PROEMIO.
Solevano gli spiriti egregii in tutte le azzioni loro, per uno acceso desiderio di gloria, non perdonare ad alcuna fatica, quantunche gravissima, per condurre le opere loro a quella perfezzione che le rendesse stupende e maravigliose a tutto il mondo; né la bassa fortuna di molti poteva ritardare i loro sforzi del pervenire a' sommi gradi, sì per vivere onorati e sì per lasciare ne' tempi avenire eterna fama d'ogni rara loro eccellenza. Et ancora che di così laudabile studio e desiderio fussero in vita altamente premiati dalla liberalità de' principi e dalla virtuosa ambizione delle republiche, e dopo morte ancora perpetuati nel conspetto del mondo con le testimonanze delle statue, delle sepulture, delle medaglie et altre memorie simili, la voracità del tempo nondimeno si vede manifestamente che non solo ha scemate le opere proprie e le altrui onorate testimonanze di una gran parte, ma cancellato e spento i nomi di tutti quelli che ci sono stati serbati da qualunque altra cosa che dalle sole vivacissime e pietosissime penne delli scrittori. La qual cosa più volte meco stesso considerando, e conoscendo non solo con l'esempio degli antichi ma de' moderni ancora che i nomi di moltissimi vecchi e moderni architetti, scultori e pittori, insieme con infinite bellissime opere loro in diverse parti di Italia, si vanno dimenticando e consumando a poco a poco e di una maniera, per il vero, che ei non se ne può giudicare altro che una certa morte molto vicina, per difenderli il più che io posso da questa seconda morte e mantenergli più lungamente che sia possibile nelle memorie de' vivi, avendo speso moltissimo tempo in cercar quelle, usato diligenzia grandissima in ritrovare la patria, l'origine e le azzioni degli artefici, e con fatica grande ritrattole dalle relazioni di molti uomini vecchi e da' diversi ricordi e scritti lasciati dagli eredi di quelli in preda della polvere e cibo de' tarli, e ricevutone finalmente et utile e piacere, ho giudicato conveniente, anzi debito mio, farne quella memoria che per il mio debole ingegno e per il poco giudizio si potrà fare. Ad onore dunque di coloro che già sono morti e beneficio di tutti gli studiosi, principalmente di queste tre arti eccellentissime Architettura, Scultura e Pittura, scriverrò le Vite delli artefici di ciascuna secondo i tempi che ei sono stati di mano in mano da Cimabue insino ad oggi, non toccando altro degli antichi se non quanto facessi al proposito nostro, per non se ne poter dire più che se ne abbino detto quei tanti scrittori che sono pervenuti alla età nostra. Tratterò bene di molte cose che si appartengono al magistero di qual si è l'una delle arti dette, ma prima che io venga a' segreti di quelle o alla istoria delli artefici, mi par giusto toccare in parte una disputa, nata e nutrita tra molti senza proposito, del principato e nobilità non della architettura, ché questa hanno lasciata da parte, ma della scultura e della pittura, essendo per l'una e l'altra parte addotte, se non tutte, almeno molte ragioni degne di essere udite e per gli artefici loro considerate. Dico dunque che gli scultori, come dotati forse dalla natura e dallo esercizio dell'arte di migliore complessione, di più sangue e di più forze, e per questo più arditi et animosi de' nostri pittori, cercando di attribuire il più onorato grado alla arte loro, arguiscono e provano la nobilità della scultura primieramente da la antichità sua, per aver il grande Iddio fatto lo uomo, che fu la prima scoltura. Dicono che la scultura abbraccia molte più arti come congeneri e ne ha molte più sottoposte che la pittura, come il basso rilievo, il far di terra, di cera o di stucco, di legno, d'avorio, il gettare de' metalli, ogni ceselamento, il lavorare di incavo o di rilievo nelle pietre fini e negli acciai, et altre molte le quali e di numero e di maestria avanzano quelle della pittura; et allegando ancora che quelle cose che si difendono più e meglio dal tempo e più si conservano all'uso degli uomini, a beneficio e servizio