede. Avvenne che in quel tempo che Giuliano attendeva al disegno et il sangue della giovanezza gli bolliva, lo esercito del duca di Calavria, per odio che quel signore teneva col magnifico Lorenzo, imperiosamente s'accampò alla Castellina per occupare il dominio alla Signoria di Fiorenza e per venire, se avessi potuto, a fine di qualche disegno maggiore. Per che, strignendo egli la Castellina, fu sforzato il magnifico Lorenzo mandarvi uno ingegnere che facesse mulini e bastìe, et inoltre avesse cura della artiglieria, allora assai poco usata a maneggiarsi. E fra infiniti che concorsero, Giuliano, come d'ingegno più atto e più dèstro e spedito, fu messo inanzi: e gli fu facile ad ottenere, avendo egli dependenza di servitù, contratta per Francesco padre di esso Giuliano con Cosimo Vecchio; per il che con auttorità conveniente al suo mistiero fu espedito a quella impresa. Arrivato Giuliano a la Castellina, provide quella di fortificazioni di dentro, alle mura et ai mulini, et altre cose necessarie a la difesa di quella. E visto gli uomini star lontano da la artiglieria, a quella si gettò; e caricandola e tirandola con destrezza grandissima, la acconciò in maniera che da indi in poi a nessuno fece male nel tirarla, avendo ella prima ucciso molte persone, le quali per poco giudizio loro non avevano saputo provedersi che, nel tornare adietro ch'ella faceva, sempre qualche uno non vi capitasse male. E tanta fu la prudenzia di Giuliano nel tirare, che il campo del Duca impaurì di maniera, che per questo et altri impedimenti ebbe caro lo accordarsi e di quindi partirsi. Fu dato lode dallo universale in Fiorenza a Giuliano, e dal magnifico Lorenzo fu di continuo benveduto. Or costui vòltosi alle fabriche, fece il chiostro di Cestello di componimento ionico, il quale rimase imperfetto per le spese de' frati. Et intanto venne in maggior considerazione a Lorenzo lo spirito di Giuliano; et avendo egli volontà di fabricare al Poggio a Caiano, luogo tra Fiorenza e Pistoia, avendone al Francione fatto più volte fare insieme con altri architetti modelli e disegni, pensò che Giuliano ancora facesse il medesimo: il che egli fece volentieri, e lo trasse tanto de la forma solita e consueta, che Lorenzo cominciò subitamente a farlo mettere in opera come il migliore di tutti; et accresciutoli grado per questo, gli dette poi sempre provisione. Avvenne che egli voleva fare una volta alla sala grande di detto palazzo che noi chiamiamo a botte, e non credeva Lorenzo che per la distanzia si potesse girare; onde Giuliano, che fabricava in Fiorenza una sua casa, voltò la sala sua a similitudine di quella per far capace la volontà del magnifico Lorenzo: per che egli quella del Poggio felicemente fece condurre. Onde la fama sua talmente era cresciuta, che a' preghi del duca di Calavria fece il modello d'un palazzo, che con commissione del magnifico Lorenzo doveva servire a Napoli, e consumò gran tempo a condurlo. Mentre adunque lo lavorava, accad[d]e che il castellano di Ostia, vescovo allora della Rovere, il quale fu poi col tempo papa Giulio II volendo acconciare e mettere in buono ordine quella fortezza, udita la fama di Giuliano, mandò per lui a Fiorenza, et ordinatoli buona provisione, ve lo tenne due anni a farvi tutti quegli utili e comodità che e' poteva con l'arte sua. E perché il modello del duca di Calavria non patisse e finir si dovesse, ad Antonio suo fratello lasciò che con suo ordine lo finisse; il quale nel lavorarlo aveva con diligenza seguitato e finito ancora, essendo Antonio di sofficienza in tale arte non meno che Giuliano venuto al segno. Per il che fu consigliato Giuliano da Lorenzo Vecchio a presentarlo egli stesso, acciò che