BENOZZO pittore fiorentino
Chi camina con le fatiche a la strada della virtù, ancora che ella sia, come e' dicono, e sassosa e piena di spine, a la fine della salita si ritruova pur finalmente in un largo piano con tutte le bramate felicità; e nel riguardare a basso veggendo i cattivi passi con periglio fatti da lui, ringrazia Dio che a salvamento ve lo ha condotto, e con grandissimo contento suo benedice quelle fatiche che già tanto gli rincrescevano. E così ristorando i passati affanni con la letizia del bene presente, senza fatica pur si affatica per far conoscere a chi lo guarda come i caldi, i geli, i sudori, la fame, la sete e gli incomodi che si patiscono per acquistare la virtù liberano altrui da la povertà, e lo conducono a quel sicuro e tranquillo stato dove con tanto contento suo lo affaticato Benozzo si riposò. Costui fu discepolo dello angelico fra' Giovanni, a ragione amato da lui e da chi lo conobbe tenuto pratico, di grandissima invenzione e molto copioso negli animali, nelle prospettive, ne' paesi e negli ornamenti. Fece tanto lavoro nella età sua, che e' mostrò non essersi molto curato d'altri diletti; et ancora che e' non fusse molto eccellente a comparazione di molti che lo avanzarono di disegno, superò nientedimeno col tanto fare tutti gli altri della età sua, perché in tanta moltitudine di opere gli vennero fatte pure delle buone. Dipinse in Fiorenza nella sua giovanezza alla Compagnia di San Marco la tavola dello altare, et in San Friano un trànsito di San Ieronimo, che è stato guasto per acconciare la facciata della chiesa lungo la strada. Nel palazzo de' Medici fece in fresco la cappella con la storia de' Magi; et a Roma in Araceli nella cappella de' Cesarini le storie di Santo Antonio da Padova, et in Santo Apostolo la cappella dello altar maggiore; la quale, per le fatiche duratevi e per alcune figure scortate, ebbe grido e fama grandissima in quella città e fu cagione di farlo conoscere per molto pratico e diligente nella arte. Non mancano però alcuni che attribuischino questa cappella a Melozzo da Furlì; il che a noi non pare verisimile, sì perché di Melozzo non abbiamo visto già mai cosa alcuna, e sì ancora perché e' vi si riconosce tutta la maniera di Benozzo: pure, ne lasciamo il giudicio libero a chi la intende meglio di noi. Dipinse in questa cappella la Ascensione di Cristo con assai ornamenti di prospettiva ad instanzia, dicono, del cardinale Riario, nipote di papa Sisto IIII, dal quale ne fu molto remunerato. Fu costui abbondante di figure e di ogni altra cosa ne' suoi lavori, e molto si dilettò di fare scortar le figure di sotto in su, cosa difficile e faticosa nella pittura. Fu chiamato dalla Opera di Pisa, e lavorò nel cimiterio allato al Duomo, detto Camposanto, una parete di muro lunga quanto tutto lo edifizio, e vi fece storie del Testamento Vecchio con grandissima invenzione di figure. E bene si può veramente chiamar questa una opera terribilissima, per esservi distintamente le storie della creazione del mondo a giorno per giorno, tutte quelle di Noè che fabrica l'Arca e vi riceve gli animali, la inondazione del Diluvio espressa con bellissimi componimenti e copiosità di figure e con ogni bello ornamento; inoltre la superba edificazione della torre disegnata da Nebrot, lo incendio di Soddoma e delle altre città vicine, le istorie di Abramo, nelle quali sono da considerare affetti bellissimi, perché, ancora che Benozzo non avesse molto singular disegno nelle figure, e' dimostrò nientedimanco l'arte efficacemente nel sacrifizio di Isaac, per avere situato in iscorto uno asino in tale maniera che e' si volta per ogni banda: il che è tenuto cosa bellissima. Seguì appresso il nascere di Mosè, con que' tanti segni e prodigii, sino a che atrasse il popolo fuori de lo Egitto e lo cibò tanti anni dentro al deserto. Aggiunse a questo tutte le istorie ebree sino a Davit et a Salomone suo figliuolo, sino che a lui viene la regina Saba. E dimostrò veramente Benozzo in questo lavoro uno animo più che invitto, perché dove sì grande impresa arebbe giustamente fatto paura ad una legione di pittori, egli solo la fece tutta e la condusse a perfezzione. Di maniera che avendone acquistato fama grandissima, meritò che nel mezzo di quel lavoro gli fusse posto questo epigramma: QUID SPECTAS VOLUCRES PISCES ET MONSTRA FERARUM ET VIRIDES SILVAS AETHEREASQUE DOMOS? ET PUEROS IUVENES MATRES CANOSQUE PARENTES QUEIS SEMPER VIVUM SPIRAT IN ORE DECUS? NON HAEC TAM VARIIS FINXIT SIMULACRA FIGURIS NATURA INGENIO FOETIBUS APTA SUO: EST OPUS ARTIFICIS. PINXIT VIVA ORA BENOXUS. O SUPERI VIVOS FUNDITE IN ORA SONOS. Nella medesima città di Pisa, nelle Monache di San Benedetto a Ripa d'Arno, finì tutta la storia della vita monastica di quel Santo, che non è piccola; et inoltre molte opere a tempera in fresco et in tavola si veggono per tutta quella terra, facilissimamente lavorate da lui, come nella Compagnia de' Fiorentini, dirimpetto a San Girolamo, et infiniti altri luoghi che troppo sarebbe lungo il contargli. Dipinse a San Gimignano et a Volterra, tanto che, logoro finalmente dalla fatica, in età di LXXVIII anni se ne andò al vero riposo nella stessa città di Pisa in una casetta che in sì lunga dimora vi si aveva comperata nella carraia di San Francesco; la qual casa lasciò morendo alla sua figliuola. E con lagrime di tutta quella città onoratamente fu sepellito in Camposanto con questo epitaffio: HIC TUMULUS EST BENOTII FLORENTINI QUI PROXIME HAS PINXIT HISTORIAS. HUNC SIBI PISANOR. DONAVIT HUMANITAS. MCCCCLXXVIII. Visse Benozzo costumatissimamente sempre e da vero cristiano, consumando tutta la vita sua in esercizio onorato; per il che, e per la buona maniera e qualità sua, lungamente fu benveduto in quella città e tenuto in pregio. Lasciò dopo sé discepoli suoi Zanobi Machiavegli fiorentino, et alcuni altri che non accade farne memoria.