de' quali elle son fatte, sono senza dubbio più utili e più degne d'esser tenute care et onorate che non sono l'altre, affermano la scultura essere tanto più nobile della pittura quanto ella è più atta a conservare e sé et il nome di chi è celebrato da lei ne' marmi e ne' bronzi contro a tutte le ingiurie del tempo e della aria, che non è essa pittura; la quale, di sua natura pure nonché per gli accidenti di fuora, perisce nelle più riposte e più sicure stanze che abbino saputo dar loro gli architettori. Vogliano eziandio che il minor numero loro, non solo degli artefici eccellenti ma degli ordinarî, rispetto allo infinito numero de' pittori, arguisca la loro maggiore nobilità, dicendo che la scultura vuole una certa migliore disposizione e di animo e di corpo, il che rado si truova congiunto insieme, dove la pittura si contenta d'ogni debole complessione, purché abbia la man sicura se non gagliarda; e che questo intendimento loro si pruova similmente da' maggior' pregi citati particularmente da Plinio, dagli amori causati dalla maravigliosa bellezza di alcune statue, e dal giudizio di colui che fece la statua della Scultura di oro e quella della Pittura d'argento e pose quella alla destra e questa alla sinistra. Né lasciano ancora di allegare le difficultà: prima, dell'aver la materia subbietta, come i marmi et i metalli e la valuta loro, rispetto alla facilità dell'avere le tavole, le tele et i colori a piccolissimi pregi et in ogni luogo; dipoi, le estreme e gravi fatiche del maneggiare i marmi et i bronzi per la gravezza loro e del lavorargli per quella degli strumenti, rispetto alla leggerezza de' pennegli, degli stili e delle penne, disegnatoi e carboni; oltra che di loro si affatica lo animo con tutte le parti del corpo, et è cosa gravissima rispetto alla quieta e leggère opera dello animo e della mano sola del dipintore. Fanno appresso grandissimo fondamento sopra lo essere le cose tanto più nobili e più perfette quanto elle si accostano più al vero, e dicono che la scultura imita la forma vera e mostra le sue cose, girandole intorno, a tutte le vedute, dove la pittura, per essere spianata con semplicissimi lineamenti di pennello e non avere che un lume solo, non mostra che una apparenza sola. Né hanno rispetto a dire molti di loro che la scultura è tanto superiore alla pittura quanto il vero alla bugia. Ma per la ultima e più forte ragione adducono che allo scultore è necessario non solamente la perfezzione del giudizio ordinaria, come al pittore, ma assoluta e sùbita, di maniera che ella conosca sin dentro a' marmi l'intero appunto di quella figura che essi intendono di cavarne, e possa, senza altro modello, prima fare molte parti perfette che e' le accompagni et unisca insieme, come ha fatto divinamente già Michelagnolo; avvengaché mancando di questa felicità di giudizio, fanno agevolmente e spesso di quelli inconvenienti che non hanno rimedio e che, fatti, son sempre testimonii degli errori dello scarpello o del poco giudizio dello scultore. La qual cosa non avviene a' pittori, perciò che, ad ogni errore di pennello o mancamento di giudizio che venisse lor fatto, hanno tempo, conoscendoli da per loro o avertiti da altri, [a] ricoprirli e medicarli con il medesimo pennello che lo aveva fatto; il quale nelle man loro ha questo vantaggio dagli scarpelli dello scultore, che egli non solo sana, come faceva il ferro della lancia di Achille, ma lascia senza margine le sue ferite. Alle quali cose rispondendo i pittori non senza sdegno, dicono primieramente che, volendo gli scultori considerare la cosa in sagrestia, la prima nobilità è la loro, e che gli scultori si ingannano di gran lunga a chiamare opera loro la statua del primo Padre, essendo stata fatta di terra: l'arte della quale operazione, mediante il suo levare e porre, non è manco de' pittori che di altri; e fu chiamata plastice da' Greci e fictoria da' Latini, e da Prassitele fu giudicata madre della scultura, del getto e del cesello, cosa che fa la scultura veramente nipote alla