in tal modello potesse mostrare le difficultà che in esso aveva fatto. Laonde partì per Napoli, e presentato l'opera, onoratamente fu ricevuto non con meno stupore de lo averlo il magnifico Lorenzo mandato con tanto garbata maniera, quanto con maraviglia a mirare il magisterio de l'opera nel modello; la quale opra piacque sì, che si diede con celerità principio a essa vicino al Castel Nuovo. Poi che Giuliano fu stato a Napoli un pezzo, nel chiedere licenza al Duca per tornare a Fiorenza, gli fu fatto dal re presenti di cavalli e vesti, e fra l'altre una tazza d'argento con alcune centinaia di ducati, i quali Giuliano non volle accettare, dicendo che stava con padrone il quale non aveva bisogno d'oro né d'argento: e se pure gli voleva far presente o alcun segno di guiderdone, per mostrare che vi fosse stato gli donasse alcuna de le sue anticaglie a sua elezzione; le quali il re liberalissimamente per amor del magnifico Lorenzo e per le virtù di Giuliano gli concesse: e queste furono la testa d'uno Adriano imperatore, oggi sopra la porta del giardino in casa Medici, una femmina ignuda più che ‘l naturale, et un Cupido che dorme, di marmo tutti tondi. Le quali Giuliano mandò a presentare al magnifico Lorenzo, che per ciò ne mostrò infinita allegrezza, non restando mai di lodar l'atto del liberalissimo artefice, il quale rifiutò l'oro e l'argento per l'artificio, cosa che pochi averebbono fatto. Ritornò Giuliano a Fiorenza e fu gratissimamente raccolto dal magnifico Lorenzo, al quale venne capriccio, per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo, de l'Ordine de' Frati Eremitani di Santo Agostino, di edificargli fuor de la Porta S. Gallo un convento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, et in ultimo si mise in opera quello di Giuliano: il che fu cagione che Lorenzo lo nominò da questa opera Giuliano da S. Gallo. Onde Giuliano, che da ognuno si sentiva chiamare da San Gallo, disse un giorno burlando al magnifico Lorenzo: "Colpa del vostro chiamarmi da San Gallo, mi fate perdere il nome del casato antico, e credendo avere andare inanzi per antichità, ritorno adietro". Per che Lorenzo gli rispose che più tosto voleva che per la sua virtù egli fosse principio d'un casato nuovo, che dependessi da altri: onde Giuliano di tal cosa fu contento. Venne che seguitando l'opera di San Gallo insieme con le altre fabbriche di Lorenzo, non fu finita né quella né l'altre, intervenendo la morte di esso Lorenzo: è poi ancora poco viva in piede rimase tal fabrica, ché nel MDXXX per lo assedio di Fiorenza fu rovinata e buttata in terra insieme col borgo, che di fabbriche molto belle aveva piena tutta la piazza; et al presente alcun vestigio non vi si vede né di casa né di chiesa né di convento. Successe in quel tempo la morte del re di Napoli, e Giuliano Gondi, ricchissimo mercante fiorentino, se ne tornò a Fiorenza; e dirimpetto a S. Firenze, di sopra dove stanno i lioni, di componimento rustico fece fabricare un palazzo da Giuliano, col quale per la gita di Napoli aveva stretta dimestichezza. Questo palazzo doveva fare la cantonata finita e voltare verso la Mercatantia Vecchia: ma la morte di Giuliano Gondi la fece fermare. Fece per un viniziano, fuor de la Porta a Pinti in Camerata, un palazzo, et ancora a' privati cittadini molte case, delle quali non accade far menzione. Avvenne che al magnifico Lorenzo, tirato da l'utilità del publico e da l'ornamento del secolo, per lasciar fama e memoria oltre alle infinite che procacciate si aveva, venne il bel pensiero di fare la fortificazione del Poggio Imperiale sopra Poggibonzi su la strada di Roma per farci una città, la quale non volse disegnare senza il consiglio