LORENZO DI BICCI pittore fiorentino
Grandissima ventura hanno quelli che nello attendere ad una qualche bella professione o virtù si invaghiscono in quel diletto che di questa sentono ogni ora, perché, mentre che adoperano, passano lo ozio del tempo in uno esercizio onorato, lasciano fama e nome di loro, guadagnano lecitamente e fanno acquisto sempre di amici. Laonde con tanta tenerezza sono amati dagli uomini che e' si può dire che e' ne siano padroni, e de le comodità di altrui acquistan sempre il comodo proprio, perciò che a chi serve altri bene e prestamente non basta il pagamento per sodisfarlo, ma l'obligo entra poi di mez[z]o fra chi fa operare et esso operante. Questo espressamente si vide in Lorenzo di Bicci pittor pratico e spedito, il quale, per dilettarsi del lavorare come e' fece, acquistò mezzi tali che da ogni suo conoscente era tenuto di sì dolce pratica che ogni persona ardeva di fargli piacere. Le figure sue tirano forte a la maniera di Taddeo Gaddi e degli altri maestri inanzi, i quali si dilettò egli molto di contrafare, per piacergli quelle maniere. Fece Lorenzo in Santa Maria del Fiore a tutte le cappelle, sotto le finestre, figure, e per la chiesa la imagine de' XII Apostoli per sacrare la chiesa e mettervi le croci. Nella chiesa di Camaldoli di Fiorenza, per la Compagnia de' Martiri, dipinse una facciata della storia loro, con due cappelle; e nella chiesa del Carmino un'altra facciata, quando essi martiri sono condannati a la morte e vanno al tormento, e tutti i crocifissi che da una pratica grande e maestria onesta sono condotti. Nelle quali opere si vede ingegno, et infiniti suoi tratti in attitudine per contrafar la natura. Su la piazza di Santa Croce fece, fuori nella facciata del convento, la storia d'un S. Tommaso col resto degli Apostoli, il quale cerca la piaga a Cristo, e similmente una Assunta in cielo in campo d'oro con infinito numero d'Angeli intorno e San Tommaso che la Cintola riceve, frescamente e con vivi colori lavorati. Et a canto a queste opre lavorò un San Cristofano, il quale è di altezza di braccia XIII e mezzo, nel quale mostrò grandissimo animo, non si essendo fin allora fatto le figure di maggior grandezza che di cinque braccia, eccetto però il San Cristofano di Buffalmacco. Dentro il convento lavorò, all'entrata della porta del Martello, più di XL frati tutti vestiti di bigio, nei quali volse mostrare Lorenzo la pratica e la scienza la quale aveva in lavorare in fresco, et a tutti variò il colore del bigio, che chi pendeva più in rossigno e tanè e chi in az[z]urrino e gialliccio, per ciascuno differente talmente ch'è cosa singulare. Dipinse ancora altre istorie per le mura e per le volte, con tanta facilità e prestezza che si racconta di lui per vero, che avendo il guardiano del luogo che gli dava le spese fattolo chiamare a mensa, egli, che aveva fatto lo intonaco per una figura e cominciatala appunto allora, rispose a quel frate che lo chiamava: "Fate le scodelle, ch'io fo questa figura e vengo". E però dicono che in Lorenzo si vide tanta velocità e risoluzione di quella maniera quanta non fu in alcuno altro giamai. Fu di man sua il tabernacolo a fresco in sul canto delle Monache di Fuligno, e sopra alla porta della chiesa loro una Nostra Donna con alcuni Santi, fra i quali si vede San Francesco il quale sposa la Povertà. Fu condotto in Arezzo e vi dipinse la cappella maggiore di San Bernardo, convento de' Monachi di Monte Oliveto, con la storia di San Bernardo fatta fare da messer Carlo Marsupini; et inoltre cominciò la cappella di Francesco Bacci Vecchio in San Francesco d'Arezzo similmente. A la quale finita la volta, ammalò di mal di petto e poco andò che guarito se ne tornò in Fiorenza, e fece la sala vecchia di Casa Medici nella via Larga a Pier Francesco Vecchio. Ebbe Lorenzo due figliuoli, Bicci e Neri, i quali furono ambidue pittori, non quali il padre, il quale imitarono il più che poterono; per il che Bicci gli aiutò finire la cappella de' Martini in San Marco et infinite opere in Fiorenza e per il contado lavorarono, e Neri dipinse a fresco in Ognisanti la cappella de' Lenzi insieme con la tavola, dove ritrasse se medesimo vicin a Lorenzo suo padre; et allo Ordine camaldolese infinite opere fece e similmente nel chiostro di San Brancazio, e nella chiesa lavorò cose che non fa mestiero raccontarle. Ma Lorenzo, divenuto già vecchio, nella età di LXI anni ammalò di male di febbre ordinario et appoco appoco si consumò, desiderando pure ritornare ad Arezzo a finire l'opra da lui cominciata: la quale dopo la morte di Lorenzo finì Pietro dal Borgo a Sansepolcro. Fu, dopo che spirò, da Bicci e da Neri pianto et infine con infiniti sospiri a la sepoltura accompagnato, e dolse la morte sua universalmente a tutti gli amici. Ne mancò dipoi chi lo onorasse di questo epitaffio: LAUR. BICCIO PICTORI ANTIQUOR. ARTIFICIO ET ELEGANTIAE SIMILLIMO AC PROPE PARI PICCIUS ET NERIUS FILII ET ARTIS ET PIETATIS ERGO POSUER.
Il fine della Prima Parte delle Vite.