SANDRO BOTTICELLO pittor fiorentino
Sforzasi la natura a molti dare la virtù, et in contrario gli mette la trascurataggine per rovescio, perché non pensando al fine della vita loro, ornano spesso lo spedale della lor morte come con l'opre in vita onorarono il mondo. Questi nel colmo delle felicità loro sono dei beni della fortuna troppo carichi, e ne' bisogni ne son tanto digiuni, che gli aiuti umani da la bestialità del lor poco governo talmente si fuggono che col fine della morte loro vituperano tutto l'onore e la gloria della propria vita. Onde non sarebbe poca prudenzia ad ogni virtuoso, e particularmente agli artefici nostri, quando la sorte gli concede i beni della fortuna salvarne per la vecchiezza e per gli incomodi una parte, acciò il bisogno che ognora nasce non lo percuota, come stranamente percosse Sandro Botticello, che così si chiamò ordinariamente per la cagione che appresso vedremo. Costui fu figliuolo di Mariano Filipepi cittadino fiorentino, dal quale diligentemente allevato e fatto instruire in tutte quelle cose che usanza è di insegnarsi a' fanciulli in quella città prima che e' si ponghino a le botteghe, ancora che agevolmente apprendesse tutto quello che e' voleva, era nientedimanco inquieto sempre, né si contentava di scuola alcuna, di leggere, di scrivere o di abbaco; di maniera che il padre, infastidito di questo cervello sì stravagante, per disperato lo pose a lo orefice con un suo compare chiamato Botticello, assai competente maestro allora in quella arte. Era in quella età una dimestichezza grandissima e quasiché una continova pratica tra gli orefici et i pittori; per la quale Sandro, che era desta persona e si era vòlto tutto al disegno, invaghitosi della pittura si dispose volgersi a quella. Per il che aprendo liberamente l'animo suo al padre, da lui, che conobbe la inchinazione di quel cervello, fu condotto a fra' Filippo del Carmine, eccellentissimo pittore allora, et acconciato seco a imparare come Sandro stesso desiderava. Datosi dunque tutto a quella arte, seguitò et imitò sì fattamente il maestro suo che fra' Filippo gli pose amore, et insegnolli di maniera che e' pervenne tosto ad un grado che nessuno lo arebbe stimato. Dipinse essendo giovanetto nella Mercatantia di Fiorenza una Fortezza fra le tavole delle Virtù che Antonio e Piero del Pollaiuolo lavorarono. In S. Spirito di Fiorenza fece una tavola alla cappella de' Bardi, la quale è con diligenza lavorata et a buon fin condotta, dove sono alcune olive e palme lavorate con sommo amore. Lavorò nelle Convertite una tavola a quelle monache, et a quelle di San Barnaba similmente un'altra. In Ognisanti dipinse a fresco nel tramezzo, alla porta che va in coro, per i Vespucci un Santo Agostino, nel quale cercando egli allora di passare tutti coloro ch'al suo tempo dipinsero, molto s'affaticò; la quale opera riuscì lodatissima per avere egli dimostrato nella testa di quel Santo quella profonda cogitazione et acutissima sottigliezza che suole essere nelle persone sensate et astratte continovamente nella investigazione di cose altissime e molto difficili. Per il che venuto in credito et in riputazione, dall'Arte di Porta Santa Maria gli fu fatto fare in San Marco una incoronazione di Nostra Donna in una tavola et un coro d'Angeli, la quale fu molto ben disegnata e condotta da lui. In casa Medici a Lorenzo Vecchio lavorò molte cose, e massimamente una Pallade su una impresa di bronconi che buttavano fuoco, la quale dipinse grande quanto il vivo; et ancora un S. Sebastiano in Santa Maria Maggior di Fiorenza. Per la città in diverse case fece tondi di sua mano, e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora a Castello, luogo del duca Cosimo [fuor] di Fiorenza, sono due quadri figurati l'uno Venere che nasce, e quelle aure e venti che la fanno venire in terra con gli Amori, e così un'altra Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera, le quali da lui con grazia si veggono espresse. Nella via de' Servi in casa Giovanni Vespucci - oggi di Piero Salviati - fece intorno una camera molti quadri, chiusi da ornamenti di noce per ricignimento e spalliera, con molte figure e vivissime e belle. Ne' Monaci di Cestello a una cappella fece una tavola d'una Annunziata. In San Pietro Maggiore, alla porta del fianco fece una tavola per Matteo Palmieri con infinito numero di figure: la assunzione di Nostra Donna con le zone de' cieli come son figurate, i Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, gli Evangelisti, i Martiri, i Confessori, i Dottori, le Vergini e le Gerarchie, disegno datogli da Matteo ch'era litterato; la quale opra egli con maestria e finitissima diligenza dipinse. Èvvi ritratto appiè Matteo inginocchioni e la sua moglie ancora. Ma con tutto che questa opera sia bellissima e che ella dovesse vincere la invidia, furono però alcuni malivoli e detrattori che, non potendo dannarla in altro, dissero che e Matteo e Sandro gravemente vi avevano peccato in eresia; il che, se è vero o non vero, non se ne aspetta il giudizio a me: basta che le figure che Sandro vi fece veramente sono da lodare per la fatica che e' durò nel girare i cerchî de' cieli, e tramezzare tra figure e figure d'Angeli e scorci e vedute in diversi modi diversamente, e tutto condotto con buono disegno. Fu allogato a Sandro in questo tempo