LORENZO GHIBERTI pittor fiorentino
Non è dubbio che, in tutte le città, coloro che con qualche rara virtù vengono in qualche fama fra li uomini non siano il più delle volte un santissimo lume d'esempio a molti che dopo lor nascono et in quella medesima età vivono, oltra le lodi infinite e lo straordinario premio ch'essi vivendo ne rapportano; né si vede cosa che più desti gli animi delle genti e faccia parere loro men faticosa la disciplina degli studî che l'onore e l'utilità che si cava poi dal sudore delle virtù, perciò che elle rendono facile a ciascheduno ogni impresa difficile, e con maggiore impeto fanno accrescere la virtù loro quando con le lode del mondo s'inalzano: per che infiniti, che ciò sentono e veggono, imparando dal buono si mettono alle fatiche per venire in grado di meritare quello che veggono aversi meritato un suo compatriota; e da questo nasceva negli antichi che le città in bellezza si mantenevano per giustamente guiderdonare coloro che se medesimi e le loro patrie onoravano. E però tutti gli artefici che per questa via caminarono, o tardi o per tempo sono stati riconosciuti, come fu Lorenzo di Cione Ghiberti, altrimenti di Bartoluccio; il quale per mostrar l'amore, che prima a se stesso, poi alla sua patria portava, meritò da Donato scultore e Filippo Brunelleschi architetto e scultore, eccellenti artefici, essere posto nel luogo loro, conoscendo essi in verità, ancora che il senso gli stringesse forse a fare il contrario, che Lorenzo era migliore maestro di loro nel getto. Fu veramente ciò gloria di quegli e confusione di molti, i quali, presumendo di sé, si mettono in opera et occupano il luogo delle altrui virtù, non però facendo eglino frutto alcuno, ma penando mille anni nel fare una lor cosa, sturbano et opprimono la scienzia degli altri con malignità e con invidia grandissima. Fu adunque avventurato Lorenzo a ritrovarsi avere in casa sua uomini i quali ebbero animo di conoscere il valore della sua virtù e di dare con gratitudine e premio alle fatiche sue quel grado che meritamente se gli convenne; felicissimo fu nel trovar gli artefici senza invidia e i popoli che si dilettassino delle virtù, perché lasciò la sua patria erede della più bella opera del mondo. Fu dunque Lorenzo figliuolo di Bartoluccio Ghiberti, e dai suoi primi anni imparò l'arte dell'orefice col padre, il quale v'era eccellente maestro e gl'insegnò quel mestiero, il quale da Lorenzo fu preso talmente ch'egli lo faceva assai meglio che ‘l padre suo. E dilettandosi molto più de l'arte della scultura e del disegno, maneg[g]iava qualche volta colori, et alcun'altra gettava figurette piccole di bronzo e le finiva con molta grazia. Dilettossi molto contraffare i conii delle medaglie antiche, e di naturale nel suo tempo ritrasse molti suoi amici. E mentre egli con Bartoluccio lavorando cercava aquistare in quelle professione, venne in Fiorenza l'anno MCCCC alcuna corruzzione d'aria pestilenziale; per la qual cosa non potendo far fac[c]ende alla bottega, si convenne con un pittore, il quale aveva preso in Romagna opere per Pandolfo Malatesta, allora signore d'Arimino e di Pesero, di andarsene seco; e così gli aiutò Lorenzo a dipignere una camera e molti altri lavori che con diligenzia furon da loro finiti, de' quali ne acquistò in quella età così giovinile quello onore che più si poteva. Né anche per questo restò, per ogni sorte di fatica che si potessi far per lui, ch'egli non continuasse lo studio del disegno et il lavorare di rilievo cere e stucchi di cose piccole. Né sté molto tempo lontano da la patria sua, che cessata la pestilenzia, la Signoria di Fiorenza e l'Arte de' Mercatanti deliberorno (avendo in quel tempo la scultura gli artefici suoi in eccellenzia, così forestieri come fiorentini) che si dovessi, come si era già molte volte ragionato, finire l'altre due porte di San Giovanni, tempio antichissimo e principale di quella città. Et ordinato fra di loro che si facessi intendere a tutti e' maestri che erano tenuti migliori in Italia che comparissino in Fiorenza per fare esperimento di loro in una mostra d'una storia di bronzo, simile a un' di quelle che già Andrea Pisano aveva fatto nella prima porta, fu scritto questa deliberazione da Bartoluccio a Lorenzo ch'era a Pesero che lavorava, confortandolo a tornare a Fiorenza a dar saggio di sé: ché questa era una occasione da farsi conoscere e da mostrare l'ingegno suo, oltra che e' ne trarrebbe quel[l]'utile, che né l'uno né l'altro arebbono mai più bisogno d'opere. Mossero l'animo di Lorenzo le parole di Bartoluccio, e quantunque il signor Pandolfo et il pittore e tutta la sua corte gli facessino carezze grandissime, prese Lorenzo da quel signore licenza e dal pittore: i quali pur