VITA DI TOMMASO FIORENTINO pittore, detto Giottino
Quando, fra l'altre arti, quelle che procedono dal disegno si pigliano in gara e gl'artefici lavorano a concorrenza, senza dubbio essercitandosi i buoni ingegni con molto studio truovano ogni giorno nuove cose per sodisfare ai varii gusti degl'uomini. E parlando per ora della pittura, alcuni ponendo in opera cose oscure e inusitate e mostrando in quelle la difficultà del fare, fanno nell'ombre la chiarezza del loro ingegno conoscere; altri lavorando le dolci e delicate, pensando quelle dover essere più grate agl'occhi di chi le mira per avere più rilievo, tirano agevolmente a sé gl'animi della maggior parte degl'uomini; altri poi dipingendo unitamente e con abagliare i colori, ribattendo a' suoi luoghi i lumi e l'ombre delle figure, meritano grandissima lode e mostrano con bella destrezza d'animo i discorsi dell'intelletto, come con dolce maniera mostrò sempre nell'opere sue Tommaso di Stefano detto Giottino; il quale, essendo nato l'anno 1324, dopo l'avere imparato da suo padre i primi principii della pittura, si resolvé, essendo ancor giovanetto, volere in quanto potesse con assiduo studio essere immitatore della maniera di Giotto più tosto che di quella di Stefano suo padre. La qual cosa gli venne così ben fatta che ne cavò, oltre alla maniera, che fu molto più bella di quella del suo maestro, il sopranome di Giottino che non gli cascò mai: anzi fu parere di molti, e per la maniera e per lo nome - i quali però furono in grandissimo errore -, ch'e' fusse figliuolo di Giotto; ma invero non è così, essendo cosa certa, o per dir meglio credenza (non potendosi così fatte cose affermare da ognuno), che fu figliuolo di Stefano pittore fiorentino. Fu dunque costui nella pittura sì diligente e di quella tanto amorevole, che se bene molte opere di lui non si ritrovano, quelle nondimeno che trovate si sono erano buone e di bella maniera, perciò che i panni, i capegli, le barbe e ogni altro suo lavoro furono fatti e uniti con tanta morbidezza e diligenza, che si vede ch'egli aggiunse senza dubbio l'unione a quest'arte e l'ebbe molto più perfetta che Giotto suo maestro e Stefano suo padre avuta non aveano. Dipinse Giottino nella sua giovanezza in S. Stefano al Ponte Vecchio di Firenze una capella allato alla porta del fianco, che se bene è oggi molto guasta dalla umidità, in quel poco che è rimaso si vede la destrezza e l'ingegno dell'artefice. Fece poi al Canto alla Macine ne' Frati Ermini i Santi Cosimo e Damiano, che, spenti dal tempo ancor essi, oggi poco si veggono. E lavorò in fresco una capella nel vecchio S. Spirito di detta città, che poi nell'incendio di quel tempio rovinò, et in fresco sopra la porta principale della chiesa la storia della missione dello Spirito Santo, e su la piazza di detta chiesa, per ire al Canto alla Cuculia, sul cantone del convento, quel tabernacolo che ancora vi si vede con la Nostra Donna et altri Santi dattorno, che tirano e nelle teste e nell'altre parti forte alla maniera moderna, perché cercò variare e cangiare le carnagioni et accompagnare nella varietà de' colori e ne' panni con grazia e giudizio tutte le figure. Costui medesimamente lavorò in S. Croce nella capella di S. Silvestro l'istorie di Costantino con molta diligenza, avendo bellissime considerazioni nei gesti delle figure; e poi, dietro a un ornamento di marmo fatto per la sepoltura di messer Bettino de' Bardi - uomo stato in quel tempo in onorati gradi di milizia -, fece esso messer Bettino di naturale, armato, che esce d'un sepolcro ginocchioni, chiamato col suono delle trombe del Giudizio da due Angeli che in aria accompagnano un Cristo nelle nuvole molto ben fatto. Il medesimo in S. Pancrazio fece, all'entrar della porta a man ritta, un Cristo che porta la croce et alcuni Santi appresso, che hanno espressamente la maniera di Giotto. Era in S. Gallo - il qual convento era fuor della porta che si chiama dal suo nome e fu rovinato per l'assedio - in un chiostro dipinta a fresco una Pietà, della quale n'è copia in S. Pancrazio già detto, in un pilastro accanto alla capella maggiore. Lavorò a fresco in S. Maria Novella alla capella di S. Lorenzo de' Giuochi, entrando in chiesa per la porta a man destra nella facciata dinanzi, un San Cosimo e S. Damiano, et in Ognisanti un S. Cristofano e un S. Giorgio, che dalla malignità del tempo furono guasti e rifatti da altri pittori per ignoranza d'un proposto poco di tal mestier intendente. Nella detta chiesa è, di mano di Tommaso, rimaso salvo l'arco che è sopra la porta della sagrestia, nel quale è a fresco una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, che è cosa buona per averla egli lavorata con diligenza. Mediante queste opere avendosi acquistato tanto buon nome Giottino, imitando nel disegno e nelle invenzioni, come si è detto, il suo maestro, che si diceva essere in lui lo spirito d'esso Giotto per la vivezza de' colori e per la pratica del disegno, l'anno 1343 a dì 2 di luglio, quando dal popolo fu cacciato il Duca d'Atene e che egli ebbe con giuramento renunziata e renduta la signoria e la libertà ai Fiorentini, fu forzato dai dodici Riformatori dello Stato e particolarmente dai preghi di messer Agnolo Acciaiuoli, allora grandissimo cittadino che molto poteva disporre di lui, dipignere per dispregio nella torre del Palagio del Podestà il detto Duca et i suoi seguaci, che furono messer Ceritieri Visdomini, messer Maladiasse, il suo conservadore e messer Ranieri da S. Gimignano, tutti con le mìtere di giustizia in capo vituperosamente. Intorno alla testa del Duca erano molti animali rapaci e d'altre sorti significanti la natura e qualità di lui, et uno di que' suoi consiglieri aveva in mano il Palagio de' Priori della città e come disleale e traditore della patria glielo porgeva: e tutti avevano sotto l'arme e l'insegne delle famiglie loro et alcune scritte che oggi si possono malamente leggere per esser consumate dal tempo. Nella quale opera, per disegno e per esser stata condotta con molta diligenza, piacque universalmente a ognuno la maniera dell'artefice. Dopo fece alle Campora, luogo de' Monaci Neri fuor della Porta a S. Piero Gattolini, un S. Cosimo e S. Damiano che furono guasti nell'imbiancare la chiesa, et al Ponte a' Romiti in Valdarno il tabernacolo ch'è in sul mezzo murato dipinse a fresco con bella maniera di sua mano. Trovasi per ricordo di molti che ne scrissero che Tommaso attese alla scultura e lavorò una figura di marmo nel campanile di S. Maria del Fiore di Firenze di braccia quattro, verso dove oggi sono i Pupilli. In Roma similmente condusse a buon fine in S. Giovanni Laterano una storia dove figurò il Papa in più gradi, la quale oggi ancora si vede consumata e rósa dal tempo, et in casa degl'Orsini una sala piena d'uomini famosi et in un pilastro d'Araceli un San Lodovico molto bello a canto all'altar maggiore a man ritta. In Ascesi ancora nella chiesa di sotto di S. Francesco dipinse sopra il pergamo, non vi essendo altro luogo che non fusse dipinto, in un arco la coronazione di Nostra Donna con molti Angeli intorno, tanto graziosi e con bell'arie nei volti et in modo dolci e delicati che mostrano con la solita unione de' colori - il che era proprio di questo pittore - lui avere tutti gl'altri insin allora stati paragonato; e intorno a questo arco fece alcune storie di S. Niccolò. Parimente nel monasterio di S. Chiara della medesima città, a mezzo la chiesa, dipinse una storia in fresco, nella quale è S. Chiara sostenuta in aria da due Angeli che paiono veri, la quale resuscita un fanciullo che era morto, mentre le stanno intorno tutte piene di maraviglia molte femine belle nel viso, nell'acconciature de' capi e negl'abiti che hanno indosso di que' tempi, molto graziosi. Nella medesima città d'Ascesi fece sopra la porta della città che va al Duomo, cioè in un arco dalla parte di dentro, una Nostra Donna col Figliuolo in collo con tanta diligenza