pittura, conciosiaché la plastice e la pittura naschino insieme e sùbito dal disegno. Et esaminata fuori di sagrestia, dicono che tante sono e sì varie le opinioni de' tempi che male si può credere più all'una che all'altra, e che, considerato finalmente questa nobilità dove e' vogliono, nell'uno de' luoghi pèrdono e nell'altro non vincono, sì come nel proemio delle Vite più chiaramente potrà vedersi. Appresso, per riscontro delle arti congeneri e sottoposte alla scultura, dicono averne molte più di loro, comeché la pittura abbracci la invenzione della istoria, la difficilissima arte degli scórti, tutti i corpi della architettura per poter fare i casamenti e la prospettiva, il colorire a tempera, l'arte del lavorare in fresco, differente e vario da tutti gli altri; similmente il lavorare a olio, in legno, in pietra, in tele, et il miniare, arte differente da tutte; le finestre di vetro, il musaico de' vetri, il commetter le tarsie di colori faccendone istorie con i legni tinti - che è pittura -, lo sgraffire le case con il ferro, il niello e le stampe di rame - membri della pittura -, gli smalti degli orefici, il commetter l'oro alla damaschina, il dipigner le figure invetriate e fare ne' vasi di terra istorie et altre figure che reggono alla acqua, il tessere i broccati con le figure e' fiori, e la bellissima invenzione degli arazzi tessuti, che fa commodità e grandezza, potendo portar la pittura in ogni luogo e salvatico e domestico; senzaché, in ogni genere che bisogna essercitarsi, il disegno, che è disegno nostro, lo adopra ognuno. Sì che molti più membri ha la pittura e più utili che non ha la scultura. Non niegano la etternità, poi che così la chiamano, delle sculture, ben dicono questo non esser privilegio che faccia l'arte più nobile che ella si sia di sua natura, per essere semplicemente della materia, e che, se la lunghezza della vita desse alle anime nobilità, il pino tra le piante et il cervio tra gli animali arebbon la anima oltramodo più nobile che non ha l'uomo - nonostante che ei potessino addurre una simile etternità e nobiltà di materia ne' musaici loro per vedersene delli antichissimi quanto le più antiche sculture che siano in Roma, et essendosi usato di farli di gioie e pietre fini. E quanto al piccolo o minor numero loro, affermano che ciò non è perché la arte ricerchi miglior disposizione di corpo et il giudizio maggiore, ma che ei depende in tutto da la povertà delle sustanzie loro e dal poco favore, o avarizia che vogliamo chiamarlo, degli uomini ricchi, i quali non fanno loro commodità de' marmi o dànno occasione di lavorare, come si può credere e vedesi che si fece ne' tempi antichi, quando la scultura venne al sommo grado. Et è manifesto che chi non può consumare o gittar via non piccola. quantità di marmi e pietre forti, le quali costano pure assai, non può fare quella pratica nella arte che si conviene: chi non vi fa la pratica non la impara, e chi non la impara non può fare bene. Per la qual cosa doverrebono escusare più tosto con queste cagioni la imperfezzione et il poco numero degli eccellenti, che cercare di trarre da esse, sotto uno altro colore, la nobiltà. Quanto a' maggior' pregi delle sculture, rispondono che, quando i loro fussino bene minori, non hanno a compartirli, contentandosi di un putto che macini loro i colori e porga i pennelli o le predelle di poca spesa, dove gli scultori, oltre alla valuta grande della materia, vogliono di molti aiuti e mettono più tempo in una sola figura che non fanno essi in molte e molte; per il che appariscano i pregi loro essere più della qualità e durazione di essa materia, delli aiuti che ella vuole a condursi e del tempo che vi si mette a lavorarla, che della eccellenzia della arte stessa. E quando questa non serva né si truovi prezzo maggiore, come sarebbe facil cosa a chi volessi diligentemente considerarla, truovino un prezzo maggiore del maraviglioso, bello e vivo dono che alla virtuosissima et eccellentissima opera di Apelle fece Alessandro il Magno, donandoli non tesori