e disegno di Giuliano; e per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato ordine di fortificazione e di bellezza che oggi veggiamo. Le quali opere gli diedero tal fama, che dal duca di Milano, a ciò che gli facesse il modello d'un palazzo per lui, fu per il mezzo poi di Lorenzo condotto a Milano, dove non meno fu onorato Giuliano dal duca che e' si fusse stato onorato prima dal re quando lo fece chiamare a Napoli. Per che presentando egli il modello per parte del magnifico Lorenzo, riempié quel Duca di stupore e di maraviglia nel vedere in esso l'ordine e la distribuzione di tanti begli ornamenti, e con arte tutti e con leggiadria accomodati ne' luoghi loro: il che fu cagione che, procacciate tutte le cose a ciò necessarie, si cominciasse a metterlo in opera. Fu trovato da Giuliano Lionardo da Vinci che lavorava col Duca, e parlarono del getto che far voleva del suo cavallo, disputando de la impossibilità: di che n'ebbe bonissimi documenti; la quale opra fu messa in pezzi per la venuta de' Francesi, e così il cavallo non si finì, né ancora si poté finire il palazzo. Ritornò a Fiorenza, dove trovò che Antonio suo fratello, che gli serviva ne' modegli, era divenuto cotanto egregio che nel suo tempo non c'era chi lavorasse et intagliasse meglio di esso, e massimamente Crocifissi di legno grandi, come ne fa fede quello sopra lo altar maggiore nella Nunziata di Fiorenza, et uno che tengono i frati di San Gallo in San Iacopo tra ‘ Fossi, e uno altro nella Compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti bonissimi. Ma egli lo levò da tale essercizio et alla architettura in compagnia sua lo fece attendere, avendo egli per il privato e publico a fare molte faccende. Avvenne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtù levò gli appoggi delle speranze a' virtuosi con la morte di Lorenzo de' Medici, la quale non solo fu cagione di danno agli artefici virtuosi et alla patria sua, ma a tutta l'Italia ancora, e perciò di tal perdita fino il cielo ne fe' segno. Rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi smarriti sconsolatissimo; e per lo dolore si trasferì a Prato vicino a Fiorenza a fare il tempio della Nostra Donna della Carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche publiche e private. Dimorò dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e ‘l dolore quanto poteva il meglio. Avvenne che a Santa Maria di Loreto era la chiesa scoperta; et avendosi a voltare la cupola, cominciata già e non finita da Giuliano da Maiano, stavano in dubbio che la debolezza de' pilastri non reggesse tal peso. Per il che scrissero a Giuliano che, se voleva tale opera, la andasse a vedere; et egli, come animoso e valente, mostrò con facilità quella poter voltarsi, e che a ciò gli bastava l'animo; e tante e tali ragioni allegò loro che l'opera gli fu allogata. Dopo la quale allogazione fece espedire l'opera di Prato, e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perché tale opra avesse fermezza nelle pietre e saldezza e forma e stabilità, e facesse legazione, mandò a Roma per la pozzolana, né calce fu che con essa non fosse temperata, e murata ogni pietra: così in termine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta. Andò poi a Roma, dove a papa Alessandro VI restaurò il tetto di Santa Maria Maggiore che ruinava, e vi fece quel palco ch'al presente si vede, che dallo ingegno e valor di Giuliano fu condotto. Così nel praticare per la corte il vescovo della Rovere, fatto cardinale di San Pietro in Vincola, già amico di Giuliano fin quando era castellano d'Ostia, gli fece fare il modello del palazzo di San Pietro in Vincola; e poco dopo questo volle edificare a Savona sua patria