con fatica e dispiacer loro lo lascioron partire, non giovando né promesse né ricrescer provisione, parendo a Lorenzo ognora mille anni di tornare a Fiorenza. Et inviatosi, felicemente a la sua patria si ridusse. Erano già comparsi molti forestieri e fattisi conoscere a' Consoli dell'Arte, da' quali furono eletti di tutto il numero sette maestri, tre fiorentini e gli altri toscani; e fu ordinato loro una provisione di danari, e che fra un anno eglino dovessino aver finito una storia di bronzo della medesima grandezza ch'erano quelle della prima porta, per saggio. Et elessero che dentro si facessi la storia quando Abraham sacrifica Isach suo figliuolo: nella quale pensorono dovere avere eglino che mostrare quanto a le difficultà dell'arte, per essere storia che ci va dentro paesi, ignudi, vestiti, animali, e si potevono far le prime figure di relievo e le seconde di mez[z]o e le terze di basso. Furono i concorrenti di questa opera Filippo di Brunellesco, Donato e Lorenzo di Bartoluccio fiorentini, et Iacopo della Quercia sanese e Niccolò d'Arezzo suo creato, Francesco di Vandabrina e Simone da Colle detto de' Bronzi, i quali dinanzi a' Consoli promessono dare condotta la storia nel tempo detto. E ciascuno alla sua dato principio, con ogni studio e diligenzia operavano ogni lor forza per passare d'eccellenzia l'un l'altro, tenendo nascoso quel che facevano secretissimamente, per non raffrontare êlle cose medesime. Solo Lorenzo, che aveva Bartoluccio che lo guidava e li faceva far fatiche e molti modelli innanzi che si risolvessino di mettere in opera nessuno, di continuo menava i cittadini a vedere, e talora i forestieri che passavano, se intendevano del mestiero, per sentire l'animo loro; i quali pareri furon cagione ch'egli condusse un modello ch'era molto ben lavorato e senza nessun difetto. E così, fatto le forme sopra e gittatolo di bronzo, venne benissimo; et egli con Bartoluccio suo padre cominciorno a rinettarlo con un amore e pazienzia tale che non si poteva condurre né finire meglio. E continovando fino al fine, nel tempo che si aveva a vedere a paragone fu la sua e le altre di que' maestri finite del tutto; e venuto a giudizio dell'Arte de' Mercatanti, e viste dai Consoli e da molti altri cittadini, furono diversi i pareri ch'ognuno faceva sopra di ciò. Erano concorsi in Fiorenza molti forestieri, parte pittori e parte scultori e ‘l resto orefici, i quali furono chiamati dai Consoli a dover dar giudizio di queste opere insieme con gli altri di quel mestiero che abitavano in Fiorenza: il qual numero furono XXXIIII, e ciascuno della sua arte era peritissimo. E quantunque fussino infra di loro differenti di parere, piacendo a chi la maniera di uno e chi quella di un altro, si accordavano nondimeno che Filippo di ser Brunellesco e Lorenzo di Bartoluccio avessino e meglio e più copiosa di figure migliori composta e finita la storia loro che non aveva fatto Donato la sua - ancora che ci fusse gran disegno - et Iacopo della Quercia, che non era simile a quello; così le altre tre di Francesco di Valdanbrina e di Simone da Colle e Niccolò d'Arezzo, ch'erano le manco buone. Donato e Filippo, visto la diligenzia e lo amore che Lorenzo aveva usata nell'opra sua, si tiroron da un canto, e parlando fra loro risolverono che l'opera dovesse darsi a Lorenzo, parendo loro che il publico et il privato sarebbe meglio servito, e Lorenzo, essendo giovanetto che non passava XX anni, arebbe, nello esercitarsi, a fare in quella professione que' frutti maggiori che prometteva la bella storia che egli a giudizio loro aveva più degli altri eccellentemente condotta, dicendo che sarebbe stato più tosto opera invidiosa a levargliela che non era virtuosa a fargliela avere. E così entrati Filippo e Donato nella Udienza dove sedevano i Consoli, parlò Filippo in questa forma: "Lo sperimento che avete fatto di tanti eccellenti maestri, signori Consoli, è stato molto aùpproposito, avendo noi veduto la differenza delle maniere, e colui che sia più atto a fare onore alla nostra città. E poi ch'egli ci è venuto per sorte che ne stavamo Donato et io in dubbio che questi forestieri non avessino a passare i maestri della città nostra - anzi abbiamo visto che l'opere loro restano inferiori di invenzioni, di disegno e di getto, e finite sono manco che le nostre -, abbiamo giudicato infra di noi che prima Lorenzo Ghiberti sia quello a cui si debba dare il pregio di questo onore, e poscia il lavoro delle porte. Perché egli essendo giovane e volentoroso dello acquistar fama,farà, seguitando, opera tale che, non solo come ha passato ora tutti questi artefici, vincerà ogni giorno se medesimo. E se bene egli è parere di questi che hanno a giudicare di volere darli me per