grandissimi o stato, ma la sua amata e bellissima Campsaspe; et avvertischino di più che Alessandro era giovane, innamorato di lei e naturalmente agli affetti di Venere sottoposto, e re insieme e greco - e poi ne faccino quel giudizio che piace loro. Agli amori di Pigmalione e di quelli altri scelerati non degni più d'essere uomini, citati per pruova della nobilità della arte, non sanno che si rispondere, se da una grandissima cecità di mente e da una sopra ogni natural modo sfrenata libidine si può fare argumento di nobiltà. E di quel non so chi allegato dagli scultori d'aver fatto la Scultura d'oro e la Pittura di argento, come di sopra, consentono che, se egli avessi dato tanto segno di giudizioso quanto di ricco, non sarebbe da disputarla. E concludono finalmente che lo antico vello dello oro, per celebrato che e' sia, non vesti però altro che un montone senza intelletto; per il che né il testimonio delle ricchezze né quello delle voglie disoneste, ma delle lettere, dello esercizio, della bontà e del giudizio son quelli a chi si debbe attendere. Né rispondono altro alla dificultà dello avere i marmi et i metalli, se non che questo nasce da la povertà propria e dal poco favore de' potenti, come si è detto, e non da grado di maggiore nobilità. Alle estreme fatiche del corpo et a' pericoli proprii e delle opere loro, ridendo e senza alcun disagio rispondono che, se le fatiche et i pericoli maggiori arguiscono maggiore nobilità, l'arte del cavare i marmi de le viscere de' monti, per adoperare i conii, i pali e le mazze, sarà più nobile della scultura, quella del fabbro avanzerà lo orefice e quella del murare la architettura. E dicono appresso che le vere difficultà stanno più nello animo che nel corpo, onde quelle cose che di lor natura hanno bisogno di studio e di sapere maggiore son più nobili et eccellenti di quelle che più si servono della forza del corpo; e che, valendosi i pittori della virtù dell'animo più di loro, questo primo onore si appartiene alla pittura. Agli scultori bastano le seste o le squadre a ritrovare e riportare tutte le proporzioni e misure che egli hanno di bisogno; a' pittori è necessario, oltre al sapere bene adoperare i sopradetti strumenti, una accurata cognizione di prospettiva, per avere a porre mille altre cose che paesi o casamenti, oltra che bisogna aver maggior giudicio per la quantità delle figure in una storia, dov'e' può nascer più errori che in una sola statua. Allo scultore basta aver notizia delle vere forme e fattezze de' corpi solidi e palpabili e sottoposti in tutto al tatto, e di quei soli ancora che hanno chi gli regge; al pittore è necessario non solo conoscere le forme di tutti i corpi retti e non retti, ma di tutti i trasparenti et impalpabili, et oltra questo bisogna ch'e' sappino i colori che si convengono a' detti corpi, la moltitudine e la varietà de' quali, quanto ella sia universalmente e proceda quasi in infinito, lo dimostrano meglio che altro i fiori et i frutti, oltre a' minerali: cognizione sommamente difficile ad acquistarsi et a mantenersi per la infinita varietà loro. Dicono ancora che dove la scultura, per la inobbedienzia et imperfezzione della materia, non rappresenta gli affetti dello animo se non con il moto, il quale non si stende però molto in lei, e con la fazione stessa de' membri, neanche tutti, i pittori gli dimostrano con tutti i moti, che sono infiniti, con la fazione di tutte le membra, per sottilissime che elle siano, ma che più? con il fiato stesso e con gli spiriti della vista; e che, a maggiore perfezzione del dimostrare non solamente le passioni e gli affetti dello animo, ma ancora gli accidenti avenire, come fanno i naturali, oltre alla lunga pratica della arte bisogna loro avere una intera cognizione di essa fisionomia, della quale basta solo allo scultore la parte che considera la quantità e forma de' membri, senza curarsi della qualità de' colori, la cognizion de' quali, chi giudica dagli occhi conosce quanto ella sia utile e necessaria alla vera imitazione della