che pare viva, et un S. Francesco et un altro Santo bellissimi: le quali due opere, se bene la storia di S. Chiara non è finita per essersene Tommaso tornato a Firenze amalato, sono perfette e d'ogni lode dignissime. Dicesi che Tommaso fu persona maninconica e molto soletaria, ma dell'arte amorevole e studiosissimo, come apertamente si vede in Fiorenza nella chiesa di San Romeo, per una tavola lavorata da lui a tempera con tanta diligenza et amore che di suo non si è mai veduto in legno cosa meglio fatta. In questa tavola, che è posta nel tramezzo di detta chiesa a man destra, è un Cristo morto con le Marie intorno e Nicodemo, accompagnati da altre figure che con amaritudine et atti dolcissimi et affettuosi piangono quella morte, torcendosi con diversi gesti di mani e battendosi di maniera che nell'aria de' visi si dimostra assai chiaramente l'aspro dolore del costar tanto i peccati nostri: et è cosa maravigliosa a considerare non che egli penetrasse con l'ingegno a sì alta imaginazione, ma che la potesse tanto bene esprimere col pennello. Laonde è quest'opera sommamente degna di lode non tanto per lo soggetto e per l'invenzione, quanto per avere in essa mostrato l'artefice in alcune teste che piangono, che ancora che il lineamento si storca nelle ciglia, negl'occhi, nel naso e nella bocca di chi piagne, non guasta però né àltera una certa bellezza, che suole molto patire nel pianto quando altri non sa bene valersi dei buon' modi nell'arte. Ma non è gran fatto che Giottino conducesse questa tavola con tanti avertimenti, essendo stato nelle sue fatiche desideroso sempre più di fama e di gloria che d'altro premio o ingordigia del guadagno, che fa meno diligenti e buoni i maestri del tempo nostro. E come non proccacciò costui d'avere gran ric[c]hezze, così non andò anche molto dietro ai commodi della vita, anzi vivendo poveramente, cercò di sodisfar più altri che se stesso; per che, governandosi male e durando fatica, si morì di tisico d'età d'anni XXXII, e da' parenti ebbe sepoltura fuor di S. Maria Novella alla porta del Martello allato al sepolcro di Bontura. Furono discepoli di Giottino, il quale lasciò più fama che facultà, Giovanni Tossicani d'Arezzo, Michelino, Giovanni dal Ponte e Lippo, i quali furono assai ragionevoli maestri di quest'arte; ma più di tutti Giovanni Tossicani, il quale fece dopo Tommaso, di quella stessa maniera di lui, molte opere per tutta Toscana, e particolarmente nella Pieve d'Arezzo la capella di S. Maria Madalena de' Tuccerelli, e nella Pieve del castel d'Empoli in un pilastro un S. Iacopo; nel Duomo di Pisa ancora lavorò alcune tavole che poi sono state levate per dar luogo alle moderne. L'ultima opera che costui fece fu, in una capella del Vescovado d'Arezzo per la contessa Giovanna moglie di Tarlato da Pietramala, una Nunziata bellissima e S. Iacopo e S. Filippo. La qual opera, per essere la parte di dietro del muro vòlta a tramontana, era poco meno che guasta affatto dall'umidità quando rifece la Nunziata maestro Agnolo di Lorenzo d'Arezzo, e poco poi Giorgio Vasari, ancora giovanetto, i Santi Iacopo e Filippo con suo grand'utile, avendo molto imparato - allora che non aveva commodo d'altri maestri - in considerare il modo di fare di Giovanni e l'ombre e i colori di quell'opera, così guasta com'era. In questa capella si leggono ancora, in memoria della contessa che la fece fare e dipignere, in un epitaffio di marmo queste parole: ANNO DOMINI 1335 DE MENSE AUGUSTI HANC CAPELLAM CONSTITUI FECIT NOBILIS DOMINA COMITISSA IOANNA DE SANCTA FLORA UXOR NOBILIS MILITIS DOMINI TARLATI DE PETRA MALA AD HONORẼ BEATAE MARIAE VIRGINIS. Dell'opere degl'altri discepoli di Giottino non si fa menzione, perché furono cose ordinarie e poco somiglianti a quelle del maestro e di Giovanni Toscani loro condiscepolo. Disegnò Tommaso benissimo, come in alcune carte di sua mano disegnate con molta diligenza si può nel nostro libro vedere. Fine della Vita di Tommaso detto Giottino.