compagno, io renunzio questa compagnia, perché o io avevo a essere principale e far da me, o io avevo a essere escluso de l'opra come al presente mi escludo. Per che, se io non ho possuto apparire eccellente in questa opera, che è mio difetto, cercherò forse emendarmi per venire principale in un'altra? Conchiudo adunque che, per nostro parere, l'opera si dia resolutissimamente a Lorenzo". Avevano già i Consoli inteso da chi aveva a giudicare, e restava a paragone con Lorenzo la storia di Filippo: et arebbon voluto unirgli insieme e facessino questa opera a mez[z]o; ma né per prieghi né per cosa ch'e' potessino usare inverso Filippo, non lo svoltorono da la sua fantasia, avendo deliberato o che, s'e' volevano ch'e' la facesse, gli dessero tutta l'opera, o non avere a dividere la gloria delle sue fatiche a mez[z]o. Laonde i Consoli non potendo più, vinti dalle ragioni che allegava Filippo e da quelle che diceva Donato, allogarono finalmente questa opera a Lorenzo. Fu veramente un atto molto onorato questo di Filippo e di Donato, et uno animo molto netto di passione et un giudizio sano nel conoscere se medesimi: esemplo certo grandissimo di amore che all'arte avevano, stimando più le virtuose fatiche d'altri che lo interesso e l'utile proprio. La quale generosità d'animo non accrebbe minore fama alle virtuose azzioni loro che si facesse a Lorenzo lo avere conseguito la vittoria d'avere avuto sì grande opera, nella patria sua et in una età sì giovinile. Fu cominciata da Lorenzo questa opera con grandissima diligenzia, e fu questa la porta che è vòlta dirimpetto all'Opera di San Giovanni; nella quale fece dentro lo spartimento simil a quello che aveva già fatto Andrea Pisano nella prima porta che gli disegnò Giotto, facendovi venti storie del Testamento Nuovo; et in otto vani simili a quelli seguitavon le dette storie: da piè fece i quattro Evangelisti, due per porta, e così i quattro Dottori della Chiesa nel medesimo modo, i quali sono differenti fra loro di attitudini e di panni: chi scrive, chi legge, altri pensa, e variati l'un da l'altro si mostrano nella lor prontezza molto bene condotti. Oltra che nel telaio dell'ornamento, riquadrato a quadri, intorno alle storie v'è una fregiatura di foglie d'ellera e d'altre ragioni, tramezzate poi da cornici, et in su ogni cantonata una testa d'uomo o di femmina tutta tonda, avendo figurato Profeti e Sibille che son molto belle, le quali nelle loro varietà mostrano la bontà de l'ingegno di Lorenzo nella varietà delle effigie. Et ordinò che i componimenti delle storie ch'egli vi fece seguitassino la vita di Cristo dal suo nascere per infino a la morte e resurressione sua: che questo si vede quando è serrata la porta, perché quando è aperta le storie non seguitano per rimanerne una parte per lato di quelle. Seguiterò come stanno adunque le storie quando è serrata, acciò séguitino, per non fare confusione. Sopra i Dottori e gli Evangelisti già detti ne' quattro quadri dappiè, séguita da la banda di verso Santa Maria del Fiore il principio; dove nel primo quadro è la Annunziazione della Nostra Donna, dove egli finse nell'attitudine di essa Vergine uno spavento et un sùbito timore, storcendosi con grazia per la venuta de l'Angelo; et allato a questa fece il nascer di Cristo, dove è la Nostra Donna che, avendo partorito, sta a ghiacere riposandosi: èvvi Giuseppo che contempla, i pastori, e gli Angeli che cantano. Nell'altra allato a queste, ch'è l'altra parte della porta, a un medesimo pari séguita la storia della venuta dei Magi, et il loro adorar Cristo dandoli i tributi: dove è la corte che gli séguita con cavagli et altri arnesi fatta con grande ingegno; e così allato a questa è il suo disputare nel Tempio fra i Dottori, nella quale è non meno espressa l'ammirazione e l'udienzia che dànno a Cristo i Dottori che l'allegrezza di Maria e Giuseppo ritrovandolo. Séguita sopra a queste, ricominciando sopra la Nunziazione, la storia del battesimo di Cristo nel Giordano da Giovanni, conoscendosi negli atti loro la riverenzia dell'uno e la fede dell'altro; allato a questa séguita il Diavolo che tenta Cristo, che, spaventato per le parole di Gesù, fa un'attitudine spaventosa, mostrando per quella il conoscere che egli è figliuolo di Dio. Allato a questa, ne l'altra banda, v'è quando egli caccia del Tempio i venditori, mettendo loro sottosopra gli argenti, le vittime, le colombe e le altre mercanzie: nella quale sono le figure che cascano l'una sopra l'altra, che hanno una grazia nella fuga del cadere molto bella e considerata; seguitò Lorenzo allato a questa il naufragio degli Apostoli, e San Pietro uscire de la nave, che affondando nella acqua, Cristo lo sollieva: storia copiosa di varii gesti nelli Apostoli