natura, alla quale chi più si accosta è più perfetto. Appresso soggiungono che dove la scultura, levando a poco a poco, in un medesimo tempo dà fondo et acquista rilievo a quelle cose che hanno corpo di lor natura, e servesi del tatto e del vedere, i pittori in due tempi dànno rilievo e fondo al piano con lo aiuto di un senso solo, la qual cosa, quando ella è stata fatta da persona intelligente della arte, con piacevolissimo inganno ha fatto rimanere molti grandi uomini, per non dire degli animali; il che non si è mai veduto della scultura, per non imitare la natura in quella maniera che si possa dire tanto perfetta quanto è la loro. E finalmente, per rispondere a quella intera et assoluta perfezzione di giudizio che si richiede alla scultura per non aver modo di aggiugnere dove ella leva, affermando prima che tali errori sono, come ei dicano, incorrigibili né si può rimediare loro senza le toppe, le quali, così come ne panni son cose da poveri di roba, nelle sculture e nelle pitture similmente son cose da poveri di ingegno e di giudizio, dipoi che la pazienzia, con un tempo conveniente, mediante i modelli, le centine, le squadre, le seste et altri mille ingegni e strumenti da riportare, non solamente gli difendano dagli errori, ma fanno condur loro il tutto alla sua perfezzione - concludono che questa difficultà che ei mettano per la maggiore è nulla o poco rispetto a quelle che hanno i pittori nel lavorare in fresco, e che la detta perfezzione di giudizio non è punto più necessaria alli scultori che a' pittori, bastando a quelli condurre i modelli buoni di cera, di terra o d'altro, come a questi i loro disegni in simili materie pure o ne' cartoni; e che finalmente quella parte che riduce a poco a poco loro i modelli ne' marmi è più tosto pazienzia che altro. Ma chiamisi giudizio, come vogliono gli scultori, se egli è più necessario a chi lavora in fresco che a chi scarpella ne' marmi, perciò che in quello non solamente non ha luogo né la pazienzia né il tempo, per essere capitalissimi nimici della unione della calcina e de' colori, ma perché l'occhio non vede i colori veri insino a che la calcina non è ben secca né la mano vi può avere giudizio d'altro che del molle o secco; di maniera che, chi lo dicessi lavorare al buio o con occhiali di colori diversi dal vero, non credo che errassi di molto, anzi non dubito punto che tal nome non se li convenga più che al lavoro d'incavo, al quale per occhiali, ma giusti e buoni, serve la cera. E dicono che a questo lavoro è necessario avere un giudizio risoluto, che antivegga la fine nel molle e quale egli abbia a tornar poi secco, oltra che non si può abbandonare il lavoro mentre che la calcina tiene del fresco, e bisogna resolutamente fare in un giorno quello che fa la scultura in un mese; e chi non ha questo giudizio e questa eccellenzia, si vede, nella fine del lavoro suo o col tempo, le toppe, le macchie, i rimessi et i colori soprapposti o ritocchi a secco, che è cosa vilissima, perché vi si scuoprono poi le muffe e fanno conoscere la insufficienzia et il poco sapere dello artefice suo, sì come fanno bruttezza i pezzi rimessi nella scultura. Soggiungono ancora che dove gli scultori fanno insieme due o tre figure al più d'un marmo solo, essi ne fanno molte in una tavola sola, con quelle tante e sì varie vedute che coloro dicono che ha una statua sola, ricompensando con la varietà delle positure, scorci et attitudini loro il potersi vedere intorno intorno quelle degli scultori. Affermano oltra di ciò che la pittura non lascia elemento alcuno che non sia ornato e ripieno di tutte le eccellenzie che la natura ha dato loro, dando la sua luce o le sue tenebre alla aria con tutte le sue varietà et impressioni, et empiendola insieme di tutte le sorti degli uc[c]elli; alle acque la trasparenza, i pesci, i muschî, le schiume, il variare delle onde, le navi e l'altre sue passioni; alla terra i monti, i piani, le piante, i frutti, i fiori, gli animali, gli edifizii, con tanta moltitudine di cose e varietà delle forme