Cap. XXV
Del dipingere nelle mura di chiaro e scuro di varie terrette, e come si contrafanno le cose di bronzo; e delle storie di terretta per archi o per feste a colla, che è chiamato a guazzo, et a tempera.
Vogliono i pittori che il chiaroscuro sia una forma di pittura che tragga più al disegno che al colorito, ché ciò è stato cavato da le statue di marmo, contrafacendole, così dalle figure di bronzo et altre varie pietre. E questo hanno usato di fare nelle fac[c]iate de' palazzi e case in istorie, mostrando che quelle siano contrafatte e paino di marmo o di pietra con quelle storie intagliate, o veramente contrafacendo quelle sorti di specie di marmo e porfido e di pietra verde e granito rosso e bigio o bronzo o altre pietre - come per loro meglio si sono accommodati - in più spartimenti di questa maniera, la qual è oggi molto in uso per fare le facce delle case e de' palazzi, così in Roma come per tutta Italia. Queste pitture si lavorano in due modi: prima in fresco, che è la vera, o in tele per archi o per feste, le quali fanno bellissimo vedere. Trattaremo prima de la specie e sorte del fare in fresco, poi diremo de l'altra. Di questa sorte, di terretta si fanno i campi con la terra da fare i vasi, mescolando quella con carbone macinato o altro nero per far l'ombre più scure e bianco di trevertino con più scuri e più chiari, e si lumeggiano col bianco schietto e con ultimo nero a ultimi scuri finite. Vogl[i]ono avere tali specie fierezza, disegno, forza, vivacità e bella maniera, et essere espresse con una gagliardezza che mostri arte e non stento, perché si hanno a vedere et a conoscere di lontano. E con queste ancora s'imitano le [figure] di bronzo, le quali col campo di terra gialla e rosso s'abozzano e con più scuri di quello nero e rosso e giallo si sfondano, e con giallo schietto si fanno i mez[z]i, e con giallo e bianco si lumeggiano. E di queste hanno i pittori le facciate e le storie di quelle con alcune statue tramez[z]ate, che in questo genere hanno grandissima grazia. Quelle poi che si fanno per archi, comedie o feste, si lavorano che la tela sia data di terretta, cioè di quella prima terra schietta da far vasi temperata con colla; e bisogna che essa tela sia bagnata di dietro mentre lo artefice la dipigne, a ciò che con quel campo di terretta unisca meglio li scuri et i chiari della opera sua; e si costuma temperare i neri di quelle con un poco di tempera, e si adoperano biacche per bianco e minio per dar rilievo alle cose che paiono di bronzo, e giallolino per lumeggiare sopra detto minio; e per i campi e per gli scuri le medesime terre gialle e rosse et i medesimi neri che io dissi nel lavorare a fresco, i quali fanno mez[z]i et ombre. Ombrasi ancora con altri diversi colori altre sorti di chiari e scuri, come con terra-d'ombra, alla quale si fa la terretta di verde-terra e gialla e bianco; similmente con terra-nera, che è un'altra sorte di verde-terra e nera, che lo chiamono verdaccio.