che aiutano la nave, e simile la fede di San Piero si conosce nel suo venire a Cristo. Ricomincia sopra la storia del Battesimo, da l'altra parte, la sua Transfigurazione nel monte Tabor, dove egli espresse nelle attitudini de' tre Apostoli lo abbagliare che fanno le cose celesti le viste dei mortali, come si conosce ancora Cristo nella sua divinità, col tenere la testa alta e le braccia aperte, in mez[z]o d'Elia e di Mosè; et allato a questa è la resurressione del morto Lazzaro, il qual uscito del sepolcro, legato i piedi e le mani, sta ritto con maraviglia de' circunstanti: èvvi Marta e Maria Magdalena che bacia i piedi del Signore con umiltà et reverenzia grandissima. Séguita allato a questa, ne l'altra parte della porta, quando egli va in su l'asino in Gerusalem, dove i figliuoli degli Ebrei che con varie attitudini gettano le veste per terra, e gli ulivi e le palme, oltra agli Apostoli che seguitano il Salvatore; et allato a questa è la Cena degli Apostoli bellissima e bene spartita, fingendoli a una tavola lunga mez[z]i dentro e mez[z]i fuori. Sopra la storia della Transfigurazione ricomincia la Adorazione nell'orto, dove si conosce il sonno in tre varie attitudini degli Apostoli; et allato a questa séguita quando Egli è preso, e che Giuda lo bacia, dove sono molte cose da considerare, per esservi e gli Apostoli che fuggono et i Giudei che nel pigliar Cristo fanno atti e forze gagliardissime. Et è nell'altra parte allato a questa quando Egli è legato alla colonna: dove è la figura di Gesù Cristo che nel duolo delle battiture si storce alquanto con una attitudine compassionevole, oltra che si vede in que' Giudei che lo flagellano una rabbia e vendetta molto terribile per i gesti che fanno; séguita allato a questa quando lo menano a Pilato, e che e' si lava le mani e lo sentenzia a la croce. Sopra l'Adorazione dell'orto, ne l'altra banda, l'ultima fila delle storie comincia dove e' porta la croce e va a la morte menato da una furia di soldati, i quali con le attitudini in modo par che lo tirono per forza: oltra il dolore e pianto che fanno co' gesti quelle Marie, che non le vide meglio chi fu presente; allato a questo fece Cristo crocifisso, et in terra a sedere con atti dolenti e pien' di sdegno la Nostra Donna e San Giovanni Vangelista. Séguita allato a questa, nell'altra parte, la sua resurressione, ove, addormentate le guardie dal tuono, stanno come morti, mentre Cristo va in alto con una attitudine che ben pare glorificato nella perfezzione delle belle membra fatte dalla ingegnosissima industria di Lorenzo; nello ultimo vano è la venuta dello Spirito Santo, dove sono attenzioni et attitudini dolcissime in coloro che lo ricevono. E fu condotto questo lavoro a quella fine e perfezzione, senza rispiarmo di fatiche e di tempo, che può darsi a opera di metallo, considerando che le membra degli ignudi hanno tutte le parti bellissime, et i panni, ancora che tenessino un poco dello andare vecchio di verso Giotto, vi è dentro un tutto che va inverso la maniera de' moderni, e si reca in quella grandezza di figure una certa grazia molto leggiadra. E nel vero i componimenti di ciascuna storia sono tanto ordinati e bene spartiti ch'e' meritò conseguire quella lode, e maggiore, che da principio gli aveva data Filippo. E così fu onoratissimamente fra i suoi cittadini riconosciuto, e da loro e dagli artefici terrazzani e forestieri sommamente lodato. Costò questa opera fra gli ornamenti di fuori, che son pur di metallo et intagliatovi festoni di frutti et animali, XXII mila fiorini, e pesò la porta di metallo XXXIIII migliaia di libbre. Finita questa opera, parve a' Consoli dell'Arte de' Mercatanti essere serviti molto bene, e per le lode dateli da ognuno deliberarono che facesse Lorenzo in un pilastro fuori di Orsanmichele in una di quelle nicchie ch'è quella ch'è vòlta fra i Cimatori- una statua di bronzo di quattro braccia e mezzo in memoria di San Giovàne Batista, la quale egli principiò, né la staccò mai che egli la rese finita, che fu et è opera molto lodata; et in quella, nel manto, fece un fregio di lettere, scrivendovi il suo nome. E nel frontespizio di quel tabernacolo si provò a far di musaico, faccendovi dentro un mezzo Profeta. Era già cresciuta la fama di Lorenzo per tutta Italia e fuori de l'artifiziosissimo magistero nel getto: di maniera che avendo Iacopo della Fonte et il Vecchietto sanese e Donato fatto per la Signoria di Siena, per il loro San Giovanni, alcune storie e figure di bronzo che dovevano ornare il battesimo di quel tempio, et avendo visto l'opere di Lorenzo in Fiorenza, si convennono con seco e li feciono fare due storie della vita di San Giovanni Batista. In una fece quando e' batezò Cristo, accompagnandola