loro e de' veri colori che la natura stessa molte volte n'ha maraviglia; e dando finalmente al fuoco tanto di caldo e di luce che e' si vede manifestamente ardere le cose e, quasi tremolando nelle sue fiamme, rendere in parte luminose le più oscure tenebre della notte. Per le quali cose par loro potere giustamente conchiudere e dire che, contraposto le difficultà degli scultori alle loro, le fatiche del corpo alle fatiche dello animo, la imitazione circa la forma sola alla imitazione della apparenzia circa la quantità e la qualità che viene a lo occhio, il poco numero delle cose dove la scultura può dimostrare e dimostra la virtù sua allo infinito di quelle che la pittura ci rappresenta, oltra il conservarle perfettamente allo intelletto e farne parte in que' luoghi che la natura non ha fatto ella, e contrapesato finalmente le cose dell'una alle cose dell'altra - la nobiltà della scultura, quanto a lo ingegno, a la invenzione et al giudizio degli artefici suoi, non corrisponde a gran pezzo a quella che ha e merita la pittura. E questo è quello che per l'una e per l'altra parte mi è venuto agli orecchi degno di considerazione. Ma perché a me pare che gli scultori abbino parlato con troppo ardire et i pittori con troppo sdegno, per avere io assai tempo considerato le cose della scultura et essermi esercitato sempre nella pittura, quantunche piccolo sia forse il frutto che se ne vede, nondimeno, e per quel tanto che egli è e per la impresa di questi scritti giudicando mio debito dimostrare il giudizio che nello animo mio ne ho fatto sempre - e vaglia la autorità mia quanto ella può -, dirò sopra tal disputa sicuramente e brevemente il parer mio, persuadendomi di non sottentrare a carico alcuno di prosunzione o di ignoranzia, non trattando io de l'arti altrui come hanno già fatto molti per apparire nel vulgo intelligenti di tutte le cose - mediante le lettere, e come tra gli altri avvenne a Formione peripatetico in Efeso, che ad ostentazione della eloquenzia sua predicando e disputando de le virtù e parti dello eccellente capitano, non meno de la prosunzione che de la ignoranzia sua fece ridere Annibale. Dico adunque che la scultura e la pittura per il vero sono sorelle, nate di un padre, che è il disegno, in un sol parto et ad un tempo, e non precedono l'una alla altra se non quanto la virtù e la forza di coloro che le portano adosso fa passare l'uno artefice innanzi a l'altro, e non per differenzia o grado di nobiltà che veramente si truovi infra di loro. E se bene per la diversità della essenzia loro hanno molte agevolezze, non sono elleno però né tante né di maniera che elle non venghino giustamente contrapesate insieme, e non si conosca la passione o la caparbietà, più tosto che il giudizio, di chi vuole che l'una avanzi l'altra. Laonde a ragione si può dire che una anima medesima regga due corpi, et io per questo conchiudo che male fanno coloro che si ingegnano di disunirle e di separarle l'una da l'altra. De la qual cosa volendoci forse sgannare il cielo e mostrarci la fratellanza e la unione di queste due nobilissime arti, ha in diversi tempi fattoci nascere molti scultori che hanno dipinto e molti pittori che hanno fatto de le sculture, come si vedrà nella Vita di Antonio del Pollaiuolo, di Lionardo da Vinci e di molti altri digià passati. Ma nella nostra età ci ha prodotto la Bontà divina Michelagnolo Buonarroti, nel quale amendue queste arti sì perfette rilucono e sì simili et unite insieme appariscono, che i pittori de le sue pitture stupiscono e gli scultori le sculture fatte da lui ammirano e reveriscono sommamente. A costui, perché egli non avesse forse a cercare da altro maestro dove agiatamente collocare le figure fatte da lui, ha la natura donato sì fattamente la scienzia della architettura, che, senza avere bisogno di altrui, può e vale da sé solo et a queste et a quelle imagini da lui formate dare onorato luogo et ad esse conveniente; di maniera che egli meritamente debbe esser detto scultore unico, pittore sommo et eccellentissimo