un palazzo, pur col disegno e con la presenzia di Giuliano; la quale andata gli era difficile, perciò che il palco non era ancor finito, e papa Alessandro non voleva ch'e' partisse. Per il che lo fece finire per Antonio suo fratello, il quale, per avere ingegno buono e versatile, nel praticare la corte contrasse servitù col Papa, che gli mise grandissimo amore, e gnene mostrò nel volere fondare e rifondare con le difese a uso di castello la Mole di Adriano, oggi detta Castello Santo Agnolo; alla quale impresa fu preposto Antonio. Così si fecero i torrioni da basso, i fossi e l'altre fortificazioni ch'al presente veggiamo. La quale opera gli diè credito grande appresso il Papa, e ‘l medesimo col duca Valentino suo figliuolo, e fu cagione ch'egli facesse la rocca che si vede oggi a Civita Castellana. E così mentre quel pontefice visse, egli di continuo attese a fabbricare; e per esso lavorando fu non meno premiato che stimato da lui. Già aveva Giuliano a Savona condotto l'opera innanzi, e il cardinale per alcuno suoi bisogni ritornò a Roma, e lasciò molti operari ch'alla fabbrica dessero perfezzione con l'ordine e col disegno di Giuliano, il quale ne menò seco a Roma, et egli fece volentieri questo viaggio per rivedere Antonio e l'opere d'esso: dove dimorò alcuni mesi. Accadde allora che il cardinale venne in disgrazia del Papa e si partì da Roma per non esser fatto prigione, e Giuliano gli tenne sempre compagnia. Arrivati dunque a Savona, crebbero maggior numero di maestri da murare et altri artefici in su il lavoro. Ma facendosi ognora più vivi i romori del Papa contra il cardinale, non stette molto ch'e' se n'andò in Avignone, e d'un modello che Giuliano aveva fatto d'un palazzo per lui fece fare un dono al re; il quale modello era maraviglioso, di bellissimi ordini, e corrispondente di ornamento con variati garbi, capace per lo allog[g]iamento di tutta la sua corte. Era la corte reale in Lione quando Giuliano presentò il modello, il quale fu tanto caro et accetto al re che largamente lo premiò e gli diede lode infinite, e ne rese molte grazie al cardinale ch'era in Avignone. Ebbero intanto nuove che il palazzo di Savona era già presso alla fine; per il che il cardinale deliberò che Giuliano rivedesse tale opera: e così andò Giuliano a Savona, e poco vi dimorò che fu finito afatto. Laonde Giuliano desiderando tornare a Fiorenza, dove per lungo tempo non era stato, con que' maestri prese il cammino. Aveva in quel tempo il re di Francia rimesso Pisa in libertà, e durava ancora la guerra tra Fiorentini e Pisani; per il che volendo Giuliano passare, giunto in Lucca si fecero fare salvocondotto, avendo eglino de' soldati pisani non poco sospetto. Onde nel lor passare vicino ad Altopascio furono da' Pisani fatti prigioni, non curando essi salvocondotto né cosa che avessero; e per sei mesi fu ritenuto in Pisa con taglia di trecento ducati, onde pagati quelli se ne tornò a Fiorenza. Aveva Antonio a Roma inteso queste cose, et avendo desiderio di rivedere la patria e ‘l fratello, con licenzia partì da Roma: e nel suo passaggio disegnò al duca Valentino la rocca di Montefiascone. Così a Fiorenza si ricondusse l'anno MDIII, e quivi con allegrezza di loro e degli amici si goderono. Seguì allora la morte di Alessandro VI e la successione di Pio III, che poco visse; e fu creato pontefice il cardinale di San Pietro in Vincola, chiamato papa Giulio II: la qual cosa fu di grande allegrezza a Giuliano per la lunga servitù che aveva seco. Onde deliberò andare a baciargli il piede; per che giunto a Roma, fu lietamente veduto e con carezze raccolto, e sùbito fu fatto esecutore delle sue prime fabbriche inanzi la venuta di Bramante. Antonio, ch'era