con molte figure et ignude e vestite molto riccamente; e nell'altra quando San Giovanni è preso e menato a Erode; con le quali storie superò e vinse gli altri che avevano fatto le altre, onde ne fu sommamente lodato dai Sanesi e dagli altri che le veggono. Avevano in Fiorenza a far una statua i Maestri della zecca in una di quelle nicchie che sono intorno a Orsanmichele dirimpetto a l'Arte della Lana, et aveva a esser San Matteo d'altezza del San Giovanni sopradetto; la quale figura allogorono a Lorenzo che la condusse a perfezzione, e fu lodata molto più che il San Giovanni, avendovi usato la maniera più moderna. La quale statua fu cagione che i Consoli dell'Arte della Lana sì deliberorono nel medesimo luogo che e' facessi, nell'altra nicchia allato a quella, una statua di metallo medesimamente, che fusse alta alla medesima proporzione de l'altre due, in persona di Santo Stefano loro avvocato; et egli la condusse a fine, e diede una vernice al bronzo molto bella: la quale statua non manco satisfece che si facessino l'altre opere già lavorate da lui. Era generale de' Frati Predicatori in quel tempo messer Lionardo Dati, il quale per lassare memoria in Santa Maria Novella, dove egli aveva fatto professione, et alla sua patria, fece fabricare a Lorenzo una sepoltura di bronzo, sopraci lui a ghiacere morto ritratto di naturale: che da questa, che piacque e fu lodata, ne nacque una che fecion fare in Santa Croce di Lodovico degl'Albizi e di Niccolò Valori. Erano onorati nel convento degli Angeli i corpi d'i tre martiri Proto, Iacinto e Nemesio; ma perché e' si onorassino molto più, fu allogato a Lorenzo una cassa di metallo, dove fece certi Angeli di basso rilievo che tengono una ghirlanda d'ulivo, scrittovi dentro i nomi loro. E da questa, che riuscì molto onorevole, venne voluntà alli Operai di Santa Maria del Fiore di far fare la cassa e sepoltura di metallo per mettervi il corpo di San Zanobi vescovo di Firenze, la quale fu di grandezza di braccia tre e mezzo et alta due. Nella quale fece oltra il garbo della cassa con diversi e varii ornamenti, nel corpo di essa cassa dinanzi una storia quando esso San Zanobi risuscita il fanciullo lasciatoli in custodia dalla madre, morendo egli mentre ch'ella era in perigrinaggio; in un'altra v'è quando un altro è morto dal carro, e simile quando e' risuscita l'uno de' due famigli mandatoli da Santo Ambruogio, che rimase morto uno in su le Alpi, l'altro v'è che se ne duole alla presenza di San Zanobi che, venutoli compassione, disse: "Va', che e' dorme: tu lo troverrai vivo". E nella parte di dietro sono sei Angioletti che tengono una ghirlanda di foglie d'olmo, nella quale son lettere intagliate in memoria e lode di quel Santo. Questa opra condusse egli e finì con ogni ingegnosa fatica et arte, sì che ella fu lodata straordinariamente per cosa bella. Mentre che l'opere di Lorenzo ogni giorno accrescevon fama al nome suo, lavorando e servendo infinite persone così lavori di metallo come di argento e d'oro, capitò nelle mani a Giovanni figliuolo di Cosimo de' Medici una corniuola assai grande, dentrovi lavorato d'intaglio in cavo quando Apollo fa scorticare Marsia, la quale, secondo che si dice, serviva già a Nerone imperatore per suggello; et essendo per il pezzo della pietra, ch'era pur grande, e per la maraviglia dello intaglio in cavo cosa rara, Giovanni la diede a Lorenzo, che gli facesse intorno d'oro uno ornamento intagliato; et esso penatovi molti mesi, lo finì del tutto, facendo una opera non men bella d'intaglio a torno a quella che si fussi la bontà e perfezzione del cavo in quella pietra. La quale opera fu cagione ch'egli d'oro e d'argento lavorassi molte altre cose, che oggi non si ritruovano, stimando essere state distrutte per l'avarizia o bisogno di que' metalli. Fece d'oro medesimamente a papa Martino un bottone, ch'egli teneva nel piviale, con figure tonde di rilievo, e fra esse gioie di grandissimo prezzo, cosa molto eccellente; e così una mìtera maravigliosissima di fogliami d'oro straforati, e fra essi molte figure piccole tutte tonde che furon tenute bellissime. E ne acquistò, oltra al nome, una utilità grande da la liberalità di quel Pontefice. Venne in Fiorenza l'anno MCCCCXXXIX papa Eugenio, per unire la discordia fra la Chiesa Greca e la Romana, dove si fece il Concilio; e visto l'opere di Lorenzo, e piaciutogli non manco la presenzia sua che si facessino quelle, gli fece fare una mìtera d'oro di peso di libre quindici e le perle di libre cinque e mezzo, le quali erano stimate con le gioie in essa ligate trentamila ducati d'oro. Dicono che in detta opera erano sei perle come nocciuole avellane, e non si può imaginare, secondo che s'è visto poi un disegno di quella, le