architettore, anzi della architettura vero maestro. E ben possiamo certo affermare che e' non errano punto coloro che lo chiamano divino, poiché divinamente ha egli in sé solo raccolte le tre più lodevoli arti e le più ingegnose che si truovino tra' mortali, e con esse, ad esempio d'uno Idio, infinitamente ci può giovare. E tanto basti per la disputa fatta dalle parti e per la nostra opinione. E tornando oramai al primo proposito, dico che volendo, per quanto si estendono le forze mie, trarre da la voracissima bocca del tempo i nomi degli scultori, pittori et architetti che da Cimabue in qua sono stati in Italia di qualche eccellenzia notabile, e desiderando che questa mia fatica sia non meno utile che io me la sia proposta piacevole, mi pare necessario, avanti che e' si venga a la istoria, fare sotto brevità una introduzzione a quelle tre arti nelle quali valsero coloro di chi io debbo scrivere le Vite, a cagione che ogni gentile spirito intenda primieramente le cose più notabili delle loro professioni, et appresso; con piacere et utile maggiore possa conoscere apertamente in che e' fussero tra sé differenti, e di quanto ornamento e comodità alle patrie loro et a chiunque volse valersi de la industria e sapere di quelli. Comincerommi dunque da l'architettura come da la più universale e più necessaria et utile agli uomini et al servizio et ornamento della quale sono l'altre due, e brevemente dimostrerrò la diversità delle pietre, le maniere o modi dello edificare con le loro proporzioni, et a che si conoschino le buone fabbriche e bene intese. Appresso ragionando de la scultura, dirò come le statue si lavorino, la forma e la proporzione che si aspetta loro, e quali siano le buone sculture con tutti gli ammaestramenti più segreti e più necessarii. Ultimamente discorrendo de la pittura, dirò del disegno, de' modi del colorire, del perfettamente condurre le cose, de la qualità di esse pitture e di qualunche cosa che da questa dependa, de' musaici d'ogni sorte, del niello, degli smalti, de' lavori a la damaschina, e finalmente poi de le stampe delle pitture. E così mi persuado che queste fatiche mie diletteranno coloro che non sono di questi esercizii, e diletteranno e gioveranno a chi ne ha fatto professione. Perché, oltra che nella Introduzzione rivedranno i modi dello operare e nelle Vite di essi artefici impareranno dove siano l'opere loro et a conoscere agevolmente la perfezzione o imperfezzione di quelle e discernere tra maniera e maniera, e' potranno accorgersi ancora quanto meriti lode et onore chi con le virtù di sì nobili arti accompagna onesti costumi e bontà di vita, et accesi di quelle laudi che hanno conseguite i sì fatti, si alzeranno essi ancora a la vera gloria. Né si caverà poco frutto de la storia, vera guida e maestra delle nostre azzioni, leggendo la varia diversità di infiniti casi occorsi agli artefici, qualche volta per colpa loro e molte altre della fortuna. Resterebbemi a fare scusa de lo avere alle volte usato qualche voce non ben toscana, de la qual cosa non vo' parlare, avendo avuto sempre più cura di usare le voci et i vocaboli particulari e proprii delle nostre arti, che i leggiadri o gli snelli della delicatezza degli scrittori. Siami lecito adunche usare nella propria lingua le proprie voci de' nostri artefici, e contentisi ognuno de la buona volontà mia, la quale si è mossa a fare questo effetto non per insegnare ad altri, che non so per me, ma per desiderio di conservare almanco questa memoria degli artefici più celebrati, poiché in tante decine di anni non ho saputo vedere ancora chi n'abbia fatto molto ricordo. Conciosiaché io ho più tosto voluto con queste roz[z]e fatiche mie, ombreggiando gli egregii fatti loro, renderli in qualche parte l'obligo che io tengo alle opere sue che mi sono state maestre ad imparare quel tanto che io so, che malignamente, vivendo in ozio, esser censor delle opere altrui accusandole e reprendendole come i nostri spesso costumano. Ma egli è già tempo di venire a lo effetto. Fine del proemio.