una tavoletta piccola di figure di tre quarti di braccio l'una, la quale fu posta in Santa Maria Novella fra le due porte nella facciata principale della chiesa nello entrare per la porta del mezzo a sinistra; et èvvi dentro la adorazione de' Magi, dove si vede tanto affetto nel primo vecchio, che baciando il piede al Nostro Signore e struggendosi di tenerezza benissimo dimostra avere conseguito la fine del lunghissimo suo viaggio; e la figura di questo re è il proprio ritratto di Cosimo Vecchio de' Medici, di quanti a' dì nostri se ne ritruovano il più vivo e più naturale. Il secondo, che è Giuliano de' Medici padre di papa Clemente VII, si vede che intentissimo con l'animo divotamente rende reverenzia a quel Putto e gli assegna il presento suo. Il terzo, inginocchiato egli ancora, pare che adorandolo gli renda grazie e lo confessi il vero Messia. Né si può descrivere la bellezza che Sandro mostrò nelle teste che vi si veggono, le quali con diverse attitudini son girate, quale in faccia, quale in proffilo, quale in mezzo occhio e qual chinata, et in più altre maniere, e diversità d'arie di giovani, di vecchi, con tutte quelle stravaganzie che possono far conoscere la perfezzione del suo magisterio, avendo egli distinto le corti d'i tre re di maniera che e' si comprende quali siano i servidori dell'uno e quali dell'altro: opera certo mirabilissima, e per colorito, per disegno e per componimento ridotta sì bella che ogni artefice ne resta oggi maravigliato. Et allora gli arrecò in Fiorenza e fuori tanta fama che papa Sisto IIII, avendo fatto fabbricare la cappella in palazzo di Roma e volendola dipignere, ordinò ch'egli ne divenisse capo; onde in quella fece di sua mano le infrascritte storie, cioè quando Cristo è tentato dal Diavolo, quando Mosè amazza lo Egizzio e che riceve bere da le figlie di Ietro Madianite, similmente quando, sacrificando i figliuoli di Aaron, venne fuoco da cielo, et alcuni Santi Papi nelle nicchie di sopra alle storie. Laonde acquistato fra ‘ molti concorrenti che seco lavorarono, e fiorentini e di altre città, fama e nome maggiore, ebbe dal Papa buona somma di danari; i quali ad un tempo destrutti e consumati tutti nella stanza di Roma per vivere a caso come era il solito suo, e finita insieme quella parte che e' gli era stata allogata e scopertala, se ne tornò subitamente a Fiorenza. Dove per essere persona sofistica comentò una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa, dietro al quale consumò dimolto tempo; per il che non lavorando, fu cagione di infiniti disordini alla vita sua. Mise in stampa ancora il Trionfo della Fede di fra' Girolamo Savonarola da Ferrara, e fu molto partigiano a quella setta; il che fu causa che, abbandonando il dipignere e non avendo entrate da vivere, precipitò in disordine grandissimo. Per che, ostinato alla setta di quella parte, faccendo continuamente il piagnone e deviandosi dal lavoro, invecchiando e dimenticando si condusse in molto malessere. Aveva lavorato molte cose in quel di Volterra e molte a Lorenzo Vecchio d'i Medici, il quale mentre visse sempre lo sovvenne. E in San Francesco fuor della Porta San Miniato, un tondo con una Madonna con Angeli grandi quanto il vivo, il quale fu tenuto cosa bellissima. Dicesi che Sandro era persona molto piacevole e faceta, e sempre baie e piacevolezze si facevano in bottega sua, dove continovamente tenne a imparare infiniti giovani, i quali molte giostre et uccellamenti usavano farsi l'un l'altro; e Sandro stesso accusò per burla uno amico suo di eresia agli Otto, il quale comparendo domandò chi l'aveva accusato e di che; per che sendogli detto che Sandro era stato, il quale diceva ch'ei teneva l'opinione degli Epicurei che l'anima morisse col corpo, rispose e disse: "Egli è vero che io ho questa opinione dell'anima sua, ch'è bestia, e bene è egli eretico, poi che senza lettere comenta Dante e mentova il suo nome invano". Dicesi ancora che molto amava quegli che vedeva studiosi della arte; e dicono che guadagnò molto, e tutto per trascurataggine senza alcun frutto mandò in mala parte. Fu da Lorenzo Vecchio molto amato, e da infiniti ingegni et onorati cittadini ancora. Ma finalmente condottosi vecchio e disutile, camminava per terra con due mazze; per il che non potendo più far niente, infermo e decrepito, ridotto in miseria, passò di questa vita d'anni LXXVIII; et in Ognisanti di Fiorenza fu sepolto l'anno MDXV. Meritò veramente Sandro gran lode in tutte le pitture che e' fece dove lo strigneva lo amore e la affezzione; et ancora che e' si fusse indiritto, come si disse, a le cose che per la ipocresia si recano a noia le bellissime considerazioni della arte, e' non resta però che le sue cose non siano e belle e molto lodate, e massimamente la tavola de' Magi di Santa Maria Novella; in su la grandezza della quale si vede oggi di suo appresso di Fabio Segni una tavola, dentrovi la Calunnia di Apelle, dove Sandro divinamente imitò il capriccio di quello antico pittore, e la donò ad Antonio Segni suo amicissimo. Et è sì bella questa tavola, che e per la invenzione di Apelle e per la pittura di Sandro è ella stata onorata di questo epigramma: INDICIO QUEMQUAM NE FALSO LAEDERE TENTENT TERRARUM REGES PARVA TABELLA MONET. HUIC SIMILEM AEGYPTI REGI DONAVIT APELLES. REX FUIT ET DIGNUS MUNERE MUNUS EO.