più belle biz[z]arrie di legami nelle gioie e nella varietà di molti putti et altre figure che servivano a molti varii e graziati ornamenti. De la quale ricevé infinite grazie e per sé e per gli amici da quel Pontefice, oltra il primo pagamento. Aveva Fiorenza ricevute tante lode per le opere eccellenti di questo ingegnosissimo artefice, che e' fu deliberato dai Consoli dell'Arte de' Mercatanti di farli allogazione della terza porta di San Giovanni, di metallo medesimamente. E quantunque quella che prima aveva fatta l'avessi per ordine loro seguitata e condotta con l'ornamento che segue intorno alle figure e che fascia il telaio di tutte le porte, simile a quello di Andrea Pisano, visto quanto Lorenzo l'aveva avanzato risolverono i Consoli a mutare la porta di mez[z]o, dove era quella di Andrea, e metterla a l'altra porta che è dirimpetto alla Misericordia, e che Lorenzo facessi quella di nuovo per porsi nel mez[z]o, giudicando ch'egli avesse a fare tutto quello sforzo che egli poteva maggiore in quella arte. E se gli rimessono nelle braccia, dicendo che gli davon licenzia che e' facessi in quel modo che voleva o che pensassi ch'ella tornassi più ornata, più ricca, più perfetta e più bella che e' potessi o sapessi imaginarsi: né guardassi a tempo né a spesa, acciò che, così come egli aveva superato gli altri statuarii per infino allora, superassi e vincessi tutte l'opere sue. Cominciò Lorenzo detta opera, mettendovi tutto quel sapere maggiore ch'egli poteva; e così scompartì detta porta in X quadri, cinque per parte, che rimaseno i vani delle storie un braccio et un terzo; et a torno, per ornamento del telaio che ricigne le storie, sono nicchie in quella parte ritte e piene di figure quasi tonde, il numero delle quali è XX, e tutte bellissime: come uno Sansone ignudo che, abbracciato una colonna, con una mascella in mano, mostra quella perfezzione che maggior può mostrare cosa fatta nel tempo degli antichi ne' loro Ercoli, o di bronzi o di marmi; e come fa testimonio un Iosuè, il quale in atto di locuzione par che parli allo essercito, oltra molti Profeti e Sibille, adorni l'uno e l'altro in varie maniere di panni per il dosso e di acconciature di capo, di capegli et altri ornamenti; oltra dodici figure che sono a ghiacere nelle nicchie che ricingono l'ornamento delle storie per il traverso, faccendo in sulle crociere delle cantonate, in certi tondi, teste di femmine e di giovani e di vecchi, il numero XXXIIII; fra le quali, nel mez[z]o di detta porta, vicino al nome suo intagliato in essa, è ritratto Bartoluccio suo padre, ch'è quel più vecchio, et il più giovane è Lorenzo suo figliuolo, maestro di tutta l'opera: oltra a infiniti fogliami e cornici et altri ornamenti fatti con grandissima maestria. Le storie che sono in detta porta sono del Testamento Vecchio; e nella prima è la creazione di Adamo e di Eva sua donna, quali sono perfettissimamente condotti, vedendosi che Lorenzo ha imitato che sieno di membra più begli che egli ha possuto, volendo osservare che, sendo quelli di mano di Dio, e' non fussino mai fatto le più belle figure, e così questi di suo avessino a passare tutte l'altre ch'erano state fatte da lui ne l'altre opere sue: avvertenzia certo grandissima. E così fece nella medesma quando e' mangiano il pomo et insieme quando e' son cacciati di Paradiso: le qual' figure in quegli atti rispondono a l'effetto prima del peccato, conoscendo la loro vergogna, coprendola con le mani, e nell'altro la penitenzia nello essere da l'Angelo fatti uscir fuori di Paradiso. Nel secondo quadro è fatto Adamo et Eva avendo Caim et Abel piccoli fanciulli creati da loro; e così vi sono quando de le primizie Abel fa sacrifizio e Caim de le men buone, dove si scorge negli atti di Caim l'invidia contra il prossimo et in Abel l'amore inverso Idio; e quello che è di singular bellezza è il veder Caim arare la terra con un par di buoi, i quali nella fatica del tirare al giogo l'aratro paiono veri e naturali: così come è il medesimo Abel che, guardando il bestiame, Caim li dà la morte; dove si vede quello con attitudine impietosissima e crudele con un bastone ammaz[z]are il fratello, che il bronzo medesmo mostra la languidezza delle membra morte nella bellissima persona di Abel; e così di basso relievo da lontano è Iddio che domanda a Caim quel che ha fatto di Abel: contenendosi in ogni quadro gli effetti di quattro storie. Figurò Lorenzo nel terzo quadro come Noè esce de l'arca la moglie coi suoi figliuoli e figliuole e nuore et insieme tutti gli animali, così volatili come terrestri, i quali, ciascuno nel suo genere, sono intagliati dalle eccellentissime mani di Lorenzo con quella perfezzione che può l'arte imitar la natura, vedendosi l'arca