rimasto a Fiorenza, sendo gonfaloniere Pier Soderini, non ci essendo Giuliano continuò la fabbrica del Poggio Imperiale, e quivi erano mandati a lavorare tutti i prigioni pisani per finire più tosto tal fabbrica. Fu poi per i casi d'Arezzo ruinata la fortezza, et Antonio fece il modello con consenso di Giuliano, il quale da Roma per ciò partì, e sùbito vi tornò. Fu questa opera cagione che Antonio fosse fatto architetto del comune di Fiorenza sopra tutte le fortificazioni. Nel ritorno di Giuliano in Roma si praticava che ‘l divino Michele Agnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio; per che Giuliano confortò il Papa alla impresa, e che per tale edifizio si fabricasse una cappella aposta, e non pôr quella nel vecchio San Pietro, non ci essendo luogo: la quale cappella renderebbe quella opera più perfetta e con maestà. Laonde molti architetti fecero i disegni, di maniera che venuti in considerazione aùppoco aùppoco, da una cappella si misero alla fabbrica del nuovo San Pietro. Era capitato a Roma Bramante da Urbino architetto, che tornava di Lombardia, e con mez[z]i straordinarî e con l'opera sua, insieme con Baldassar Perucci e Raffael da Urbino et altri architetti, mise tale opera in confusione, di maniera che molto tempo si consumò ne' ragionamenti; finalmente l'opera fu data a Bramante Onde talmente si sdegnò Giuliano, per la servitù che aveva col Papa in minor grado, avendogli promesso tal fabbrica, che domandò licenza, ancora che dar gliele volesse in compagnia di Bramante: e così con molti doni del Papa se ne tornò a Fiorenza. Né fu ciò meno caro a Pier Soderini, il quale sùbito lo mise in opera. Non passarono sei mesi, che il Papa gli fece scrivere da messer Bartolomeo della Rovere, nipote del Papa e compare e domestico a Giuliano, che a Roma per util suo dovesse ritornare: ma né per patti né per promesse si poteva svolgere Giuliano, parendogli essere stato schernito dal Papa. Talché ne fu scritto a Pier Soderini che lo inviasse a Roma, perché Sua Santità voleva finire l'impresa di papa Nicola V, cioè la fortificazione del torrion tondo cominciata da lui, e così di Borgo e Belvedere, e San Pietro voleva fare ricignere di mura forte. E perché era molto onorata impresa, si lasciò Giuliano persuadere da Pietro a la andata. Giunto a Roma, fu dal Papa ben raccolto, et ebbe molti doni. Aveva in animo il Papa di cacciare i Franzesi d'Italia; e venuto a la impresa di Bologna, menò seco Giuliano: e cacciatine i Bentivogli, per consiglio di Giuliano deliberò di far fare da Michele Agnolo Buonarroti un papa di bronzo. Così Giuliano scrisse a Michele Agnolo per parte del Papa; il quale venne e fabricollo, e fu posto nella facciata di S. Petronio. Partì Giuliano col Papa a la Mirandola, e quella presero; e Giuliano con fastidio e disagio ritornò a Roma con la corte. Non era ancora la rabbia di cacciare i Franzesi uscita di testa al Papa, per che di nuovo tentava levare il governo di Fiorenza a Pier Soderini, essendogli ciò di grave impedimento e di noia allo animo suo. Onde deviato il Papa dal primo ordine di fabbricare e nelle guerre intricato, Giuliano, già stanco, deliberò domandare licenzia al Papa, veggendo che solo alla fabbrica di San Piero s'attendeva, et anco quella caminava pian piano. Il Papa ciò udendo gli rispose in collera: "Credi tu che non si trovino de' Giuliani da S. Gallo?" Et egli: non mai di fede né di servitù pari alla sua, ma ch'egli ritroverebbe ben dei prìncipi più d'integrità nelle promesse che il Papa. Così non gli volse dar licenzia, anzi gli disse che altra volta gliene parlasse. Aveva allora condotto Bramante da Urbino Raffaello, che dipigneva le camere papali, le quali