aperta e le stagge in prospettiva di bassissimo rilievo, che non si può esprimere la grazia loro; oltre che le figure di Noè e delli altri suoi faccendo sacrifizio, si vede l'arcobaleno, segno di pace fra Iddio e Noè; ma molto più eccellente di tutte le figure quando egli ha piantato la vigna e che inebriato del vino, mostrando la vergogna, Can suo figliuolo lo schernisce, ché uno nel sonno non può imitarsi con più aspetto, vedendosi lo abandonamento delle membra ebbre, e la considerazione et amore degli altri due figliuoli che lo ricuoprono con bellissime attitudini; oltre che v'è e la botte et i pàmpani e gli altri ordigni della vendemmia, fatti con una avvertenza, accomodandoli in certi luoghi, che non impediscono la storia, anzi le fanno un ornamento bellissimo. Piacque molto a Lorenzo fare nella quarta storia, in quel quadro, lo apparire de' tre Angeli nella valle Mambre: faccendo quegli simili l'uno a l'altro, si vede quel santissimo vecchio adorarli con una attitudine di mani e di volto molto proprio e vivace, oltre ch'egli con uno affetto molto bello intagliò i suoi servi che a piè del monte con uno asino spettano Abraam che sacrificava il figliuolo; il quale ignudo in su l'altare, il padre con il braccio in alto cerca far l'obbedienzia: è impedito da l'Angelo, che con una mano lo ritiene e con l'altra accenna dove è il montone da far sacrifizio e libera Isac da la morte: storia veramente viva per le bellissime parti, ciascheduna per sé, vedendo tanta perfezzione nelle membra rustiche de' servi a comparazione delle delicate d'Isac, dove non pare che sia colpo che non sia con una discrezione et arte grandissima. Mostrò avanzar sempre se medesmo Lorenzo di mano in mano in quest'opera, e massime nelle difficultà dove erano casamenti, come in questa, quando nasce [a] Isaac Iacob et Esaù, o dove Esaù che caccia per far la voluntà del padre, et Iacob amaestrato da Rebecca porge il cavretto cotto avendo la pelle intorno al collo, e cercato da Isac, il quale gli dà la benedizzione. Nella quale storia sono cani bellissimi e naturali, oltra le figure che fanno quello effetto istesso che Iacob et Isac e Rebecca nelli lor fatti quando eron vivi. Inanimito Lorenzo per lo studio dell'arte, che di continuo la faceva più facile, tentava lo ingegno suo in cose più artifiziose e difficili; faccendo in questo sesto quadro come Iosef è messo da' suoi fratelli nella cisterna e quando lo vendono a que' mercanti, e da loro è donato a Faraone al quale interpetra il sogno della fame, e la provisione per rimedio, e gli onori fatti a Iosef da Faraone; et èvi quando Iacob manda i suoi figliuoli per il grano in Egitto, e che riconosciuti da lui gli fa ritornare per il padre. Nella quale storia Lorenzo fece un tempio tondo girato in prospettiva con una difficultà grande, nel quale è dentro figure in diversi modi che carricano grano e farine, et asini straordinarii e certamente nella bellezza loro; oltra che vi è il convito ch'e' fa loro, il nascondere la coppa d'oro nel sacco a Beniamin, e lo essergli trovata, e come egli abbraccia e riconosce i fratelli; la quale istoria per tanti affetti e varietà di cose è tenuta fra tutte l'opera la più degna e la più difficile e la più bella. Certamente che Lorenzo non poteva, avendo sì bello ingegno e sì buona grazia in questa maniera di statue, fare che, quando gli venivano i componimenti delle storie belle, e' non facessi bellissime le figure; come appare in questo settimo quadro, dove egli figurando il monte Sinai e nella sommità Moysè che da Idio ha le Leggi, dove con attitudine riverente ingenocchioni le piglia, et a mezzo il monte Iosuè che l'aspetta e tutto il popolo a' piedi, quello impaurito per i tuoni, saette e tremuoti, che in attitudini diverse mostrano gli animi loro con una prontezza grandissima. Operò diligenzia e grande amore nello ottavo quadro, dove egli fece quando Iosuè andò a Ierico, e volse il Giordano, e pose i dodici padiglioni pieni delle dodici tribù: figure molto pronte; ma molto belle sono alcune di basso rilievo quando, girando con l'arca intorno alle mura della città predetta, con suono di trombe rovinano le mura e gli Ebrei pigliano Ierico: nella quale è diminuito il paese et abbassato sempre con osservanzia da le prime figure ai monti, e dai monti a la città, e da la città ad il lontano del paese di bassissimo relievo, condotta tutta con una gran perfezzione. Veramente che Lorenzo di giorno in giorno si fece più pratico in quell'arte, come egli si vide poi nel nono quadro, quando, nella occisione di Golia gigante al quale Davit taglia la testa con una fanciullesca e fiera attitudine, si vede rompere lo esercito dei Filistei da quello de Idio, dove Lorenzo fece cavalli, carri et altre cose da guerra con diligenzia; e così fece Davit che tornando con la testa di Golia in mano, il popolo lo incontra sonando e cantando: i quali affetti sono tutti proprii e vivaci. Restò a far tutto quel che poteva Lorenzo nella decima et ultima storia, la Regina Sabba quando visita Salemone con grandissima corte; dove egli fece un casamento tirato in prospettiva molto bello, e così tutte le altre figure simili alle predette storie, oltra gli ornamenti degli architravi che li vanno intorno a dette porte, dove son frutti e festoni fatti de la solita bontà. Nella quale opera, da per sé e tutta insieme, si conosce quanto il valore e lo isforzo di uno artefice statuario possa nelle figure quasi tonde, in quelle mez[z]e, nelle basse e nelle bassissime oprare d'invenzione ne' componimenti delle figure, e di stravaganzia di attitudini nelle femmine e nelli maschi, e di varietà di casamenti nelle prospettive, et oltre alle graziose arie di tutti i sessi, parimente osservato il decoro in tutta l'opera: ne' vecchi la gravità e ne' giovani la leggiadria e la grazia; et invero che si può attribuire per la perfezzione di tutte le cose e per la saldezza del getto, venendo netta nel buttarla, ella sia la più bella opera del mondo e che si sia vista mai fra gli antichi e ‘ moderni. E ben debbe essere veramente lodato Lorenzo, da che un giorno Michelagnolo Buonarroti fermatosi a veder questo lavoro, sopraggiuntolo uno amico suo, li dimandò quel che gnene pareva, e se queste porti eron belle; rispose Michelagnolo: "Elle son tante belle, che elle starebbon bene alle porte del paradiso" lode veramente propria e detta da chi poteva giudicarla. E ben le poté egli condurre, che mentre lavorandole a fine da la età sua di XX anni che le cominciò, vi durò su 40 anni a lavorarle con fatiche via più che estreme. Le quali furon cagione che i Signori di quella città, oltra il pagamento fatto da' Consoli, gli donassino un podere, il quale è posto vicino alla Badia a Settimo, oltra che fu fatto de' Signori, riconoscendo la sua virtù con tutte quelle sorti di onori che più poterono. Seguitò dirimpetto alla Misericordia l'ornamento di bronzo con quei fogliami stupendissimi; i quali non finì per l'amore della morte, insieme con un modello che egli lasciò imperfetto dell'altra porta, dove è quella d'Andrea Pisano, che la voleva rifare: il qual oggi è ito male. E così lasciò Buonaccorso suo figliuolo che finì di sua mano quell'ornamento con una diligenzia grandissima; né fece poi molte opere, morendo giovane. Rimasili tutti i segreti del gittare, ché venissino le cose sottili, che la lunga sperienzia aveva insegnati a Bartoluccio et a Lorenzo, e quel modo di straforare il metallo come si veggono le cose campate da lui, oltra che gli lasciò molte anticaglie di marmo e di bronzo, come il letto di Policleto ch'era cosa rarissima, et una gamba antica di bronzo, et altre teste di femmine, e vasi condotti di Grecia senza sparagno di spese, oltre a' torsi di figure et altre cose rare de le quali egli si dilettò avere e, studiandone, imitar quelle nelle opere sue: le quali furon insieme con gran parte delle facultà mandate in malora, et una parte ne vendé a messer Giovanni Gaddi cherico di Camera apostolica, che fu il letto di Policleto e l'altre migliori. Attese Lorenzo mentre visse a più cose e dilettòsi di pittura e di lavorare finestre di vetro, come appare in Santa Maria del Fiore gli occhi della chiesa, quelli che sono intorno alla cupola, da quel che fe' Donato in fuora, dove è Cristo che incorona la Nostra Donna. Fece quello ch'è sopra la porta principale di essa Santa Maria del Fiore, dove è il suo irsene in cielo; e così quello che è sopra la porta di Santa Croce, che ne fece un bellissimo cartone, che v'è dentro Cristo quando è diposto di croce. Fu nel principio della allogazione della cupola eletto per compagno e coaiutore di Filippo di ser Brunellesco, ancorché poi ne fusse levato, come s'è detto nella Vita di Filippo. E così seguitando la sua arte, visse onoratissimamente e lasciò facultà. Laonde, già pervenuto agli anni della sua vita LXIIII, d'un mal di febbre continova passò a l'altra vita, lasciando fama immortale del suo nome a chi vede l'opere et ode le sue azzioni; e da e' suoi gli fu in Santa Croce di Fiorenza data onoratissima sepoltura, non restando fargli versi latini e volgari in sue lode, quali si sono smarriti salvo che questi sotto scritti: DUM CERNIT VALVAS AURATO EX AERE NITENTES IN TEMPLO MICHAEL ANGELUS OBSTUPUIT. ATTONITUSQUE DIU SIC ALTA SILENTIA RUPIT: O DIVINUM OPUS, O IANUA DIGNA POLO! LORENZO IACE QUI, QUEL BUON GHIBERTO, CH'A' CONSIGLI DEL PADRE E DELLO AMICO, FUOR DE L'USO MODERNO E FORSE ANTICO, GIOVINETTO MOSTRÒ QUANT'UOMO ESPERTO.