piacevano molto al Papa: per il che seguitando la cappella di Sisto suo zio, volentieri arebbe fatto dipignere la volta di quella; e però sapendo Giuliano che Michelagnolo aveva finito a Bologna il papa di bronzo, ne parlò a Sua Santità e la consigliò a chiamarlo a Roma et a dargli questo lavoro. Il che volentieri fece papa Giulio, e così la volta della cappella fu allogata a Michele Agnolo. Poco dopo questo, ricercò Giuliano la licenzia per ritornarsi a Fiorenza, e il Papa, vedendolo in ciò deliberato, con buona grazia sua lo benedisse et in una borsa di raso rosso gli donò 500 scudi, dicendogli ch'e' andasse a riposarsi a casa, che in ogni suo evento gli sarebbe amorevole. Così Giuliano, baciatogli il piede, se ne tornò a Fiorenza. Era nel suo ritorno circundata Pisa dall'esercito fiorentino et assediata; per il che Pier Soderini, dopo le accoglienze fatte a Giuliano, lo mandò in campo ai commessarii, i quali non potevano riparare che i Pisani non mettessero per Arno vettovaglie in Pisa. Onde consigliarono che si dovesse fare un ponte su le barche, acciò fossero impediti i navili che non potessero passar[e]. Ritornato Giuliano a Fiorenza, conclusero che a primavera ciò si facesse. In questo mez[z]o, fatte le debite provisioni, andò nel tempo statuito Giuliano a Pisa, e menò seco Antonio suo fratello; e così fabbricando insieme, condussero un ponte, cosa molto ingegnosa e bella per potersi quello difendere de le piene delle acque e da altri impedimenti; e lo incatenarono di maniera, che oltra che fece lo effetto che volsero, mostrò ancora il valore della solita virtù di Giuliano. Laonde stretto più forte l'assedio a' Pisani per cagione del sopra detto ponte, eglino veggendo non esser rimedio al mal loro, fecero l'accordo co' Fiorentini, et a quei si resero. Né molto vi andò che Pier Soderini vi mandò di nuovo Giuliano, il quale con infinito numero di maestri e con celerità straordinaria vi fabbricò la fortezza che oggi alla Porta San Marco si vede, e la porta di componimento dorico: la quale opra durò fino all'anno MDXII. Mentre che Giuliano serviva a questo lavoro, Antonio faceva continuare per il dominio tutte le altre fabbriche publiche. Avvenne allora che il favore che diede papa Giulio alla casa de' Medici per farla ritornare in Fiorenza, onde era stata cacciata da' Franzesi, fu mez[z]o a cacciare loro d'Italia. Fu adunque per questo effetto con l'armi del Papa cavato di palazzo Piero Soderini e rimessa nello antico stato e governo la casa de' Medici; la quale rientrata in Fiorenza, fu riconosciuta la servitù di Giuliano et Antonio col magnifico Lorenzo de' Medici da Giovanni cardinale suo figliuolo, il quale non molto lungi andò che, seguita la morte di Giulio II, fu creato pontefice: e così convenne a Giuliano trasferirsi di nuovo a Roma. Avvenne che poco stette a morire Bramante; per il che volsero dare a Giuliano la cura di quella fabbrica, che fu poi data al grazioso Rafaello da Urbino. Ma Giuliano, màcero delle fatiche et abbattuto dalla vecchiezza e da un male di pietra che lo cruciava, con licenzia di Sua Santità se ne tornò a Fiorenza. E fra lo spazio di due anni, non potendo reggere a tale infermità, da quella aggravato, d'anni LXXIIII si morì, l'anno MDXVII, lasciando il nome al mondo, il corpo alla terra e l'anima a Dio. Lasciò nella sua partita dolentissimo Antonio, che teneramente lo amava, et un suo figliuolo nominato Francesco che attendeva alla scultura, et era di tenera età quando morì suo padre. Si riposorono adunque le sue fabbriche un pezzo; et in questo mez[z]o Antonio, che malvolentieri si stava senza lavorare, fece due Crocifissi grandi di legno, l'uno dei quali fu mandato in Ispagna, e l'altro, per via di Domenico Boninsegni, per il cardinale Giulio de' Medici vicecancelliere fu portato in Francia. Avvenne che la casa de' Medici deliberò di fare la fortezza di Livorno; per il che dal cardinale de' Medici vi fu mandato Antonio per fare il disegno, ancora che poi non si mettesse interamente in opera in quel modo che Antonio lo aveva disegnato. In quel medesimo tempo gli uomini di Monte Pulciano, per miracoli fatti da una imagine di Nostra Donna, deliberarono di fare un tempio di grandissima spesa, del quale Antonio fece il modello e ne divenne capo. Per il che seguendo, due volte l'anno visitava tal fabbrica, la quale oggi si vede condotta a l'ultima perfezzione, che nel vero di bellissimo componimento e vario dall'ingegno d'Antonio si vede essere finita con somma grazia, e tutte le pietre sono di certi sassi che tirano al bianco in modo di tivertini; la quale opra è fuor della Porta di San Biagio a la banda a man destra, a mezzo la salita del poggio. In questo tempo diede principio ancora al palazzo d'Antonio di Monte, cardinale di Santa Prassedia, nel castello del Monte Sansavino; e un altro per il medesimo ne fece a Monte Pulciano, la quale opra è di bonissima grazia lavorata e finita. Fece l'ordine della banda delle case de' Frati de' Servi su la piazza loro, secondo l'ordine della loggia degli Innocenti. Et in Arezzo fe' modelli de le navate della Nostra Donna delle Lagrime; similmente fece un modello della Madonna di Cortona, il quale non penso che si mettesse in opera. Fu adoprato nello assedio per le fortificazione e bastioni dentro alla città, et ebbe a cotale impresa per compagnia Francesco suo nipote. Avvenne che essendo stato messo in opera il Gigante di piazza di mano di Michelagnolo, al tempo di Giuliano fratello di esso Antonio, e dovendovisi condurre quel[l']altro che aveva fatto Baccio Bandinelli, fu data la cura ad Antonio di condurvelo a salvamento; et egli, tolto in sua compagnia Baccio d'Agnolo, con ingegni molto gagliardi e lo condusse e lo posò salvo in su quella base che a questo effetto si era ordinata. Ora essendo egli già vecchio divenuto, non si dilettava d'altro che dell'agricoltura, nella quale era intelligentissimo. Laonde, quando più non poteva per la vecchiaia patire gli incomodi del mondo, l'anno MDXXXIIII rese l'anima a Dio, et insieme con Giuliano suo fratello nella chiesa di Santa Maria Novella, nella sepoltura de' Giamberti, gli fu dato riposo. Le opere maravigliose di questi duoi fratelli faranno fede al mondo dello ingegno mirabile ch'essi avevano, e la vita e i costumi onorati delle azzioni loro, avute in pregio da tutto il mondo. Lasciarono Giuliano et Antonio ereditaria l'arte dell'architettura dei modi dell'architetture toscane con miglior forma che Pippo e gli altri fatto non avevano, e l'ordine dorico con miglior' misure e proporzione che alla vitruviana opinione e regola prima non s'era usato di fare. Condussero in Fiorenza nelle lor case una infinità di cose antiche di marmo bellissime, che non meno onorano et ornano Fiorenza ch'eglino ornassero sé et onorassero l'arte. Portò Giuliano da Roma il gettare le volte di materia che venissero intagliate, come in casa sua ne fa fede una camera, et al Poggio a Caiano nella sala grande la volta che si vede ora. Onde obligo si debbe avere alle fatiche sue, avendo fortificato il dominio fiorentino et ornata la città, e per tanti paesi dove lavorarono dato nome a Fiorenza et agli ingegni toscani, che per onorata memoria hanno fatto loro questi versi: CEDITE ROMANI STRUCTORES, CEDITE GRAII, ARTIS VITRUVI TU QUOQUE CEDE PARENS. HETRUSCOS CELEBRATE VIROS. TESTUDINIS ARCUS, URNA, THOLUS, STATUAE, TEMPLA DOMUSQUE PETUNT.